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‘Tomorrow Is a Long Time’, un grido silenzioso di nonviolenza

Nel film di Zhi Wei Jow una ricerca di pace che, forse, è possibile solo nella natura, lontano dalla violenza umana

In concorso al Film festival diritti umani Lugano
25 ottobre 2023
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Continuano le proiezioni toccanti inerenti i diritti umani dell’Film festival Diritti umani a Lugano, tra forti emozioni e spunti di riflessione d’ogni tipo, con documentari e prodotti di finzione che colpiscono e arrivano direttamente al cuore. Tra di essi, ‘Tomorrow Is a Long Time‘ di Zhi Wei Jow si contraddistingue dalla centralità del tema della violenza, strettamente legato all’abbandono, con un portrait di Singapore cui forse non siamo abituati: città-Stato conosciuta come uno dei più importanti centri finanziari del mondo, seconda per densità di popolazione solo al Principato di Monaco, qui risulta invece svuotata di persone e il suo lato cosmopolita e di pluralità etnica è visibile solo nella sofferenza che accomuna un po’ tutti i personaggi, ognuno con le proprie magagne personali da affrontare. La felicità quasi non esiste e una sensazione di disagio accompagna lo spettatore per tutta la durata del film, con solo due o tre momenti di sollievo, per poi ritornare alla dura e cruda realtà.

Gangs of Singapore

La storia narra le vicende di Chua e Meng, padre e figlio, che vivono nella periferia cittadina, modestamente e con difficoltà, a causa della loro precaria situazione economica. Chua, silenzioso, depresso e da poco vedovo, spruzza pericolosi pesticidi per vivere, retribuito miseramente e costretto a fare molti straordinari, mentre Meng subisce le percosse di alcuni bulli a scuola. In seguito alla morte di un collega, abbandonato per strada perché immigrato illegalmente, Chua si sfoga con il figlio e anche quest’ultimo, nel tentativo di entrare in questa piccola gang di bulli, scarica la propria frustrazione contribuendo al pestaggio di un giovane violinista per strada. In seguito alla morte del ragazzo, Meng viene additato falsamente dagli altri come leader del gruppo e quindi artefice dell’assassinio, per questo motivo è costretto ad arruolarsi nell’esercito per ottenere il perdono. Pattugliando la giungla, stringe un legame d’amicizia con Kishod, con cui condivide il forte senso di malessere di vita. Il piccolo manipolo viene attaccato da ignoti con armi ad aria compressa e Kishod viene ferito alla testa, costringendo la separazione del gruppo: Meng rimane al suo fianco ma, il mattino seguente, l’amico scompare, costringendolo a proseguire solo e abbandonato.

Solitudine e abbandono

‘Tomorrow Is a Long Time’ è un dramma spietato e granitico, senza possibilità di redenzione; è il riflesso di un giovane introverso che cerca in tutti i modi di evitare la violenza, la quale però lo avvolge come un’ombra. Le strade grigie e vuote di Singapore si contrappongono alla giungla verde, colorata, ma ovunque aleggia un mal de vivre che sembra ineluttabile; l’atto di mettere le mani addosso a qualcuno risulta quindi profondamente radicato nell’essere umano e la sola soluzione possibile sembra essere l’allontanamento dalla società. Una messa in scena composta prevalentemente da quadri fissi e movimenti di camera lenti e leggeri, come se andassero a passo d’uomo, lo stesso del giovane Meng, che subisce molti aspetti della trama e trova un’apertura solo condividendo con Kishod il proprio sogno di diventare cantante. Un senso di solitudine e di abbandono inflessibile, sottolineato a tratti dal montaggio filo-intellettuale ejzensteiniano che gioca con i simboli: un tapiro indifeso nella foresta che riflette Chuan e Meng, una ragnatela appesa da un piccolissimo filamento e che potrebbe spezzarsi, distruggendo la propria casa, o intimità, un cielo azzurro che però solo si intravede perché coperto, a tratti, dalle foglie degli alberi. Un ritmo tranquillo, solenne, come sospeso, atto a prolungare il logoramento che vivono padre e figlio, quindi quello dello spettatore, che è in un certo senso inchiodato, proprio a testimonianza di questa impossibilità di sfuggire alla violenza, sia essa perpetrata o subita.

La quasi totale assenza di colonna sonora contribuisce ulteriormente al senso di realismo, estremamente presente, ma anche alla contemplazione ed è quindi molto lo spazio concesso alla riflessione. Un film, dunque, senza quasi alcuno spiraglio per la giustizia, annichilita da un discorso che non sembra lasciare possibilità per un futuro migliore, pacifico, che sembra ricalcare il testo dell’omonima canzone di Bob Dylan.

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