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Renzo Piano raccontato dal figlio Carlo, tra mari, porti e ponti

Oggi lo scrittore sarà ospite di ChiassoLetteraria per presentare il suo viaggio alla ricerca di Atlantide

2 aprile 2022
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Carlo Piano è, per restare nelle metafore nautiche, una burrasca di parole, ma non di quelle che ti spingono a cercare riparo in porto bensì che ti spingono a lasciarti andare a quella mareggiata di parole, pronunciate con forte accento genovese, sui viaggi che ha fatto con suo padre.
Scrittore, giornalista e skipper, Carlo è figlio di Renzo Piano, il celebre architetto autore di opere in tutto il mondo – «anche in Svizzera, ma visto che nel libro ci muoviamo per mare era un po’ difficile raggiungerle» – e proprio un viaggio fatto col padre sulle tracce della mitica città sommersa di Atlantide sarà uno dei temi dell’incontro che Carlo terrà oggi alle 17.30 al Teatro dell’Architettura di Mendrisio nell’ambito dell’assemblea di ChiassoLetteraria. «Ma sono due i libri di cui parleremo, prima ‘Atlantide’ e poi quest’altro, ‘Il cantiere di Berto’, un romanzo che parla del ponte di Genova con tutto quello che ha significato, per i genovesi e non solo, il crollo e poi la ricostruzione di quel ponte».

Iniziamo tuttavia da ‘Atlantide’ e dal viaggio. «L’idea di un viaggio con mio padre nasce da un sentimento che non è molto bello: la vendetta. Quando io, mio fratello e mia sorella eravamo bambini nostro padre ci portava un mese in barca a vela. Naturalmente era bello, però in questo mese non ci faceva mai toccare terra, diciamo che ci deportava e se sei ragazzino magari vuoi mangiare una pizza o guardare la televisione… mi ricordo che all’epoca c’era Furia cavallo del west! Ma lui niente, ci faceva vivere il mare e con questo viaggio ho avuto l’occasione di sequestrarlo io, di averlo a disposizione per interrogarlo, per fargli ammettere anche i rimorsi e gli errori… perché dalla barca non si può scappare, soprattutto se come mio padre hai una certa età e non puoi nuotare fino a terra».

Il viaggio di cui parliamo è avvenuto su una nave oceanografica della marina italiana. La partenza è ovviamente la città di Genova. «Ovviamente perché è lì che mio padre è nato. E soprattutto il porto, dove andava fin da bambino: suo padre, cioè mio nonno che si chiamava Carlo come me, alla domenica lo portava a fare il giro del porto a vedere le navi… un mondo che si muova, una città che si muove e cambia in continuazione perché le navi sono dei palazzi. I carichi galleggiavano e, con le gru, volavano e io credo che da quei giri in porto sia venuta la cifra della leggerezza che c’è nella sua architettura, la sfida alla forza di gravità. Del resto tutti gli psicologi dicono che è nei primi anni di vita che uno crea la personalità…». Ma – chiediamo – perché la ricerca di Atlantide, città mitica e impossibile da trovare? «Non la si può trovare ma per un architetto rappresenta la città perfetta, quella che cerca tutta la vita come uno scrittore cerca il libro perfetto… non esiste, è irraggiungibile come è irraggiungibile la bellezza. Ma lui ha cercare questa bellezza in tante parti del mondo». E come inizia un lungo elenco di opere di Renzo Piano, dall’aeroporto di Osaka in Giappone al centro culturale Kanak in Nuova Caledonia. «Una cosa di cui si parla, in questo tour, è che l’architettura non cambia il mondo perché sono altre le cose che cambiano il mondo però inevitabilmente l’architettura riflette i cambiamenti nel mondo e dà una forma costruita a questi cambiamenti». E qui Carlo Piano cita il Centre Pompidou di Parigi, il celebre Beaubourg che il giovani Renzo Piano progettò con Richard Rogers. «Il Sessantotto e i movimenti studenteschi hanno portato a ripensare il museo, non più luogo polveroso frequentato da un’élite. E il Beaubourg infatti è una fabbrica della cultura e infatti ne hanno dette di tutti i colori, che era una raffineria… e infatti quando nelle conferenze si metteva male per loro andavano di "je comprend pas" per uscirne». O ancora Potsdamer Platz a Berlino, con la città da ricucire dopo la caduta del muro. «In quel cantiere c’erano cinquemila operai di 25 nazionalità diverse e l’epicentro dell’intolleranza del Novecento è stato ricostruito da una società multietnica. Costruire è un gesto di pace, il cantiere crea tolleranza, stempera le differenze perché si fanno le cose insieme».

Chiediamo se Renzo Piano, oltre che in barca vela, portava i figli anche nei cantieri. «Certo. Fin da piccolo sono stato trascinato nei cantieri: per il Beaubourg ci siamo trasferiti lì e io ero un bambino, infatti ho fatto una parte delle scuole lì. Questo non scriverlo ma non ho un bel ricordo: come sai tra italiani e francesi non siamo mai andati tanto d’accordo… in Svizzera vale la stessa cosa tra i cantoni?».

Dopo aver abbozzato una risposta diplomatica, approfittiamo del discorso sul cantiere per passare al secondo libro, ‘Il cantiere di Berto’. Un romanzo, perché «ho voluto farlo raccontare a un personaggio di fantasia, un geometra, uno dei mille che ha lavorato al cantiere del ponte, una persona ordinaria che diventa straordinaria nella coralità del cantiere». Di nuovo un luogo di incontro: «Si sono ritrovati lì da tutta Italia e anche da tutta Europa e lo sentivi: la colonna sonora in cantiere è fatta di solito di imprecazioni e quindi avevi i "belin" dei genovesi, i "pota" dei bergamaschi, i "minchia" dei siciliani… è un romanzo, ma la storia della costruzione del ponte è vera, è andata esattamente così».

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