L’intervista

Tutte le donne di Eva Cantarella

Ospite (imprevedibilmente a distanza) di Sconfinare, sabato a Bellinzona la giurista e accademica italiana riflette sui ‘Confini del femminile’

Eva Cantarella
11 ottobre 2023
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È giurista e accademica, ha insegnato Istituzioni di Diritto romano e di Diritto Greco antico all’Università degli Studi di Milano fino al 2010. È Global Professor nella Law School della New York University e ha insegnato, inoltre, a l’École Normale Superieure di Parigi, alla Scuola Archeologica Italiana ad Atene e nelle Università di Austin, Barcellona, Granata e Santiago de Compostela. I suoi libri sono tradotti in tutto il mondo.

Sabato 14 ottobre, Eva Cantarella sarà ospite – in collegamento online e non in presenza, come precedentemente annunciato – di Sconfinare, il Festival culturale che dal 12 al 15 ottobre animerà Piazza del sole a Bellinzona con un programma composto da quindici eventi interdisciplinari volti a farci riflettere sul rapporto che costruiamo con il passato e con il futuro, sul legame tra storia e memoria, sui confini tra memoria e tradizione.

Eva Cantarella, l’evento che la vedrà protagonista è intitolato ‘I confini del femminile’. Nel corso della sua carriera ha sfondato diversi confini, in particolare quelli di genere. Come è stato per lei inseguire le sue ambizioni in quegli anni?

Ai tempi, in Italia, quando mi sono iscritta all’Università nella facoltà di Giurisprudenza, gli studenti erano quasi tutti uomini e tutti e solo uomini erano anche i professori. Non c’era una donna che insegnava. Questa mancanza di rappresentazione è stata per me uno stimolo a studiare di più, se volevo veramente diventare un avvocato, come allora pensavo di fare.

Lei ha proseguito i suoi studi negli Stati Uniti e poi ha intrapreso una brillante carriera in Italia. Ha inoltre pubblicato numerosi libri divulgativi. Il suo impegno politico parte dal suo vissuto personale. È lecito definirla un’attivista ancor prima che diventasse una moda?

Attivista in che senso? Sono stata certamente molto attiva nel cercare di portare avanti questo tipo di battaglie e negli anni in cui si usava manifestare pubblicamente le proprie idee e pretese, partecipavo con convinzione alle proteste pubbliche, ma questa è partecipazione politica, no?

Io mi riferivo in particolare al suo divorzio, avvenuto nel 1974, che lei definì “un divorzio per ideologia”…

Sì, è vero! E mio marito era molto contrario! (ride, ndr) Era stato ammesso il divorzio dopodiché era stato fatto un referendum abrogativo, per cancellarlo. Io ho trovato la cosa talmente pazzesca e intollerabile, per cui non potevo accettare un sistema giuridico così arretrato. Mio marito era contrario, essendo un sociologo, mi ricordava che le istituzioni contano, ma alla fine l’ho convinto e abbiamo divorziato. Ora mi rendo conto che questo è stato un mio estremismo giovanile, ma non mi sono pentita di averlo fatto… anche se poi, anni dopo, ci siamo risposati.

Il diritto al divorzio è fondamentale, ancor di più se si pensa a situazioni sensibili, come nei casi in cui è necessario tutelare persone che subiscono violenza psicologica, economica o fisica all’interno del matrimonio. L’articolo 55 del Codice Penale svizzero, in merito al perseguimento di reati commessi tra coniugi o tra partner recita: “in caso di lesioni semplici […] il pubblico ministero può sospendere il procedimento se: a) la vittima è il coniuge o il coniuge divorziato dell’autore e il fatto è stato commesso durante il matrimonio o nell’anno successivo al divorzio. […] c) Oppure se la sospensione appare idonea a stabilizzare o migliorare la situazione della vittima.”. Cosa ne pensa Eva Cantarella?

Penso che una disposizione di questo genere induce in me molte perplessità. Senza entrare nel merito della seconda parte che è già più delicata, devo dire che, pensando tra l’altro a come sono cambiati i rapporti fra i generi, mi sembra fortemente anacronistica. E a questo proposito, confessando la mia ignoranza in merito, mi piacerebbe sapere quale sia in Svizzera la percentuale delle donne tra i titolari del potere legislativo. Tuttavia, l’impressione è che questo articolo abbia un’impronta maschilistica superata.

Lei è un’esperta di diritto romano e di diritto greco antico. Quanto di questa impronta maschilistica è stata ereditata attingendo da queste due realtà?

Per prima cosa diciamo che tra Grecia e Roma c’è una bella differenza. I greci: dire che erano misogini è poco. I greci non prendevano le donne in alcuna considerazione, ovviamente al di là del loro dovere di riprodurre il corpo cittadino. Dal punto di vista giuridico e sociale la condizione delle donne romane era di gran lunga migliore. Anche se all’inizio non esisteva questa differenza, la situazione cambia rapidamente: all’epoca di Augusto le donne avevano raggiunto un livello di grande emancipazione, studiavano, esistevano delle donne avvocate, godevano di una libertà che peraltro nei secoli successivi venne molto limitata, reintroducendo molte discriminazioni che tra il V e VI secolo dC vennero codificate nel ‘Corpus iuris civilis’ di Giustiniano, rimasto alla base di tutti i codici successivi.

La società romana non discriminava le donne?

Certamente la società romana discriminava le donne, ma molto meno rispetto a quella greca, le donne a Roma diventano parte attiva della vita cittadina, con il ruolo ben preciso di madri, che non era solo un ruolo biologico: le donne romane si occupavano dell’educazione dei figli adolescenti, contribuivano a trasferire ai figli i valori di cittadini, peraltro ovviamente valori maschili. Il figlio adolescente usciva con il padre, andava nella piazza, partecipava all’assemblea, ma i valori e i principi base del comportamento venivano inculcati in loro anche dalle madri. Cosa questa che peraltro, è purtroppo paradossale, comporta che siano state loro, a partire da quei secoli, a trasmettere ai figli dei valori esclusivamente maschili.

Ci sono voluti secoli per mettere in discussione questa educazione, della quale ancora oggi si sentono le conseguenze.

Ha degli esempi recenti che dimostrano la resistenza di questa cultura maschilista ancora oggi?

Mi è capitato un paio di anni fa, al mare, sulla spiaggia vicino a una mamma con due piccoli: un bambino e una bambina. C’erano delle piccole onde, il bambino vi sguazzava, ma quando la sorella si avvicina all’acqua la madre la ferma. E alla sua domanda della ragione della discriminazione rispetto al fratello, la madre risponde che “lui è un maschio”. Può sembrare una banalità, ma purtroppo è molto significativa.

In conclusione, vogliamo ricordare una delle donne della storia antica che lei ha studiato, ma che per una ragione o per l’altra è ancora oggi poco conosciuta?

A Roma ci sono state delle donne molto interessanti, certamente. Se lei apre le letterature odierne, quelle sulle quali si studia oggi a scuola, tra i poeti romani non troverà Sulpicia, una donna che scrive bellissime poesie nell’età di Augusto, quindi nel momento dell’emancipazione delle donne, come abbiamo detto. Sulpicia è innamorata di un certo Cerinto, e scrive delle poesie d’amore a lui dedicate che peraltro non appaiono quasi mai nelle letterature latine.

La ragione sta nel fatto che apparisse così strano – e inaccettabile – che una donna scrivesse poesie degne di entrare nel ‘canone’ che le sue poesie sono state attribuire a Tibullo. Questa la ragione per la quale Sulpicia è sparita dalle letterature latine e solo da pochi anni alcuni autori le rendono finalmente giustizia.

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