Culture

Dalla Svizzera alla Valposchiavo, melting pot di lingue e idee

Paolo Di Stefano con Massimo Gezzi, Laura Di Corcia con Andrea Fazioli, Frédéric Pajak: estratti dai 3 giorni di ‘Lettere’

L’edizione 2024 si terrà dal 4 al 6 ottobre. Nella foto, Pajak con Ruth Gantert
(A. Belluscio)
8 ottobre 2023
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‘In bilico’ è il titolo che Begoña Feijoó Fariña ha voluto dare alla III Edizione della sua creatura, il festival letterario ‘Lettere dalla Svizzera alla Valposchiavo’. E l’apertura della kermesse, venerdì scorso, ha visto proprio in bilico sui suoi trampoli la performer Ledwina Costantini, impegnata in un’altra replica di ‘Vulcano’ (produzione Rete 2, notata la presenza del direttore Rsi Mario Timbal). Sabato si è poi entrati nel vivo della rassegna, quando sul palco – in colloquio con Massimo Gezzi – è salito Paolo Di Stefano.

Inviato del Corrierone milanese dopo un’esperienza editoriale alla Repubblica di Eugenio Scalfari (“Le riunioni col direttore le chiamavamo le messe cantate!”), Di Stefano ha spiegato il suo passaggio da giornalista a scrittore: “Da giornalista vedo e ascolto; da scrittore dapprima vivo un’empatia col mio interlocutore e poi la narrazione mi permette di creare e di fantasticare”. Gezzi definisce questo modus operandi come “filologia dell’ascolto”. E Paolo, che si è laureato a Pavia proprio in Filologia romanza con Cesare Segre, ha molto gradito la definizione! “La svolta c’è stata quando ho pubblicato ‘La famiglia in bilico’ (!, n.d.r.). Avevo raccolto molte testimonianze di coppie in crisi e ho cercato di trasmettere le loro emozioni”. I suoi romanzi sono definiti racconti polifonici e a tal proposito ricorda un aneddoto: “Una sera, un tipografo del Corriere della Sera (CdS) volle raccontarmi la sua storia. Era siciliano, figlio di una ventenne e di un 80enne bello vispo! Abbiamo parlato per ore e poi la sua storia è finita nel mio libro ‘Vita di italiani non illustri’. Il tipografo si chiamava Nino Motta e Di Stefano confessa di avergli rubato il nome per figurare quale autore di due gialli (‘La parrucchiera di Pizzuta’ e ‘Ragazze troppo curiose’).

Nei suoi romanzi polifonici non manca mai qualche nota biografica di luganese di Sicilia: “Talvolta è complicato sintonizzarsi con tutte le tonalità, le inflessioni dialettali dei miei interlocutori e poi trasmettere attraverso la scrittura le loro intime sensazioni. Sono felice quando credo d’esserci riuscito”. Stessa genesi per ‘La catastròfa’ (neologismo franco-calabrese), che rievoca la tragedia dell’agosto 1956, quando in una miniera di carbone in Belgio morirono 262 persone, di cui 136 minatori italiani: “Stavo seguendo per il CdS il Giro d’Italia, che in quell’occasione partiva proprio da Marcinelle per ricordare la tragedia. Mi vennero letteralmente incontro voci di sopravvissuti o parenti delle vittime che raccontavano il dramma come fosse accaduto pochi giorni prima, quando invece era passato mezzo secolo. Tra queste, quella di un siciliano uscito vivo dal disastro, che però non ha mai voluto lasciare il Belgio. Diceva peste e corna del governo italiano, puntando il dito in particolare contro Alcide De Gaspari, il quale accettò il patto ‘minatori italiani in cambio di tonnellate di carbone’. Quando ormai aveva gli occhi fuori dalle orbite per una rabbia covata da anni, squillò il suo telefonino: la suoneria? L’Inno di Mameli!”. Di Stefano ha poi chiuso con un consiglio di lettura: “I racconti di Roberto Bartolini, dall’umorismo contagiosamente irresistibile”.

