Culture

Messner e la sua eredità: ‘In montagna cercate voi stessi’

Il grande alpinista, ospite a Lugano dell’associazione ‘Mani per il Nepal’, testimone di imprese epiche e di solidarietà

L’Alpinista
(Keystone)
21 giugno 2022
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«Non mi piace il termine ‘mito’. Mi accontenterei di essere un esempio». Reinhold Messner ce lo dice con l’inconfondibile semplicità e concretezza di un altoatesino. Eppure per chi la montagna la pratica dai tremila metri in giù non vi è sostantivo che calzi così a pennello a un uomo che ha fatto delle imprese e dei record in alta quota il proprio motivo di vita da settanta e oltre anni a questa parte. Le centinaia di spedizioni in tutto il mondo e l’essere stato (e lo sarà per sempre) il primo a scalare tutti i quattordici Ottomila della Terra, spesso da versanti o in condizioni di eccezionale difficoltà così da creare vere e proprie nuove vie, hanno legato indissolubilmente il suo nome alla storia dell’alpinismo italiano e internazionale di tutti i tempi.

Messner, con le sue centinaia di migliaia di metri di dislivello nelle gambe, è oggi un personaggio potente per carisma e per fama, capace di attirare tanto le attenzioni degli esperti di marketing quanto degli escursionisti ‘della domenica’. Così ha saputo riempire senza alcuna difficoltà il Palazzo dei Congressi di Lugano, lunedì, in occasione di una serata benefica promossa dall’associazione ‘Mani per il Nepal’. «L’alpinismo – è uno degli insegnamenti che ci trasmette nell’intervista rilasciata al nostro giornale a margine dell’evento – è anche un fatto culturale e io con i miei libri (ne ha scritti in pratica uno all’anno, Ndr), con i miei film e con i musei ho cercato di trasmettere quella che definisco la mia eredità. Cercando cioè di far capire che non è indispensabile andare sulle montagne più alte. Vanno benissimo anche quelle ticinesi se ci si va per cercare in primo luogo sé stessi, grazie al contatto con la natura. In generale, io anche oggi cerco semplicemente di andare dove gli altri non vanno: le montagne sono tante, per fortuna!».

La pandemia, può essere questo uno dei suoi pochi lati positivi, ha fatto del resto scoprire la montagna anche a tante persone che non l’hanno mai considerata... «Sulle cime ci si va con curiosità e fantasia – è l’invito di Messner –, ci vuole entusiasmo». È questo il motore che lo ha portato, fin da quando aveva cinque anni (oggi ne ha settantasette), sulle vette più alte e temibili: «Del resto non esiste coraggio senza paura – aggiunge saggiamente –. La montagna è capace di risvegliare l’animalità che è insita e nascosta spesso in ogni uomo. Nelle avventure estreme, non lo si dovrebbe mai dimenticare, si vive ai margini della morte e la conquista spesso, come diceva il mio amico fraterno Walter Bonatti, non è che un pugno di mosche!».


Daniele Maini
Una forza della natura

Ai tanti sport a cui si dedicano nel terzo millennio le nuove generazioni spesso non compare però l’arrampicata o l’alpinismo. Si seguono le mode di attività ben più blasonate e popolari, come il calcio o il tennis. Messner che giustificazione si dà? «È vero in parte. Oggi sono veramente tanti i giovani e anche i giovanissimi che praticano l’arrampicata indoor: vanno in palestra. Le ‘climbing hall’ sono sempre più numerose nel mondo. Soltanto a Tokyo ce ne sono ottocento. L’arrampicata indoor è un’attività bella, che però non ha nulla a che fare con l’alpinismo. Che invece, in effetti, ha meno successo di una volta fra le nuove generazioni».

