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La Val Calanca nelle fotografie del dottor Sergio Luban

‘Val Calanca – Selvaggia Autentica Armoniosa’ (Salvioni) è l’ultimo suo libro di fotografie, col titolo che si rifà alla canzone del padre Boris

(Salvioni)
23 gennaio 2023
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"Dicono che la Calanca povera e selvaggia sia…": così le prime parole della celebre canzone scritta dal compianto dottore e psichiatra Boris Luban, il quale per anni ha vissuto e operato come medico in quella valle: la amava, lo so per avermelo detto lui stesso. Lì, prima di lui, aveva operato suo padre Salman Luban, fuggito al tempo della rivoluzione dalla Bielorussia, laureatosi poi a Berna nel 1918 e subito dopo approdato come medico condotto in una Mesolcina infestata dalla tragica epidemia ‘spagnola’: una figura di grande spessore umano e per questo commemorato da una targa affissa sulla Casa comunale di Augio. Paese in cui da qualche anno si è trasferito e opera pure il dottor Sergio Luban, figlio del primo e nipote del secondo: medico di professione e fotografo per passione, con alle spalle alcune raffinate edizioni d’arte.

Da pochi mesi, edito da Salvioni (e reperibile nelle librerie), è apparso il suo ultimo volume di fotografie: "Val Calanca – Selvaggia Autentica Armoniosa", titolo che palesemente si rifà alle prime parole scritte dal padre: prolungandone l’eco e, con l’eco, anche la memoria. Come dire che per lui quel suo lavoro fotografico è anche un rimettersi in cammino sulle orme dei padri, un ritrovare la continuità di quel filo che passa di generazione in generazione nello specchio di una valle rimasta fedele a sé stessa e alle sue tradizioni (autentica) grazie a una popolazione che ancor oggi vive in stretto rapporto con la natura (armoniosa).

È noto il detto di Oliviero Toscani per cui "fotografare è diverso dallo scattare fotografie". Scattare fotografie, diceva, lo fanno tutti, ‘fotografare’ è altra cosa, anche rispetto al saper usare bene lo strumento tecnico: ci vuole un di più. Nelle fotografie di Sergio Luban ci sono entrambe le cose: c’è l’indubbia perizia tecnica nutrita dalla pazienza del grande camminatore che si apposta e attende il momento della rivelazione o l’incontro giusto: quello con lo stambecco che sembra rivolgersi direttamente a lui o con quel piccolo corvo che da solo osa sfidare l’immensità di un mondo ovattato fatto di cime lontane che si perdono nelle nebbie. Vi si percepisce però anche il sentimento di affetto per la natura selvaggia e potente della Calanca, non meno di quella lavorata e modellata nei secoli dalla sua gente: per le case e i villaggi che occhieggiano tra i prati o nelle conche del bosco, per gli animali che vi pascolano tranquilli, per la laboriosità di un popolo umile e operoso, per gli interni ‘poveri’ delle loro vecchie case, ma di una dignità e compostezza che la fotografia esalta. Si tratta di immagini tutte rigorosamente in bianco e nero: ciò che, nella varietà dei suoi toni e nei suoi grigi, acuisce il fascino per una valle, ancor oggi, di incontaminata bellezza.


Salvioni

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