Pensiero

Le follie del Premio Nobel Montagnier

Seguendo il filosofo Alvin Goldman, scopriamo come orientarci tra le dichiarazioni degli esperti. Che anche se con Nobel possono dire fesserie

Luc Montagnier, un Nobel e le sue bufale (Keystone)
2 maggio 2020
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Tutte le prove di cui disponiamo indicano che il nuovo coronavirus SARS-CoV-2 è di origine naturale: così scrivevamo il 27 marzo scorso e così occorre ribadire, a poco più di un mese di distanza, dal momento che con qualche variazione la bufala sull’origine artificiale del virus continua a circolare, nonostante la comunità scientifica concordi sul salto di specie, avvenuto verosimilmente in un mercato di animali selvatici.

Variazioni nella bufala, dicevamo: non più un’arma biologica accidentalmente liberata, bensì un vaccino per l’HIV che i cinesi stavano sviluppando usando il coronavirus come vettore. La prova starebbe nella presenza, all’interno del genoma del nuovo coronavirus, di alcune sequenze del virus dell’HIV; ma il problema non sono le prove – come si vedrà, praticamente inesistenti – bensì l’autorevolezza di chi, in un’intervista, ha rilanciato questa bufala: un virologo premio Nobel per la medicina. E giustamente un non esperto in questioni di virus e genomi – cioè la maggioranza della popolazione – si chiede per quale motivo non dovrebbe credere alle parole di una persona che ha vinto quello che è considerato il massimo riconoscimento scientifico, fidandosi invece di quanto scritto da dei comuni ricercatori su una rivista scientifica.

Come cercare un centro di gravità permanente

Il caso Luc Montagnier – perché è del biologo francese, premiato nel 2008 per la scoperta proprio del virus dell’HIV, che stiamo parlando – mostra, in maniera forse drammatica, un problema ben più ampio: come può una persona comune valutare l’opinione di un esperto e, in caso di disaccordo, scegliere di quale esperto fidarsi? In soccorso, una volta tanto, viene la filosofia: a questo interrogativo ha infatti provato a rispondere Alvin Goldman, proponendo in un articolo del 2001 (“Experts: Which Ones Should You Trust?”, pubblicato in ‘Philosophy and Phenomenological Research’) alcuni criteri che, per quanto imperfetti, possono aiutare. L’epistemologo statunitense ha infatti lasciato da parte l’approccio teorico e astratto tipico della sua disciplina cercando una soluzione pratica a un problema pratico: in quanto principianti non possiamo certo discutere i dettagli delle affermazioni degli esperti.

Vediamo dunque i cinque criteri di Goldman, tenendo presente che si tratta di massime più che di norme. Il che spiega perché il primo criterio stona con quanto detto prima: “Esamina gli argomenti presentati”. Come possiamo, da non esperti, esaminare gli argomenti degli esperti? Senza entrare nei dettagli, una valutazione generale la possiamo comunque fare, risponde Goldman. La tesi di Montagnier, come accennato, si regge sul fatto che i genomi di HIV e SARS-CoV-2 hanno parti in comune; ma, ribattono i critici, si tratta di sequenze talmente brevi che non solo è normale trovarle in specie diverse, ma sono comuni a molti esseri viventi. L’idea che un testo breve ricorra in più testi non richiede di essere esperti, per cui possiamo segnalare una (parziale) sconfitta per Montagnier.

Il secondo criterio di Goldman è l’accordo di altri esperti. Anche qui, non è un criterio risolutivo: la maggioranza può certamente sbagliarsi, ma è più facile che si sbagli un singolo. Come accennato, che il nuovo coronavirus sia di origine naturale è opinione largamente condivisa dalla comunità scientifica e l’articolo scientifico di riferimento è apparso sulla prestigiosa ‘Nature Medicine’, anche se nella sezione ‘correspondence’ in genere non sottoposta a peer review. Per contro, Montagnier cita due articoli, uno mai pubblicato (gli autori l’hanno ritirato visti grossi problemi emersi nel loro lavoro) e l’altro apparso in una cosiddetta rivista predatoria, di quelle che pubblicano di tutto basta che l’autore paghi. Netta sconfitta per Montagnier.

Terzo criterio: prove che l’esperto sia effettivamente un esperto. Perché purtroppo capita che il climatologo che nega il riscaldamento globale abbia in realtà una laurea triennale in economia, o che il rappresentante della tal organizzazione internazionale abbia semplicemente collaborato con una sottocommissione. Questo criterio Montagnier lo soddisfa comunque in pieno, avendo come detto vinto un Premio Nobel per la medicina – ma lo soddisfano anche gli altri ricercatori, pur senza Nobel. Parità, quindi.

Quarto criterio: conflitti d’interesse e pregiudizi. Nulla di compromettente né per Montagnier, né per gli scienziati che sostengono l’origine naturale del nuovo coronavirus. Vale comunque la pena segnalare che Luc Montagnier ha legami professionali con la Cina, nazione che ha tutto l’interesse a far dimenticare dove e come è avvenuto il salto di specie – e certo la tesi dell’esperimento fuori controllo non è molto meglio, ma se non altro crea confusione sull’origine del virus. Diciamo che anche questa è finita in parità.

Quinto e ultimo criterio: i precedenti dell’esperto. Montagnier ha scoperto il virus dell’Hiv: cosa si vuole di più? In realtà, si può volere qualcosa di meno: purtroppo dopo quella scoperta il virologo ha sostenuto diverse tesi pseudoscientifiche, dalla papaya fermentata come cura per Parkinson e autismo a una ricerca sulla memoria dell’acqua condotta con pressappochismo (e pubblicata su una rivista di terz’ordine diretta dallo stesso Montagnier), tanto da meritarsi un capitolo nel bel volume ‘Strafalcioni da Nobel’ di Silvano Fuso (Carocci 2018). E val la pena ricordare la protesta, firmata da 45 premi Nobel, quando Montagnier è stato nominato direttore del Chantal Biya International Reference Centre.

Tirando le somme, pur non essendo esperti possiamo concludere con ragionevole sicurezza che la tesi di Montagnier non è da prendere sul serio.

Con pathos, dalla parte degli esperti

I cinque criteri Goldman, tuttavia, raccontano solo parte della storia del rapporto tra esperti e non esperti. Come argomenta, riprendendo Aristotele, un altro filosofo, Massimo Pigliucci, allo scienziato che vuole condividere quello che sa non bastano il “logos” e l’“ethos”, cioè le conoscenze e la credibilità data dai titoli di studio: serve anche il “pathos”, la capacità non solo di comprendere le preoccupazioni del pubblico ma anche di farsene carico, insomma mostrare che non è solo una questione di conoscenza.

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