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Ottavio Lurati, la lingua come un'avventura

La fame di sapere e divulgare, e un posto nel tempio degli studi lessicologici. Renato Martinoni racconta il linguista spentosi a Montagnola

In una foto d’archivio. Per lungo tempo professore all’Università di Basilea, è morto ieri, giovedì 14 settembre, all’età di 85 anni
(Ti-Press)
15 settembre 2023
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Ottavio Lurati aveva 85 anni. Linguista e filologo svizzero, originario di Croglio, si è spento ieri a Montagnola. Era nato e cresciuto a Chiasso; ginnasio e liceo lo avevano portato a Lugano, gli studi di linguistica fino a Basilea – dove, nel 1963, ottenne il dottorato dalla locale Univeristà per la tesi ‘Terminologia e usi pastorizi della val Bedretto’ – e poi Firenze, Salamanca, Montpellier, a fianco dei più grandi studiosi. Punto di arrivo di una appassionata vita di studi, gli oltre cinquanta libri, i duecento articoli accademici, il prestigioso Premio Galileo Galilei per la storia della lingua e un posto tra gli accademici della Crusca, a Firenze.

Scientifico e umano

«Un uomo che trasportava le passioni nel proprio lavoro, mettendoci sempre il cuore e il desiderio ininterrotto di entrare nelle cose per cercare di svelarle e capirle». Questo era Ottavio Lurati, nel ricordo di Renato Martinoni, professore emerito dell’Università di San Gallo, e scrittore, secondo cui il linguista scomparso aveva il carattere e i meriti dei veri studiosi: «Sapeva, da un lato, lavorare in maniera seria, scientifica, dialogando con gli specialisti del suo ramo; allo stesso tempo, sapeva divulgare nel senso migliore del termine il risultato dei propri lavori. Ha pubblicato su riviste prestigiose e allo stesso tempo amava parlare con la gente, nella quotidianità delle tante lettere che riceveva e scriveva, e attraverso le collaborazioni con radio, giornali e riviste. Ecco, in questa sua capacità di lavorare scientificamente e di aprirsi al grande pubblico vedo un valore aggiunto, frutto di un’umanità che non è di tutti».

Uomo curioso, Lurati, nel senso della fame di sapere: «Amava l’avventura all’interno della lingua. Non era un uomo, per così dire, ‘d’ufficio’, amava esplorare, andava al di là di certi confini che la scienza generalmente impone di mantenere». E questo perché «dietro una lingua non c’è solo un significato, o peggio una grammatica, ma anche una mentalità, dei costumi, delle abitudini, delle tradizioni. Lurati faceva questo in maniera seria e molto personale, perché credeva molto nel suo lavoro. Qualche volta arrivava a spiegare cose con una punta di coraggio in più, non sempre in sintonia con altri linguisti. Ma il coraggio, si sa, ha un suo prezzo. Tutto nasceva da una conoscenza molto approfondita, larga e pluridecennale della materia». Quella che gli permette di essere accolto nel «tempio degli studi lessicologici», come Martinoni chiama l’Accademia della Crusca.

Sul campo

Assistente di filologia romanza dal 1968 al 1974, nel 1982 Ottavio Lurati ha presentato la sua tesi di abilitazione alla Libera docenza; nel 1988 è diventato professore associato; nel 1991, professore ordinario di linguistica italiana, sempre all’Università di Basilea; nel 2003, professore emerito. Un cammino che, per Martinoni, ha un punto di partenza decisivo: «Da un lato, Lurati si è formato a Basilea con Walther von Wartburg, suo maestro, uno dei grandi linguisti europei del tempo, nell’ambito dunque della scuola tedesca e di quella francese, pionieristicamente attente, soprattutto la prima, nei confronti della lingua italiana e dei suoi dialetti. Lurati si è insomma formato alla luce degli studi linguistici, lessicologici e dialettologici». Con un valore aggiunto che non molti, anche in Italia, potevano e possono ancora oggi vantare: quello della linguistica comparata, che nasce dalla conoscenza delle lingue e delle realtà linguistiche diverse. «Ottavio Lurati è uno dei pochi che è stato in grado di uscire dalle ricerche mirate sulla lingua italiana, sulle sue parole, sui suoi modi di dire, sui suoi dialetti, per andare a trovare riferimenti in quella europea, tedesca, francese, spagnola, inglese, romancia che fossero. Ha saputo insomma studiare una lingua non solo all’interno della stessa, ma anche in rapporto con le altre». Allo stesso tempo, «curioso della civiltà contadina, preindustriale, e del mondo che la nutriva profondamente, con le sue superstizioni, la sua visione del mondo, le sue tradizioni, era un uomo che ha lavorato sul campo, andando a interrogare le persone (ogni informazione, anche la più piccola, veniva registrata su una scheda), scavando sul rapporto tra le parole e i luoghi, le parole e le tradizioni, le parole e vari aspetti della vita di tutti i giorni: dal modo di pensare alla religiosità, dalle abitudini alle tentazioni, dalla moralità alla trasgressione. Molto interessanti sono per esempio le ricerche sui gerghi degli spazzacamini della valle Verzasca. Un’altro aspetto voglio ricordare: Lurati ha fatto luce sulla dipendenza della lingua dal settore giuridico, andando a spiegare per esempio l’origine di certi nomi di luogo (come “Sala” o “Farra”) con i luoghi che avevano una funzione giudiziaria, per la presenza di un tribunale per esempio. È un ambito che pochi hanno studiato a parte lui».

L’Almanacco

Mentre ci parla, Renato Martinoni scorre in rassegna i libri dell’amico che tiene in casa; nelle sue mani, di Ottavio Lurati, è appena passato ‘Dialetto e italiano regionale nella Svizzera italiana’, anno 1976: «È un libro innovativo per i tempi». Tocca poi a ‘Le parole di una valle. Dialetto gergo e toponimia della Val Verzasca’. Noi rilanciamo con ‘Note sui nomi del Bellinzonese’, una pagina ricchissima di Ticino7, una delle tante della rubrica ‘Etimologia’ che Lurati ha curato per questo giornale. La sua ultima, per l’inserto della Regione, risale al febbraio di quest’anno, incentrata sul far metafora. «Mi sembra importante ricordare un altro aspetto», aggiunge Martinoni: «La sua apertura verso l’Italia del nord, non certo per questioni ideologiche, ma per la vicinanza dei dialetti, in primis quelli lombardi, ai nostri».

Chiudiamo con un ricordo personale: «Il nostro primo incontro – racconta Martinoni – risale alla fondazione dell’‘Almanacco’. La rivista uscì dal 1981 al 1992. Ogni anno Lurati scriveva un saggio dedicato alle tradizioni: ‘Gennaio nella Svizzera italiana’, ‘Febbraio nella Svizzera italiana’, ecc. Sono testi molto leggibili e ricchi di informazioni: andrebbero letti a scuola». E ancora: «Ci siamo conosciuti proprio quando abbiamo fondato la rivista, insieme a Giovanni Bonalumi, Sergio Caratti, Remigio Ratti e altri amici. Poco prima avevo pubblicato un saggio sul lessico dei pescatori del Lago Maggiore. Incontrandomi per la prima volta Lurati mi disse assai perplesso che si aspettava di trovarsi davanti una persona anziana, non un giovanotto di meno di trent’anni. Non so se fosse un complimento oppure no. Ma è un ricordo che mi è rimasto caro».


Wikipedia
Nel 2017

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