Società

Educazione sentimentale by Fausto Papetti

Le copertine dei dischi, luogo di romantica iniziazione (cronaca semiseria di una rivoluzione sessual-discografica)

21 aprile 2018
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Per chi non fosse stato svezzato da una coetanea in un campeggio estivo, in una baita di montagna, o altro bucolico luogo d’iniziazione, il primo approccio con il corpo femminile potrebbe essere avvenuto grazie alla lungimiranza di un – a suo modo – rivoluzionario chiamato Fausto Papetti, varesino naturalizzato svizzero deceduto nel 1997, noto sì per le interpretazioni al sax dei classici del pop, ma pure per le donne che campeggiano sulle copertine dei suoi album. In abiti tra il castigato e il vedo-non-vedo (ma più che altro vedo), tra nudo abbozzato, parziale e integrale, nei dischi del Papetti l’universo femminile è coperto in modo pressoché enciclopedico.

Questo accade sin dalla raccolta n. 3, illustrata da un paio di gambe incrociate con ginocchia in vista (un azzardo, nel ’62, il ginocchio nudo). I grafici al lavoro per il sassofonista rimasero pudici sino allo sguardo lascivo della raccolta n. 9, portatrice di presagi sessantottini. Tanto che nel ’69, raccolta n. 10, il nudo non si può dire integrale soltanto per un timbro circolare giallo alla ‘top-secret’. Nel disco, coerentemente, una versione di ‘Je T’Aime... Moi Non Plus’, brano francese del quale la censura italiana vietava di nominare anche il solo titolo (nel ’77 accadde anche ai giornali inglesi, obbligati a oscurare l’innominabile ‘God save the Queen’, i Sex Pistols al n. 1).

Ambientata su una spiaggia tropicale (ma forse è solo Cesenatico), la copertina n. 12 (1971) osa come mai prima, mostrando una bagnante in topless per onorare esotici strumentali di ‘Samba pa ti’ (Santana) e ‘Djamballà’, colonna sonora del film ‘Il Dio serpente’ (che per scabrosità non supera un minuto di un live di Miley Cyrus). Da lì in avanti, tra pizzi delle Fiandre, mutanda classica, coulotte, tanga, perizoma, trasparenze di ogni tipo e tanto, tanto mare da farci ogni giorno una vacanza, le copertine del Papetti hanno omaggiato ogni moderna categoria femminile, dalla “babe” (più o meno “bambolona”) alla “Milf” (acronimo per il quale si rimanda alla rete). Abituati come siamo all’ostentazione di forme femminili, la raccolta n. 12 (1975) stupisce non per i seni senza censure, ma per un paio di occhiali bianchi dall’attualissimo design che ai mercatini dell’usato, oggi, varranno una cifra.

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