laR+ L’intervista

L’arte collettiva di Peter Stein

Dirige ‘Il compleanno’, il suo secondo Harold Pinter, in prima assoluta il 20 e 21 ottobre al Teatro Sociale (aspettando la raccolta delle olive...)

Peter Stein
(Keystone)
20 ottobre 2022
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«In scena ci sono sei attori validissimi con i quali avevo già una relazione professionale. Abbiamo lavorato nel mio teatro in Umbria, per un mese e mezzo hanno vissuto in una specie di campo di concentramento teatrale…». Se la ride Peter Stein, con autoironia degna della rigorosità che accompagna uno dei massimi registi del teatro contemporaneo, uomo d’arte e dal fermo impegno politico, difeso fino alla rottura con molti teatri europei, alcuni dei quali tornati poi sui propri passi. Dopo ‘Il ritorno a casa’ nel 2014, Stein si confronta con il secondo Harold Pinter della carriera. L’85enne regista tedesco di nascita, italiano d’adozione, dirige la moglie Maddalena Crippa – e con lei Alessandro Averone, Gianluigi Fogacci, Fernando Maraghini, Alessandro Sampaoli ed Elisa Scatigno – ne ‘Il compleanno’, in prima assoluta stasera, giovedì 20 ottobre, e domani, venerdì 21 ottobre, alle 20.45 al Teatro Sociale. ‘The Birthday party’ (1958) è la seconda ‘commedia della minaccia’, genere con il quale Pinter è identificato, una sorta di ‘tempesta dopo la quiete’, solo apparente.

‘Il compleanno’ è la storia di Meg e Peter Bowles, titolari di una pensioncina sul mare nella quale si ferma Stanley Webber, per sfuggire a un’organizzazione mafiosa; con l’arrivo di Goldberg e McCann, che conoscono il suo passato, l’equilibrio mentale di Webber vacilla, degenerando in occasione della festa di compleanno per lui organizzata. Aspettando il debutto, in esclusiva per la ‘Regione’, Stein regala piccoli scampoli di storia personale passata e presente, dove il presente ha a che fare con l’agricoltura (tema dal potenziale narrativo non meno forte di quello del teatro). Altri ne regalerà il 21 ottobre alle 18 nell’incontro con l’attore Gianluigi Fogacci, cui si deve ‘Un’altra prospettiva’, biografia del regista che parte dalla Berlino nazista e arriva fino a noi. Andando per ordine...

Peter Stein, perché la sua scelta è caduta su ‘Il compleanno’?

Perché no... La considero una delle opere migliori di Pinter. La scrittura è estremamente calcolata, quasi geniale, gli elementi in gioco sono molteplici: teatrali, lirici, musicali, comici, angoscianti, retti da sentenze filosoficamente molto profonde. ‘Il compleanno’ è anche caratterizzato da una complicata traduzione italiana. La lingua inglese del teatro è colta, quella di Pinter non si sottrae, anzi, lo è ancor di più qui. C’è poi, sotto metafora, il tema politico, potente.

Lei ha portato in scena autori contemporanei e classici. "Odio le novità", ha dichiarato un giorno, dimostrando di avere una certa predilezione per i secondi…

Sì, e chiaramente nei classici includo anche Pinter. ‘Il compleanno’ è un classico moderno, che si mette in scena con gli stessi criteri della tragedia greca. Alla fine si tratta sempre di capire cosa voleva l’autore dalla propria opera, perché ogni autore è anche regista e chi meglio di un autore può immaginare cosa debba accadere sul palcoscenico. Pinter è anche regista, è necessario capire in modo profondo le sue intenzioni registiche, drammaturgiche, e riprodurle al massimo possibile. Se tu sei umile, se fai un passo indietro dopo avere letto il testo, se ne fai un altro rileggendolo una volta di più, è possibile che tu capisca le reali intenzioni dell’autore. Io non sono in grado di scrivere, non ho idee, metto in scena i testi di altri; m’interessano le strutture, il poterle realizzare con i miei mezzi artigianali e la mia conoscenza professionale. Questo è il mio stile di lavoro. Stile che, ovviamente, ora non interessa più a nessuno…

Proprio nessuno?

