La recensione

‘Sciù Sciù’, ricco viaggio dal corpo all’ambiente

Tanti elementi, forse troppi, nello spettacolo di Carla Valente al Foce, emotivamente sincero, lontano dal pietismo ma perfettibile di un ‘less is more’

Carla Valente
14 novembre 2021
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‘Stacco, ritaglio, sottraggo. Imparare a pensare. Stacco, ritaglio, sottraggo…’. Questo il mantra di Carla, autrice e protagonista dello spettacolo autobiografico ‘Sciù Sciù Broken Becomes Beautiful’, che sul palco del Foce questo fine settimana ha raccontato con grande generosità la sua storia. Una storia fatta a livello personale di sottrazione, perché Carla è nata con due dita in meno nella mano sinistra, e a livello globale di invito al pensiero di fronte a un grave problema di ordine ambientale. Lo spettacolo è vincitore del Premio Anna Pancirolli 2021 e del bando RE.TE Ospitale della Compagnia Teatrale Petra.

In un continuo passaggio da dentro a fuori, dall’intimità di una scrivania all’esibizione su grande schermo, dalla famiglia a un’intera nazione, dal suo caso a un’esperienza universale, Carla Valente ci porta a Gaeta, suo luogo d’origine tra Roma e Napoli, a una ventina chilometri dalla Centrale Nucleare del Garigliano. Una centrale costruita in una zona dichiarata poi non idonea in quanto su territorio paludoso e a forte rischio sismico, e quindi presto chiusa. Ma che ne è delle scorie? Un disastro climatico, uno scandalo di malagestione, di cui Carla porta le tracce tangibili sul corpo.

Il lavoro del Collettrivo Treppenwitz, che questa volta vede alla regia la stessa Valente e Simon Waldvogel, è sicuramente molto interessante e degno di particolare attenzione. Per la cura che, come abbiamo imparato a scoprire negli anni, questa compagnia mette nelle proprie creazioni, di cui ‘Sciù Sciù’ non è da meno (dalla musica, alla scenografia). Ma anche per la storia narrata, che adempie a una delle tante vocazioni del teatro, quella di aprire finestre sul mondo e farsi portatore di un certo impegno civile. Facendolo, Carla Valente compie anche un viaggio dentro sé stessa, raccontando la sua Gaeta, la sua famiglia e la sua oligodattilia. Un occasione per mettersi a nudo – l’attrice lo farà realmente, restando in costume da bagno – e per mettere a nudo una situazione, quella delle scorie nel Garigliano, scandalosamente esistente.

Vengono messi in atto diversi dispositivi narrativi, e il tutto sembra essere nelle mani dell’attrice che lancia video dal suo computer poi ripresi da una videocamera e poi proiettati su un grande schermo, in modalità conferenza. Anche la stessa Valente cambia spesso registro, e dalla riflessione intima si sposta verso una narrazione informativa stile inchiesta per poi eccedere in una estroversa pantomima di sé. Su un presunto tavolo da laboratorio l’attrice, che inizialmente è in tuta da lavoro – una di quelle tute da protezione nucleare, per l’appunto – ritaglia, seleziona, ricompone immagini di corpi prese dai giornali, il suo lavoro è ripreso dalla videocamera, e proiettato tra filmati d’archivio e ricordi personali.

Insomma, ci sono tanti elementi, forse troppi, in questo spettacolo: alcuni sono molto efficaci, altri meno. ‘Scù Sciù’ ha sicuramente il pregio di non eccedere mai nel pietismo o in una narrazione completamente autoreferenziale, l’attrice è brava e – quel che più conta – molto sincera nelle sue emozioni. E questo il pubblico lo sente, lo vive. La sensazione di chi guarda, è però a volte quella di trovarsi di fronte a uno ‘studio’, in quella fase di lavoro dove l’artista propone diverse soluzioni, diversi percorsi, che vanno però ancora selezionati, affinati e, in alcuni casi, approfonditi, e condotti in un percorso registico che sappia mettere meglio a fuoco il pensiero. Insomma, crediamo che sposando il classico adagio ‘less is more’ e magari risolvendo maggiormente alcuni snodi tematici, ‘Sciù Sciù’ avrebbe solo da guadagnare in potenza ed efficacia.

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