Culture

Giorgio Rosa e l'isola che non c'è... più

Nel marzo del 2016, prima della morte dell'ingegnere, prima che Elio Germano ne indossasse i panni per Netflix, laRegione lo aveva intervistato

L'utopia sulla piattaforma, 1968 (Wikipedia)
16 gennaio 2021
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Coordinate: 44°10’48’’ nord; 12°36’00’’ est. In questo preciso punto del mare Adriatico, in acque internazionali, a circa undici chilometri dalla costa italiana, nel 1965 vide la luce una piattaforma di quattrocento metri quadrati, progettata e costruita dall’ingegnere bolognese Giorgio Rosa. Isola artificiale posta a più di mezzo chilometro dal territorio italiano, che nel maggio del 1968 venne proclamata Stato indipendente: la Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose. Un tentativo di urbanizzazione del mare, un luogo di valenza turistico-commerciale ma anche un esperimento sociale di libertà. Una storia che sebbene per l’oggi novantenne Giorgio Rosa sia “ancora vivamente doloroso ricordare”, dalla sua casa di Bologna, a cinquant’anni dai fatti, ha accettato di raccontarci.

Dal sogno alla realtà

Si potrebbe pensare che l’utopia sia propria dei sognatori e degli artisti, non dei tecnici e degli ingegneri. Giorgio Rosa è invece la prova vivente che l’utopia può essere anche pragmatica. La storia che l’ha portato alla ribalta della cronaca, ha preso vita nel periodo del dopoguerra italiano: anni di grande ottimismo, nei quali tutto sembrava possibile; persino l’idea di costruire una piattaforma in acque internazionali sulla quale essere liberi. Liberi anche dalla burocrazia italiana che spesso rallentava i progetti di molti, compresi gli ingegneri, sempre alle prese con richieste d’infiniti permessi e con lungaggini amministrative. “Praticamente, all’origine, la costruzione si basava su un’idea commerciale: volevo costruire un hotel, con ristoranti e bar, che a pochi chilometri dalla costa romagnola avrebbe potuto approfittare del turismo” – spiegaRosa –. “L’idea di fondare un nuovo stato arrivò dopo e mi accorsi che non era proprio un’illusione quando il professor Angelo Sereni, docente di diritto internazionale dell’Università di Bologna, con cui discussi ampiamente il progetto, mi disse che la cosa, da un punto di vista giuridico, era fattibile”. Dal lato tecnico, ci aveva già pensato lui; nei minimi dettagli: la scelta del luogo esatto sul quale far nascere l’isola, l’assemblaggio del telaio di tubi d’acciaio che trasportò in galleggiamento fino al punto prescelto, i lavori di armamento della struttura… “L’isola era dotata anche di un pozzo per l’acqua dolce, profondo 285 metri, con portata illimitata”, specifica l’ingegnere. I lavori di costruzione iniziarono nel 1964 e continuarono ininterrottamente per quattro anni.

La micro-nazione

Con la dichiarazione d’indipendenza della Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose, sancita il primo maggio del 1968, entrò in carica un vero e proprio governo. Rosa nominò sua moglie Gabriella presidente e mise alcuni amici alla guida dei dipartimenti: finanze, commercio, industria, affari interni e affari esteri. La nuova nazione aveva anche una bandiera, raffigurante tre rose rosse, e un inno nazionale: il Chor der Norwegischen Matrosen dell’Olandese volante di Richard Wagner. Consigliato da un amico prete, Rosa scelse anche una lingua ufficiale: l’esperanto. Idioma che Ludwik Zamenhof coniò con l’obiettivo di istituire una lingua universale. Il medico e linguista polacco pensava che solo comprendendosi in un idioma diverso da quelli nazionali, l’umanità sarebbe riuscita a regolare i suoi conflitti e le sue contraddizioni senza ricorrere alla guerra e alla violenza. “So bene che in Svizzera vivete pacificamente da secoli, malgrado le vostre molte lingue… In realtà l’esperanto sull’Isola delle Rose era un’idea volta a differenziare totalmente il nuovo Stato dalle altre nazioni, così come la valuta Mills fu ideata per avere una moneta specifica; altrettanto è stato fatto per i francobolli e per tante altre particolarità…”.

L’isola richiamò una grande attenzione mediatica. Erano gli anni della rivoluzione studentesca, della Primavera di Praga, della cortina di ferro e la stampa contribuì a creare un alone di mistero sulla micro-nazione, dando adito a fantasiose e infondate teorie sulla sua vera natura: una base per sottomarini russi, l’avamposto di oscure potenze che minacciavano l’Italia, la sede di un casinò… Queste voci fecero rapidamente crescere l’interesse per la struttura, che divenne un’attrazione gettonata dai molti turisti che nelle estati del ’67 e ’68 frequentarono la riviera romagnola. Il governo italiano pensò che si trattasse di una trovata per evitare il pagamento dei proventi turistici delle sue attività economiche e, preoccupato, si affrettò a definire il progetto addirittura una minaccia per la sicurezza nazionale. Le forze dell’ordine, pur non avendone alcun diritto, decretarono un blocco navale e, alla fine del mese di giugno del 1968, occuparono l’isola.

