laR+ Sanremo

Sanremo si fa ascoltare (così suonano le canzoni del Festival)

I capolavori latitano, ma Gabbani è una garanzia, Cristicchi è sé stesso e Willie Peyote osa. I rapper? Fanno i melodici (e attenzione a ‘Cuoricini’)

Milano, Centro di produzione Rai. Al centro Carlo Conti, in alto a destra alcuni ‘papabili’
(laRegione)
21 gennaio 2025
|

Fa freddo come tutte le altre volte a Milano, e poco cambia se questa volta non sono gli studi di via Mecenate ma quelli di Corso Sempione. È qui, dove l’8 settembre del 1952 partì la prima trasmissione sperimentale della Tv italiana, che la stampa ascolta le canzoni di Sanremo perché se ne parli ancor prima dell’inizio del Festival. Qui nei Centri di produzione Rai, dove nacque il Telegiornale, dove furono registrati i grandi sceneggiati televisivi e trasmissioni storiche come La Domenica Sportiva, con il primo moviolista che il calcio ricordi (Carlo Sassi, passato a miglior vita risparmiandosi il Var). Ai muri dei corridoi sono appesi una Heather Parisi in volo durante ‘Fantastico’ 1981, altre Heather Parisi in volo e fantastiche, uno Stefano Bollani senza la moglie nel bel programma ‘Sostiene Bollani’ di qualche anno fa, e indietro fino ai volti meno noti delle prime radioemissioni del 1939, quando l’emittente di Stato si chiamava ancora Eiar e aveva appena preso casa nel palazzo progettato dal milanese Giò Ponti, segnato dalle inconfondibili linee dell’architettura fascista perché progettato “quando c’era lui”, anche se costruito nel dopoguerra.

Con il direttore artistico Carlo Conti, a Milano c’era metà della stampa italiana (e svizzera italiana); l’altra metà era a Roma, negli spazi in cui ogni sera si aprono i pacchi, gioco estenuante caratterizzato da molti tempi morti (detto tra noi: se uno ha deciso di tenere il pacco, non lo si può aprire subito, vedere cosa c’è dentro e farla finita lì?). Non daremo i voti alle canzoni, perché vanno viste oltre che sentite, e perché non tutte le canzoni arrivano al primo ascolto. Nemmeno alle orecchie dei direttori artistici, che nel corso di questi 75 anni di Festival hanno scartato brani come ‘Perdere l’amore’, diventata un successo solo l’anno dopo e con un altro interprete.

Delle trenta canzoni in gara quest’anno, la solita enormità, l’ascolto sommario ci fa dire che il manufatto artistico di pregio sta in meno di un terzo di quanto ascoltato, tra l’illuminazione di pochi, la comfort zone di tanti e rapper e trapper che una volta a Sanremo si producono in ritornelli melodici grazie anche alla casa discografica che gli affianca autori di professione, capaci di prendere la loro rappitudine e renderla commestibile al grande pubblico. Trasformismi a parte, ecco come le canzoni dei trenta Big in gara sono suonate alle nostre orecchie...

Quello di Francesco Gabbani (‘Viva la vita’) è davvero un inno all’essere vivi, al prendere la vita così com’è ed eventualmente a darsi una mano, che male non fa. Il tutto alla velocità di uno slow, uno di quei ritmi antichi che il Gabbani tanto bene ricicla. Un volta accettato l’autotune ‘a palla’ (al massimo), le storie di vita contenute ne ‘Il ritmo delle cose’ di Rkomi hanno un loro perché. Achille Lauro canta ‘Incoscenti giovani’, un lento alla Gazzelle che l’ex trapper romano potrebbe gettare alle ortiche solo presentandosi a Sanremo vestito da volatile o in qualsiasi altro dei suoi passati travestitismi.

In ‘Quando sarai piccola’, di Simone Cristicchi, la musica non è segnante come in altre occasioni, ma la madre anziana che non ti riconosce più, che nel suo impaccio irreversibile e definitivo torna bambina, sarà uno dei momenti clou di questa edizione. Brunori Sas è un brivido a metà, nel senso che la strofa di ‘L’albero delle noci’ fa accapponare la pelle e il ritornello meno, ma anche qui, il voler cantare l’amore a una figlioletta riccioluta basta e avanza di questi tempi. Basta, ed è un auspicio, per un Premio della Critica Mia Martini che Brunori e Cristicchi potrebbero contendersi.

I rapper che fanno bene il loro mestiere sono Shablo con Gué, Joshua e Tormento in ‘La mia parola’, una “street song” (lo dice il testo) che ha un piede nell’R&B. Giorgia canta ‘La cura per me’ e pare che a Sanremo, durante le prime prove, l’orchestra si sia alzata in piedi, non si sa se per la canzone, che non è Lucio Corsi sta nel testo di ‘Volevo essere un duro’, l’atto poetico di chi alla fine si accetta per quello che è.

