Musica

Addio a Pee Wee Ellis, ‘gentiluomo’ del sassofono

Fu nella band di James Brown. Il ricordo di Nicola Gilliet, che lo unì ai ticinesi Re:Funk: ‘Aggressivo ma dolce, spiazzante. E col suono dei grandi di sempre’

Pee Wee Elllis, 1941-2021 (a Estival Jazz nel 2018, foto Ti-Press)
24 settembre 2021
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È morto oggi all’età di ottant’anni “per complicazioni cardiache”, si legge sulla pagina Facebook. Era Alfred Bryant all’anagrafe, ma ‘Pee Wee’ Ellis per il jazz, il funk e per il soul. Ma anche per The King of Soul James Brown, per il quale il sassofonista, compositore e arrangiatore statunitense suonò negli anni ’60, in studio e dal vivo con la storica band. Pee Wee Ellis mise anche la sua firma in alcune hit di James Brown come ‘Cold Sweat’, ‘Mother Popcorn’ e ‘Say It Loud - I’m Black and I’m Proud’. Allievo di Sonny Rollins, sue collaborazioni come arrangiatore e direttore musicale hanno riguardato George Benson, Hank Crawford, Esther Phillips; con Dave Liebman, nel suo dopo Miles Davis, registrò ‘The Chicken’, più tardi ‘acquisita’ dal bassista Jaco Patorius. Al fianco di Van Morrison per (intervallati) una ventina d’anni, anche qui come arrangiatore e direttore musicale, nella JB Horns con Fred Wesley e Maceo Parker, in una riedizione della band di James Brown; poi nella The Pee Wee Ellis Assembly, nella Ginger Baker Jazz Confusion, fino al ruolo di patron del Bristol International Blues and Jazz Festival.

In mezzo a tutto questo, il Ticino. «Ho organizzato tournée, ho registrato in studio con lui, unendolo ai ticinesi Re:Funk, per esempio», ci dice Nicolas Gilliet commentando la scomparsa del musicista. «Lo conobbi nel 2010, quando Lillian Boutté volle alzare il livello della sua band portandolo con sé. Fu in quel momento che con Pee Wee nacque un’amicizia. E quando il mio legame con lui si consolidò, in nome delle sinergie tra i musicisti ticinesi e l’internazionalità, sempre affascinanti da creare sia in occasione dei festival o in altre situazioni, pensai che la combinazione ideale sarebbe stata quella con Re:Funk, che stavano producendo un disco», binomio che ha toccato anche Estival Jazz e l’Italia.

Pee Wee era «un gentiluomo che diventava aggressivo solo musicalmente, quando suonava il suo strumento», uno che suonò nella James Brown Revue dal 1965 al 1969, e la storia dice che suonare con James Brown non è mai stata una passeggiata per nessuno. «In verità – commenta Gilliet – Pee Wee diceva che il Re del soul poteva essere difficile come persona, ma sul palco a lui veniva permesso di fare un po’ quel che voleva. Ed era quello il bello, perché Pee Wee e Fred Wesley, il trombonista, avevano trovato modi di divertirsi reciprocamente decisivi per entrare in pieno nello stile di James Brown, quasi in un modo automatico. Semplicemente divertendosi, o facendo, come diceva lui, delle ‘cretinate’». Perché anche in musica, «quando ci si diverte, il tempo passa bene». Anche con James Brown. «È chiaro che si doveva fare quel che andava fatto, ma c’erano anche momenti in cui Pee Wee poteva rilassarsi e dare colore al funk, come preferiva». Il suo suono? «È groovy fino in fondo, aggressivo sì, ma anche dolce, quello che spiazzava di lui. L’avevo portato al Jazz Cat e lì c’impressionò per il suono molto jazz, quello dei grandi sassofonisti che curavano il suono caldo. Nel funk si tende ad avere un suono molto fine, penetrante, e quello di sicuro non era Pee Wee. Lui era la dimostrazione vivente che generalizzare non è mai una gran cosa».

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