Reinhold Messner la montagna l’ha affrontata di petto, così come lo è il tratto distintivo del suo carattere. Considerato uno dei maggiori sostenitori del cosiddetto ‘stile alpino’, ha sempre preferito scalare rendendosi, in prima persona, l’artefice di quegli invidiabili traguardi così da rinunciare spesso e volentieri agli sherpa, alle corde fisse, alle bombole di ossigeno o ai campi preinstallati: «La scalata estrema in solitaria offre la massima esposizione – ci spiega quelle enormi fatiche –: si tratta di esperienze uniche, che secondo me non hanno paragoni in altre attività. Comunque anche andare da soli su montagne facili offre belle emozioni se si sa ascoltare il respiro della natura e sentire il proprio fiato che si sincronizza con essa. Nel silenzio, abitato diversamente da tanti rumori che normalmente, quando si è in compagnia, nemmeno percepiamo».

Sempre asciutto nel fisico, scattante nei movimenti e acuto nelle riflessioni per Messner pare che il tempo scorra più lentamente. Negli occhi dei suoi ammiratori continuano a passare le ‘conquiste’ (termine anche questo da lui non molto amato) di cime sparse in tutti i continenti. Socio onorario e medaglia d’oro del Club alpino italiano, con cui ad ogni modo ha sempre vissuto un rapporto ‘piuttosto di facciata’, il noto alpinista dal 1999 al 2004 è stato anche membro del Parlamento europeo, eletto come indipendente nella lista dei Verdi. Anche agricoltore, si dedica alla soglia degli ottant’anni soprattutto alla gestione del Messner Mountain Museum, un complesso espositivo dedicato a tutti gli aspetti della montagna, dislocato tra Castel Firmiano a Bolzano, Solda in Val Venosta, Castel Juval (Val Senales, dove Messner abita dal 1983), il Monte Rite (nelle Dolomiti di Zoldo), il Castello di Brunico e Plan de Corones, spartiacque fra la val Pusteria e la val di Marebbe, dove l’architetto Zaha Hadid ha progettato un edificio da visitare assolutamente.


Daniele Maini
Con Daniele Foletti, ricevuto a Palazzo civico a Lugano

Ma Messner, oltre a lasciare un solco nella storia alpinistica mondiale himalayana, in quelle lontane terre vi ha portato anche numerosi progetti realizzati e tanta solidarietà. Quali aspetti di quelle popolazioni ha amato fin dall’inizio? «La mia prima spedizione – è la sua risposta – è stata quella al Nanga Parbat nel 1970, quando ho perso mio fratello Günther a causa di una valanga. L’ho cercato invano per due giorni. Ero ormai più morto che vivo quando sono riuscito a trascinarmi con le ultime energie verso i pascoli ai piedi del versante Diamir. A salvarmi sono stati uomini del luogo, che mi hanno accolto e assistito e poi trasportato verso la civiltà. Ho cercato di sdebitarmi con loro facendo costruire delle scuole in quelle valli. E mi sono appassionato allo studio delle popolazioni che vivono in alta montagna, alle quali ho dedicato uno dei miei musei».

La serata tenutasi a Lugano ha dato anche la possibilità all’associazione ‘Mani per il Nepal’, nata dopo il terribile terremoto del 2015, di aggiornare gli ultimi traguardi raggiunti in termini di beneficenza e di sostegno alla popolazione locale. Il presidente Daniele Foletti ha così ripercorso, con l’ausilio di alcuni filmanti e fotografie, l’ultimo milione e mezzo di franchi elargito e concretizzatosi in sei ponti, un orfanotrofio, due scuole, 2’200 stufe per famiglie, 4’000 zainetti per bambini, un acquedotto e una centrale elettrica, nella distribuzione di vestiti, nella consegna ai più poveri di alcune mucche e set alimentari. E dopo lunedì e il successo dell’evento-incontro nuove sfide, ce le anticipa il presidente, sono alle porte. Laggiù in Nepal c’è ancora tanto da dare. E anche Messner, che tanto ha ‘preso’ in soddisfazioni e scoperte, ben ce lo ricorda.

 

 

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