laR+ NOBEL PER LA LETTERATURA

Jon Fosse, la scrittura come mistero dell'esistenza

Il vincitore del massimo riconoscimento letterario presentato dalla sua traduttrice in lingua italiana

In maniera pacata e senza la minima boria
(Keystone)

Autore di oltre settanta opere che spaziano dal romanzo al teatro, dai saggi alle poesie, dalle novelle ai libri per l’infanzia, il norvegese Jon Fosse è stato insignito del Premio Nobel per la Letteratura, quello che lui stesso ha definito “il più alto riconoscimento letterario esistente”. Lo ha dichiarato alla NRK durante la brevissima intervista che ha rilasciato appena ricevuta la notizia, aggiungendo in maniera pacata e senza la minima boria, che la cosa lo ha stupito, ma non troppo, dal momento che da anni era candidato al Nobel.
Questo è in nuce Jon Fosse. Un uomo che per anni ha calpestato i palcoscenici di tutto il mondo per presenziare alla prima delle sue pièce e che poi si è ritirato dalle luci della ribalta perché per lui affrontare il pubblico, i critici, i giornalisti aveva un prezzo enorme, un costo a livello umano che per via del suo essere schivo richiedeva un grande consumo di bevande alcoliche. Da qui, la sua decisione di ritirarsi, di convertirsi al cattolicesimo, di dedicarsi completamente alla scrittura, che per lui è una necessità, un modo di vivere il mistero dell’esistenza.

In quanto sua traduttrice sono genuinamente felice di questa onorificenza, ma proprio a prescindere dal fatto che io sia la sua traduttrice, lo sono doppiamente perché Fosse è anche uno dei miei scrittori preferiti. Da sempre. Sono felice perché spero che più lettori si accostino alle sue opere che sono uniche per quanto concerne la forma e lo stile. Jon Fosse scrive di tematiche universali che coinvolgono chiunque. Siamo di fronte a personaggi che devono affrontare situazioni difficili o scelte che riguardano la vita, la morte, la malattia, il proprio futuro, e che per questo motivo sono obbligati a confrontarsi con il proprio passato, ma partendo sempre dal presupposto che anche dove sembra regnare il buio più assoluto, dietro si nasconde sempre la luce. Questo vale sul piano esistenziale, ma soprattutto, come per Asle, il pittore in là con gli anni protagonista del capolavoro di Fosse “Settologia”, la luce e il buio sono ciò che accomunano la religione all’arte. Entrambe rappresentano qualcosa di indicibile, di ineffabile, eppure ogni forma d’Arte ambisce a cercare di riprodurne l’essenza.
Gli ambienti in cui si muovono i personaggi di Fosse sono i villaggi della costa occidentale della Norvegia. Fiordi, paesaggi aspri e duri, un alternarsi continuo di scogli, isolotti, montagne, piccoli appezzamenti strappati alla natura. Lande dove chi ci vive, fa al contempo il contadino e il pescatore. Unica eccezione è Bergen, dove ci si reca per comprare qualcosa di particolare e da cui si riparte. Gli scenari non sono mai descritti in dettaglio, sono atemporali, come per tutto il resto. Fosse usa sempre la lettera maiuscola quando parla del Panettiere, dell’Insegnante, della Moglie, sagome che potrebbero appartenere a qualsiasi epoca.

Per comunicare questo passaggio continuo tra il piano del ricordo, della realtà, del presente e del passato Fosse non usa il punto. Al massimo la virgola. Ed è stato questa una delle sfide maggiori su cui ho lavorato molto in fase di traduzione: la capacità di trasmettere la musicalità, il ritmo di questa narrazione che ti assorbe completamente. Per questo, ho continuato a leggere ad alta voce il testo tradotto fino a quando potesse fluire ininterrottamente anche per il lettore. Le parole sono semplici e si ripetono via via, proprio come un ricordo che riaffiora, ma che ha pur sempre qualcosa di diverso. Parole di una potenza espressiva incredibile. Dietro di esse si nasconde la vita interiore dei protagonisti, che capiamo, intuiamo, sentiamo anche se essa non viene espressa né comunicata a chiare lettere. Lo stesso vale per i dialoghi, scarni, laconici, apparentemente molto concreti, ma che celano il loro profondo valore esistenziale.

Ho la fortuna di conoscere la Norvegia, ci vivo ormai da moltissimi anni, a Oslo, ma conosco bene anche la realtà descritta da Fosse e il carattere di questi uomini norvegesi di poche parole, quasi ruvidi. Un vantaggio enorme perché molte di queste parole così “semplici” che si possono riferire a usanze o cibi normalissimi rappresentano spesso un problema perché richiederebbero troppi vocaboli in italiano e andrebbero a intaccare il ritmo e il flusso di cui parlavo prima. Spero di essere stata in grado di conservare l’autenticità di questa cultura e di averla saputo trasmettere al lettore. Un’ultima considerazione, importante perché non la si può rendere in traduzione, è che Jon Fosse scrive nella seconda lingua ufficiale norvegese, il “nynorsk”, che nella sua forma scritta viene usata solo dall’undici per cento della popolazione. Una scelta voluta dallo scrittore. Insomma, un Nobel che vale il doppio.

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