‘Immergere l’Io nella Storia’

La presenza ticinese è stata rappresentata dall’incontro tra Laura Di Corcia e Andrea Fazioli. Entrambi si dicono subito impegnati nel tentativo di ‘rinnovarsi nella scrittura’, Fazioli sottolinea lo sforzo della poetessa “di immergere l’Io nella Storia”. Il loro colloquio sfocia nella filosofia: del resto, Fabio Pusterla ha definito “poesia della metamorfosi” il lavoro di Di Corcia, la quale conferma di dibattersi – in senso ontologico – tra la visione di Parmeide sull’Essere immutabile e quella di Eraclito, che parla invece di Eterno divenire. C’è sovente il ritorno, dopo il distacco e la lontananza, magari in un futuro che Laura definisce “la riscrittura di un trauma”. Versi impegnativi, che si colorano di dramma quando si rievoca, nella lirica ‘Salem, 1692’, il trauma vissuto dalla bambina di Keiko Ogura – riportato come se l’io lirico fosse la bambina giapponese sopravvissuta allo scoppio della bomba atomica (“80mila anime volate in cielo, 80mila brandelli di me”). L’atmosfera si stempera poi grazie ai simpatici siparietti tra i due conferenzieri, con Andrea che legge qualche altro verso da ‘Diorama’ (raccolta del 2021), lasciando poi a Laura il compito di spiegare gli endecasillabi più arcani.

In punta di pennello

Nell’impossibilità di commentare tre giorni di kermesse – seguiti da un pubblico numeroso e puntualmente attento – abbiamo puntato su Frédéric Pajak (Premio svizzero di Letteratura e Prix Goncourt pour la biographie), polivalente artista franco-svizzero, scrittore prolifico che illustra le sue biografie (da Cesare Pavese a Van Gogh, da André Breton a Paul Èluard, passando da Fernando Pessoa, Ezra Pound, e tra gli altri Emily Dickinson) con i suoi pregevoli schizzi in punta di pennello di china. Una lunga serie che ha intitolato ‘Manifestes Incertains’.

Lo incontriamo di ritorno da una gita a Sils Maria, nei paesaggi engadinesi cari a Nietzsche e Rainer Maria Rilke. Al primo ha dedicato uno dei suoi Manifesti (in coabitazione con Cesare Pavese: “Orfani sotto il cielo di Torino”, recita il sottotitolo); di Rilke ci rivela che ha studiato le civiltà Azteca e Maya con l’amico Walter Benjamin, altro protagonista di uno dei ‘Manifesti incerti’. È impressionante il lavoro di ricerca svolto da Pajak prima di dare alle stampe le sue biografie. L’autore ribadisce però più volte che i disegni non illustrano i testi: “Sono a sé stanti, talvolta staccati da ciò che scrivo. Vorrei che i miei libri si considerassero nel loro insieme, un unicuum. E sono stato fortunato nel trovare in Blanc sur noir un editore che mi lascia assoluta libertà. Sono io a scegliere carta e copertina, presento il libro già impaginato come lo ritroverò in libreria, senza che nessuno ci metta mano”.

Begoña Feijoó Fariña ha fortemente voluto Pajak a Poschiavo, organizzando altresì – in collaborazione con la Pro Grigioni italiano – una mostra dei suoi disegni, che resterà aperta sino al 15 ottobre. Nel salutare il pubblico, gli scrittori intervenuti e Massimiliano Zampetti per le sue letture, la Direttrice Artistica di Lettere dalla Svizzera alla Valposchiavo ha sottolineato come “tutti hanno vissuto la realtà poschiavina, creando fra di loro, gli abitanti e il pubblico, un melting pot di idee e di lingue, molte più delle quattro nazionali cui il Festival è dedicato. Abbiamo percorso strade, ascoltato parole anche dolorose; ma abbiamo pure riso e creato una grande armonia”.

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