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L’islam e la blasfemia tra Maometto, Rushdie e Locke

L’accoltellamento dell’autore dei ‘Versi satanici’, la religione e la tolleranza secondo Mustafa Akyol, che domani sarà al Mem di Lugano

(Keystone)
26 agosto 2022
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Se lo saranno chiesto in molti, leggendo la notizia dell’accoltellamento di Salman Rushdie lo scorso 12 agosto: com’è possibile che una fatwa emessa nel lontano 1989 dal vecchio ayatollah Khomeini venga eseguita oggi, in un pacifico ‘summer camp’ Usa per giovani progressisti? Che filo unisce la Teheran dell’epoca con lo stato di New York oggi, tanto da spingere un 24enne americano di origini libanesi ad avventarsi contro il 75enne autore dei ‘Versi satanici’?

Chi crede allo ‘scontro di civiltà’ dirà che c’è qualcosa di intrinsecamente cattivo nell’Islam, un odio che presto o tardi ritorna sempre in superficie. La questione naturalmente è molto più sfumata e complessa, come ci spiega Mustafa Akyol, giornalista e studioso turco pubblicato da testate quali il New York Times, il Financial Times e l’Economist, che oggi lavora per il Cato Institute, pensatoio liberista/libertario di Washington. Autore di libri quali ‘Islam without Extremes’ (L’islam senza estremi) e ‘Reopening Muslim Minds’ (Riaprire le menti musulmane), Akyol sostiene da tempo la possibilità di un incontro tra la democrazia liberale e la fede islamica. Domani alle nove di mattina ne parlerà al summit estivo sul Medio Oriente Mediterraneo, organizzato dall’Università della Svizzera italiana e accessibile in streaming online (vedi accanto).

Cominciamo dalla cronaca recente: in quale cornice ideologica possiamo inserire l’aggressione contro Rushdie?

Anzitutto dobbiamo considerare il fatto che i musulmani guardano alla ‘blasfemia’ in tre modi diversi. Il primo, applicato dalla minoranza che compie attentati come questo, è quello che ritiene di dover punire il ‘blasfemo’ in nome della Shari’ah (la ‘legge di Dio’, ndr). In Pakistan, ad esempio, si assiste ogni mese alle azioni di folle che linciano qualcuno perché "ha insultato il Profeta". Poi c’è un secondo approccio, comunque conservatore, che viene seguito dalla maggioranza del clero musulmano nel mondo: prevede che contro questo tipo di offese sia intentato un regolare processo, il quale però contempla comunque anche la pena di morte, nel mondo sciita come in quello sunnita.

E la ‘terza via’?

È quella più ‘liberale’, che si rivolge direttamente al Corano per contestare le violenze e dare fondamento teologico a un approccio tollerante, per cui se ci si sente offesi da qualcuno o qualcosa lo si può liberamente criticare o ignorare, ma in nessun caso si può rispondere con gesti repressivi e violenti.

Il Corano sostiene davvero questo approccio tollerante?

Nel Corano non c’è nessuna indicazione che giustifichi l’uccisione dei ‘blasfemi’. Un versetto ordina semplicemente di "non sedere con loro a meno che non si mettano a parlare d’altro". Nelle biografie di Maometto troviamo sì episodi in cui vengono uccisi alcuni autori satirici, episodi che poi sono stati utilizzati nel Medioevo per giustificare leggi repressive. Tuttavia, se guardiamo meglio, vediamo che la loro uccisione è dovuta al fatto di avere fomentato la guerra e la violenza contro musulmani, non per il fatto di averli insultati. Per cui, sì: un buon musulmano non deve condonare la violenza e la censura.

Ma Rushdie ha davvero scritto cose blasfeme nei ‘Versi satanici’?

Beh, l’allegoria di Maometto che vi si ritrova contiene elementi che possono spingere i musulmani a sentirsi insultati, ad esempio il fatto che al Profeta siano attribuite come mogli delle prostitute. D’altronde, anche molti cristiani si sentirono offesi dal film ‘L’ultima tentazione di Cristo’ di Martin Scorsese. Ovviamente questo non giustifica in alcun modo l’uccisione di qualcuno.

Alcuni ritengono che la maggiore tolleranza nel mondo cristiano sia dovuta ai principi stessi di quella religione, altri la attribuiscono all’effetto ‘mitigante’ dell’Illuminismo
e della secolarizzazione.

