Chiude il format televisivo, con quattro concerti rilanciati anche da ‘Paganini’. Prosegue spedito quello radiofonico. Parla Marco Kohler.
Escono inizialmente sul canale YouTube Rsi Musica, una ogni venerdì a partire da domani, 7 febbraio, poi andranno in televisione durante l’anno, con una sorpresa che ci illustra Marco Kohler in persona, responsabile della versione ‘cinematografica’ delle Confederation Music Sessions e di quella radiofonica (basta togliere ‘Sessions’), che al contrario di quella televisiva continua la sua corsa. Si apre infatti domani l’ultima serie di concerti delle Confederation Music Sessions. «È stato prima di tutto un sogno che si è realizzato – commenta Marco – e poi un percorso che ha aperto porte inaspettate. In tre anni si è creata una fila di musicisti che speravano di partecipare, anche dal Regno Unito, formazioni alle quali abbiamo dovuto spiegare che il format era riservato alla musica svizzera. Questo dimostra che un prodotto così curato come il nostro rimane sì una proposta di nicchia che non genera le visualizzazioni del mainstream, ma ha un suo perché e rende onore al nostro lavoro».
Sono quattro invece che cinque concerti i concerti della nuova stagione, e la novità di questa edizione è la joint venture con ‘Paganini’, altro storico appuntamento di Rsi La 1. «Per questo devo dire grazie a Christian Gilardi che ha creduto fino all’ultimo in questo progetto. Abbiamo lavorato a queste puntate con maggiore attenzione all’aggancio culturale con quella trasmissione». Il primo appuntamento, quello di venerdì 7 febbraio, faceva anch’esso parte di sogni di Kohler e ora è realtà: Flèche Love, ovvero Amina Cadelli, singer-songwriter svizzero-algerina nata a Ginevra, dal 2011 al 2015 cantante e autrice per i Kadebostany, poi dal 2017 in dimensione solista, i due album ‘Naga’ parte prima e seconda e il più recente ‘Guérison’. «La vidi per caso all’Église de Saint-François a Losanna in formazione acustica, violoncello, chitarra acustica a clarinetto. Essendo l’ultimo disco piuttosto elettronico, rimasi folgorato dalla suggestione della voce di Amina e dalle vibrazioni magrebine della sua musica».
Eccoci al 14 febbraio per Garbologist, uno dei progetti di Leonardo Guerra, ticinese che vive nella Svizzera tedesca, sound designer amante del low-fi e del noise. «Il nome Garbologist è ispirato a un’installazione dell’Art Club 2000, un collettivo artistico newyorkese degli anni 90 che aveva usato la ‘garbologia’ per criticare il consumismo della fast-fashion; di fatto, la ‘garbologia’ è lo studio della cultura attraverso la spazzatura». Traslato in musica: «Guerra riflette su quel che buttiamo via e che invece potremmo tenere, è una critica agli sprechi. Non a caso nella sua sessione presenta i suoi musicisti come i suoi ‘sacchi della spazzatura’». Il set è stato prodotto appositamente per le Confederation Music Sessions, perché Garbologist non è mai stato pensato per il live.
Quella di venerdì 21 febbraio è «una chicca sperimentale» rappresentata da Louis Jucker, 38enne cantautore che ha chiesto i servigi del Nouvelle Ensemble Contemporain di La Chaux-de-Fonds, orchestra composta da musicisti classici. «Questa orchestra – spiega Kohler – gli aveva commissionato un’opera, lui ha risposto: “Sì, va bene, ma voglio anche costruire gli strumenti”». L’album si chiama ‘Suitcase Suite’ ed è suonato con vere e proprie valigie. «Louis è un feticista delle valigie, le trova nei mercatini delle pulci; da vero artigiano DIY le trasforma in strumenti musicali». Lasciamo allo spettatore la visione di forme e linee delle creazioni di Jucker. «Il progetto è concepito per il teatro, dunque il suono esce da piccoli altoparlanti da autoradio inseriti nelle valigie, un suono che abbiamo microfonato con qualche difficoltà». L’ultimo atto di Confederation Music Sessions, il 28 febbraio, è Terry Blue, al secolo Leo Pusterla ed Eleonora Gioveni, ben noti a queste latitudini. «Il loro set mi ha commosso. Avevo avuto un assaggio di quel che potevano essere in versione duo dalla loro esibizione a Le grand soir su Rts, trasmissione della quale sono stato ospite».
Chiudiamo come ogni anno chiedendo a Marco come se la passa la musica svizzera. «Quella indie, di cui mi occupo, è viva e vegeta e scalciante, ma ne abbiamo sempre di più, forse anche troppa per le dimensioni di questo nostro Paese. La torta rimane quella, gli spazi iniziano a scarseggiare e trovare date diventa impresa sempre più ardua. Non a caso ci sono diverse realtà svizzere che svolgono almeno una parte della loro attività concertistica al di fuori dei confini nazionali. Se invece vogliamo fermarci alla proposta, stiamo sempre salendo di livello». B.D.