Marcella Bella con la cassa in quattro, che nell’orecchiabile ‘Pelle diamante’ si definisce “stronza forse, ma sorprendente”, ma soprattutto “combattente”, piace per una certa comicità. Storia di chi lascia tutto e parte, Rocco Hunt si racconta in ‘Mille vote ancora’, ma la nostra preferita è ‘Grazie ma no grazie’ di Willie Peyote, funkettone nel quale il piemontese dice la sua sulla classe politica, sullo schwa, su coloro che agli umani preferiscono i cani e sulle cene di classe.

In ‘Anema e core’ c’è tutta l’energia di Serena Brancale, ma non è subito chiaro in quale forma precisa. Il tormentone dell’anno potrebbe essere quello di Gaia, nella sudamericana ‘Chiamo io chiami tu’. ‘Tra le mani un cuore’ porta la firma di un’inedita coppia di autori, Tiziano Ferro e Nek, che provano a scrivere per Massimo Ranieri una nuova ‘Perdere l’amore’. Il brano è salvato dalla grandezza dell’interprete. ‘Tu con chi fai l’amore’ è i The Kolors nell’italofunk (qui filo-Carrà) che rischia di diventare cliché. Sempre una volta accettato l’abuso di autotune, è gradevole e niente più la ‘Balorda nostalgia’ di Olly, dalla progressione armonica tipicamente anni Ottanta che è garanzia di orecchiabilità.

Forse per troppa aspettativa, o per troppa eleganza, l’Elodie di ‘Dimenticarsi alle 7’ scivola via come Francesca Michielin con la ballad ‘Fango in Paradiso’, a un passo dal ‘Boh’.

Boh

In ‘Non ti dimentico’, i Modà paiono una citazione di sé stessi. La cacofonia del ‘Battito’ di Fedez rende la descrizione dell’opera un atto non imprescindibile, e distoglie lo sguardo dal tema della depressione. I Coma_Cose, quelli di ‘Fiamme negli occhi’, tornano con il tormentone ‘Cuoricini’, un ‘ballabile’ che finirà nelle parti alte, forse altissime, della classifica. In ‘Febbre’, Clara fa il verso a Rose Villain e in ‘Fuorilegge’ Rose Villain fa il verso a sé stessa, per due cose speculari che sembrano ‘pompare’ meno dei brani della scorsa edizione, che le vide entrambe in gara. Tony Effe che come un moderno Califano canta lo stornello ‘Damme ’na mano’ pare un pesce d’aprile.

Joan Thiele canta ‘Eco’, che forse per stanchezza da ritornelli non ci chiama null’altro se non il suo essere perfetta per Nina Zilli. Sarah Toscano, la vincitrice di ‘Amici’, canta ‘Amarcord’, dagli inserti sinfonici più kitsch che colti, mentre il genovese Bresh canta ‘La tana del granchio’, più bella da leggere che da ascoltare. È ‘boh’ Noemi (‘Se t’innamori muori’), che a ogni Sanremo torna con la copia di sé stessa, ‘boh’ Emis Killa, fastidiosamente melodico in ‘Demoni’, ‘boh’ il Festival che ogni paio d’anni ci ripropone Irama, quest’anno con ‘Lentamente’, e la consueta sfida: capire cosa stia dicendo senza avere il testo davanti.

‘Il resto non mi riguarda’

Oltre alle canzoni in abiti civili, da riascoltarsi con l’orchestra, la novità del giorno era l’ex Måneskin Damiano David super ospite della seconda serata (il primo, Jovanotti, è notizia di domenica scorsa). Dopo gli ascolti, sollecitato dalla stampa sul buonismo di fondo nelle canzoni, il Conti ha confermato che quest’anno i temi questi erano, ma “non per questo a Sanremo non si parlerà di guerra”, per esempio. L’annosa questione della lunga lista di cantanti si è risolta con un “preferisco avere un monologo in meno e tre cantanti in più”, quello dell’assenza del rock con uno “spiace a me per primo, ma i pezzi non sono arrivati”.

Sull’abbondanza di co-conduttori, Conti ha citato il fu Ezio Bosso dal suo Sanremo del 2016 (“La musica è come la vita, si può fare solo insieme”); su Gerry Scotti, papabile per la prima serata, ha glissato. E a chi gli ha chiesto il perché dell’invito a Emis Killa, in società con un carcerato, il direttore artistico ha risposto così: “Ho scelto la canzone, le amicizie non possono essere una discriminante, il resto non mi riguarda”. Chiudiamo il post-evento con la domanda del giorno della stampa specializzata, che è stata la seguente: “Ciao Carlo (Conti, ndr), mi pare che quest’anno ci sia poco uso dell’autotune!”, ma non era una battuta.