Rosa difese la sua micro-nazione con tenacia, scrivendo al Presidente della Repubblica e persino al Tribunale internazionale dell’Aja; ma non vi fu nulla da fare. Il Ministero degli interni e il presidente del Consiglio italiani vollero sopprimere l’iniziativa sul nascere. Uno scenario non del tutto inaspettato per l’ingegnere, che ricorda: “Il professor Sereni mi paventò la possibilità di un intervento degli Stati Uniti d’America, sia pure contro i trattati internazionali. Alla fine però ad attaccarci e ad affondarci fu l’Italia, con il beneplacito di tutti”. Nel febbraio del ’69 gli artificieri della Marina militare italiana fecero brillare cariche di oltre una tonnellata e mezzo di potente esplosivo, che inabissarono per sempre l’Isola delle Rose. L’Italia aveva vinto la sua prima guerra dopo il 1945.Il sogno di libertà di un ingegnere sognatore, che per un momento era diventato realtà, veniva risucchiato dalle onde dell’Adriatico.

Nuove isole all'orizzonte

L’atto conclusivo di questa singolare vicenda fu la stampa di un’ultima serie di francobolli, sulla quale il governo dell’isola, oramai in esilio, fece imprimere la frase: “La rabbia del nemico distrusse l’opera, non l’idea”. A quasi cinquant’anni di distanza, questa storia oltre ad aver suggerito la trama del godibile e fantasioso romanzo L’Isola e le Rose diWalterVeltroni, sembrerebbe abbia ispirato anche il Seasteading Institute. Azienda americana co-fondata da Peter Thiel (padre del metodo di pagamento PayPal), che intende fondare nuove città, su piattaforme simili a quelle progettate da Rosa. Isole in grado di ospitare fino a 270 persone l’una e congiungibili in modo da diventare piccole città modulari. Comunità nelle quali sperimentare nuove forme di governo, che possano ispirare i Paesi di tutto il mondo. Un progetto audace, che i promotori hanno deciso di costruire per tappe, tenendo conto della sostenibilità tecnologica, legale e finanziaria. Le piattaforme dovranno infatti garantire un costo della vita in mare contenuto, sicurezza e interessanti opportunità di “business”. Il concetto alla base dell’assemblaggio di ogni isola, sarà la volontà di stare assieme. Se sulla terra ferma non si va d’accordo con i vicini di casa, non si può fare molto, mentre nelle nuove città galleggianti si potrà staccare la propria unità abitativa e ricongiungerla ad altre piattaforme con un vicinato più gradito. In origine il progetto prevedeva l’ancoraggio in acque internazionali, mentre ora, almeno per quanto riguarda la prima fase, sembrerebbe che le isole saranno collocate in acque territoriali di Paesi disposti ad accogliere l’esperimento.

Giorgio Rosa sembra però scettico: “Non conosco bene il progetto e, per quel che mi riguarda, non ho più voglia di interessarmi di isole. Penso comunque che la mia idea, così come era stata pensata, non si realizzerà mai più a causa dell’opposizione di troppi interessi”. Se l’esperimento di Giorgio Rosa non fosse stato interrotto, forse oggi avremmo un’idea precisa dei risultati che un governo su un’isola artificiale sortisce e sapremmo se davvero, come sognava l’ingegnere, sul mare possono crescere e fiorire, in altro modo, le idee e le rose. “Oggi, nel 2016, a distanza di tanti anni, penso che la Repubblica sarebbe stata ampiamente completata nella sua prima fase – immagina pensieroso Rosa–. La costruzione avrebbe tutti i cinque i piani previsti. Ci sarebbe un albergo con un salone per le feste, un ristorante, dei bar e dei negozi… L’isola avrebbe un porto efficiente costruito secondo un brevetto inglese, basato su tubi di plastica in funzione di frangionde riempiti di acqua dolce, che ha un peso specifico differente dall’acqua salata…”.

L’isola delle Rose, che ancora giace sul fondo del mare, magari rappresenta soltanto il tentativo di un uomo che ha provato a realizzare il sogno di molti: avere un’isola privata sulla quale costruire un piccolo universo creato a propria immagine e somiglianza. Forse invece – e probabilmente lo sapremo in un futuro nemmeno così lontano – la piattaforma di Giorgio Rosa sarà ricordata come il primo coraggioso tentativo di urbanizzazione dei mari. Un esperimento che ha ispirato la conquista di quel settanta percento di superficie terrestre, oggi non ancora abitabile. Spazi immensi, all’orizzonte dei quali si possono già scrutare le infinite possibilità e soprattutto libertà di sperimentazione architettonica, politica e sociale. CharlesBaudelaire esordì una sua poesia con il verso “Uomo libero, tu amerai sempre il mare”; e quando si chiede all’uomo che è riuscito a costruire l’isola che non c’è, quale è il significato che dà alla parola “libertà”, lui risponde deciso e conciso: “La libertà è la quintessenza della felicità”.

 

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