Ma da un punto di vista teologico, come pure sociale, non c’è ragione per cui l’Islam non dovrebbe muovere nella medesima direzione. Dopotutto, le leggi contro la blasfemia nei Paesi cristiani sono state a lungo perfino più severe di quelle islamiche. Non dico che non ci troviamo di fronte a una sfida enorme, ma gli europei dovrebbero sapere che il contesto in cui ‘ribolle’ questo cambiamento è un mondo musulmano assai vario e pieno di sfumature: basti pensare alla differenza tra Paesi quali l’Arabia Saudita e l’Iran e altri come la Bosnia, chiaramente europea e tollerante, ma anche musulmana.

È anche un mondo globalizzato, in cui le parole di qualche guida spirituale in Medio Oriente possono armare la mano di terroristi a Parigi e New York. L’attacco a Rushdie non ne è pure l’ennesimo esempio?

Certo, la globalizzazione gioca un ruolo importante, come succede anche con la diffusione dei discorsi d’odio e del suprematismo bianco: l’aggressore di Rushdie era entrato in contatto con le agenzie iraniane della radicalizzazione. Per fortuna, allo stesso modo si sono globalizzati approcci liberali, che oggi sono accessibili più facilmente anche nelle società più conservatrici.

In effetti anche alcuni intellettuali musulmani iraniani hanno stigmatizzato l’aggressione, respingendo esplicitamente l’idea dell’‘omicidio in nome dell’Islam’ e denunciando derive dispotiche. Tuttavia lei stesso, quando nel 2017 in Malesia ha tenuto una conferenza sull’apostasia, è stato arrestato dalla polizia religiosa e cacciato dal Paese, con l’accorato invito a non farsi più vedere. Hanno perfino messo al bando un suo libro.

In effetti è vero che mi hanno arrestato e cacciato, e finora ho seguito scrupolosamente l’invito a non tornare in Malesia! (Ride, ndr). Però erano musulmane anche le persone che mi avevano invitato, segno che anche lì una parte della società ritiene che la religione e i suoi precetti non possano affatto essere imposti con la forza, e che i diritti umani siano importantissimi.

Ora lei si trova al Cato Institute, istituzione ‘libertarian’ nota soprattutto per la difesa di principi come il taglio delle tasse e il ‘meno Stato’. Un pensatoio nel quale ci si immagina che Friedrich von Hayek e Milton Friedman siano letti più spesso e volentieri del Corano. Cosa ci fa lì?

Lei dimentica che il Cato Institute è un faro del liberalismo classico, ovvero di quella filosofia politica che affermò la tolleranza e la libertà religiosa nel mondo cristiano, lacerato da conflitti e oppressione di stampo religioso. Il mio compito al Cato è quello di esplorare come idee analoghe di libertà e tolleranza possano svilupparsi nel mondo musulmano contemporaneo. Il mondo cristiano ha svolto un lungo percorso verso valori di libertà di stampo illuminista, grazie al lavoro di pensatori come John Locke: ritengo che sia ora di affrontare la stessa sfida nell’Islam, per un passo avanti ‘à la Locke’ nel pensiero musulmano.

L’INCONTRO

Summit e Forum dedicati al Medio Oriente

La quinta edizione degli incontri e seminari del Middle East Mediterranean (Mem) summer summit si è aperta giovedì 18 agosto e si conclude domani con il Forum, trasmesso in streaming sul sito del Mem a partire dalle ore 9 di mattina (mem-summersummit.ch/forum). Durante le sessioni del Forum, politici, accademici e intellettuali dibatteranno sulle sfide legate al Medio Oriente Mediterraneo, anche alla luce del conflitto in Ucraina. Tra i partecipanti, in presenza oppure online, oltre ad Akyol: Shamma Al Mazrui, ministra delle Politiche giovanili degli Emirati Arabi Uniti, la principessa Rym al-Ali di Giordania; Leila Benali, ministra della Transizione energetica e dello sviluppo sostenibile del Marocco; Natasa Pilides, ministra dell’Energia, del commercio e dell’industria della Repubblica di Cipro. Una bella occasione per ascoltare testimonianze dirette e confrontarsi con visioni diverse su un’area del mondo vivace e complicata.

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