Estate giallo-nera

Lo strano caso di Robert Louis Stevenson

Quello ‘del dottor Jekyll e del signor Hyde’, scritto nell'autunno del 1885 in due mesi, pubblicato a gennaio 1886 al costo di uno scellino

Noto anche per ‘L’isola del tesoro’

La lettura degli ultra-classici non somiglia a nessun’altra. E far finta di niente non è così difficile: convincersi di non saperne nulla di nulla. Perché non ne sai nulla in realtà, prima di leggere. Solo che le figure sedimentate nel sapere comune sono materia inerte.

Nel romanzo ‘Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde’, dello scrittore Robert Louis Stevenson, si inizia con una porta e si va avanti con una serie di ‘incidenti’, fin dai titoli dei capitoli: l’incidente della lettera e quello della finestra, tra i due ‘Lo straordinario incidente del Dr. Lanyon’. Ci saranno altre due lettere dopo, dello stesso Lanyon e di Jekyll, che coincidono con l’ultimo capitolo. Quasi un racconto a parte questa “confessione del Dr. Jekyll” che riferisce, riprende e spiega l’accaduto rimasto inspiegabile. Se raccontasse di più, basterebbe a farne un testo autonomo, compiuto. Un alternativo “strano caso”, ancora più drammatico della storia che sigilla. Cosa immaginava di scrivere Stevenson mettendo mano alla sua storia? Aveva già in mente l’idea quando gliela chiesero? Gli chiesero uno shocker, “oggi si direbbe un thriller”, specificano Fruttero & Lucentini nella prima delle note che accompagnano la loro traduzione (Einaudi). L’editore Longman intendeva farlo uscire a puntate (da qui i finali di capitoli a effetto), sul ‘Longman’s Magazine’, per farne poi un volume da stampare per Natale. Ma Natale era vicino e si pensò di saltare la rivista, senonché la lista dei librai era satura. Scritto nell’autunno 1885 in due mesi, fu pubblicato a gennaio al costo di uno scellino.

Miscuglio di bene e male

Se lo pensassimo come ‘Lo strano caso del Dr. Jekyll e del Dr. Utterson’ non saremmo così in torto, tanto che più che Hyde è incluso in Jekyll. Utterson risulta un Jekyll non scontento di sé, inquieto non oltre il punto di rottura. Per nulla intenzionato a isolare il male per poterlo praticare senza carichi di coscienza. Quella era l’intenzione di Jekyll. Ammette di non riuscire a liberarsi di certi piaceri che lo avviliscono – “poco decorosi (non credo di doverli definire più severamente)” – e che conosciuti minerebbero la sua reputazione. Ma l’incredibile trovata riesce a metà: gli scappa dalle mani e diventa una rovina intera, sconvolgente. Dal miscuglio – è parola sua – di male e bene che è in ognuno di noi (o che è ognuno di noi), Jekyll ‘isola’ il signor Hyde. Rovescio di lui in tutto e puro male. Nel frattempo, però, lui resta un miscuglio di male e bene. Hanno in comune la memoria e Jekyll è a conoscenza di tutto quanto fa Hyde, a partire dell’omicidio di Carew che sarà l’inizio della tragedia. Così il legale Utterson, sincero amico di Jekyll, si ritrova a indagare sui misteri dello “strano caso”, che non sono pochi. Inorridito dal legame tra i due, si interroga senza sosta, macerandosi di dubbi e con richieste d’aiuto agli amici comuni, sopralluoghi alla casa di Hyde e a quella di Jekyll, mezze conversazioni da un cortile a una finestra, con Jekyll che non vuol scendere; di sbalordimento in sbalordimento e come un vero detective.

Non sappiamo quanto Stevenson dominasse la materia della sua storia al momento di iniziarla. Ma così appare. Appare e non sarà, o solo in parte. Difficilmente si può concepire, tutta ‘prima’, la confessione finale di Jekyll.

La storia delle incongruenze

Vedo che troppo resta fuori dal discorso. Primo il repulsivo signor Hyde, quasi simpatico in certi momenti, sempre commiserabile. Si trova al mondo bell’e fatto e del tutto privo di libero arbitrio. Per scegliere tra che, poi? Jekyll può scegliere ma lui no. Resta fuori il fosco paesaggio londinese, indefinito abbastanza perché Chesterton vi sospettasse la Edimburgo dell’autore. Poi la guida minuziosa, divertita dei due traduttori: le note sono una cinquantina e se ne vorrebbero tre volte tanto. Resta l’ineffabile Meyers, il critico che scopre incongruenze su incongruenze, sport a cui si diedero in molti, e Stevenson gli rispondeva, pazientemente, tentando una giustificazione o dandogli ragione (“un grossolano errore”). Com’è possibile che una sola pozione consenta una metamorfosi e poi quella opposta? Ma la storia delle incongruenze nei grandi libri – la moglie di Sancho cambia nome tre volte, ma nel Quijote ce ne sono decine – e dell’indifferenza che dedicano loro gli autori è una questione lunga, curiosa, divertente e l’ennesimo loro segno di stile. In realtà non è neanche una questione. Non siamo assediati da storie impeccabili che sono un’unica corposa incongruenza? E resta fuori ‘La confessione del Dr. Jekyll’, che renderebbe finalmente grave il tono di questo discorso, ingiustamente leggero a scapito specialmente di Jekyll, il personaggio più complesso e potente. Così scrive, a metà della sua confessione, il povero e sincero, vile e ardito, ingenuo, infelice Jekyll: “Ma anche nell’impenetrabile mantello di Hyde ero al sicuro. Se ci pensi, neppure esistevo! Bastava che dalla porta sul retro scivolassi nel laboratorio e ingoiassi la pozione (tenuta sempre pronta a questo scopo), perché Edward Hyde, qualsiasi cosa avesse fatto, sparisse come sparisce dallo specchio la traccia di un respiro”.


Frontespizio del libro (1886)

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