Ora in teatro si devono fare cose che restino subito in mente, concetto dettato da ignoranza totale, dall’impossibilità di capire i pensieri altrui, dall’individualismo. È una caccia al moderno, al contemporaneo, che disturba qualsiasi lavoro.

È questa la sua idea del teatro di oggi?

È la mia idea del teatro di oggi, ma è stata anche quella del teatro di ieri. È sempre stata la mia idea.

Ha nostalgia del suo Collettivo?

No, quella della Schaubühne (Schaubühne am Halleschen, collettivo teatrale diretto fino al 1985 a Berlino Ovest, ndr) è stata una fase di quindici anni molto speciale che non si sarebbe potuta ripetere. Ma la mia tendenza rimane quella di un’arte collettiva, e quell’impostazione si rispecchia, è vero, nel fatto che per ‘Il compleanno’ ho invitato sei attori in casa mia per vivere insieme e creare un ensemble. Il monologo non è teatro, è altro. Il teatro richiede almeno due persone sul palcoscenico, il teatro si fa insieme agli attori, e insieme agli attori si fa anche la regia, non soltanto con idee, con le cosiddette ‘visioni’, che non sono visioni ma piccoli peti…

Nel 2021 si è raccontato a Gianluigi Fogacci in ‘L’altra prospettiva’: quanto è costato, a uno riservato come lei, aprire le porte di casa?

Ho qualche problema con il raccontarmi. Non mi sembra così importante nella mia storia. Anche in questo caso, importanti sono i prodotti, le messe in scena, gli spettacoli, che si fanno con gli attori. Mi sento artista, o meglio ‘artigiano’. Ho fatto questo libro perché Gianluigi è diventato un amico e voleva a tutti i costi pubblicare le mie chiacchiere. Grazie a Dio l’ha fatto lui, che parla italiano. Io parlo italiano come un sudcoreano. Lui è l’autore, non io.

Grande risalto, all’uscita del libro, ha avuto il rapporto con suo padre, che lavorò per i nazisti benché lontano da quell’ideologia, cosa che ha segnato la sua storia personale. È riuscito a fare pace con lui, col suo ricordo?

A 85 anni si fa pace con tutto, e si dice ‘chi se ne frega’, tanto fra un po’ siamo morti.

A proposito di nazismo, vede qualcosa di familiare in Ucraina?

Vedo il disastro. Io sono fuggito dall’armata russa già una volta. Che questo agire si riproduca in tale maniera oggi è per me molto irritante. Quando penso a tutto ciò divento nervoso e triste, ma grazie a Dio ci sono momenti in cui si riesce a pensare ad altro, per esempio facendo questo spettacolo, dove l’attenzione si concentra in modo totale sul gioco degli attori su di un palcoscenico.

C’è un autore che non ha ancora portato in scena, o che vorrebbe portare?

In 56 anni di carriera ci sono tante cose che avrei voluto fare e non ci sono riuscito. Shakespeare no, è troppo complicato, ma ci sono ancora tragedie greche che mi piacerebbe fare.

E tra i contemporanei?

Con i testi attuali non è così facile: da un lato, alla mia età, se leggo un testo teatrale so cos’è buono e cosa non lo è. Dall’altro lato sono giunto al punto in cui le forze non sono più quelle di una volta. Per il futuro non sarebbe grave se non facessi più nulla, anche se esiste un progetto in Grecia, un rifacimento del ‘Misantropo’ di Molière in lingua greca con attori greci, da farsi ad Atene. Ma non sono più interessato alle grandi manovre. Sto bene nella mia casa, faccio il contadino, mi occupo di orzo, grano duro. E di olive.

Il suo primo pensiero al mattino, dunque, non è il teatro?

No. Sono le olive. Il 29 ottobre comincia la raccolta, devo organizzare, devo coordinare tante persone…


Uno scatto dalle prove umbre

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