Culture

Microcosmi: l’acqua, Aki e un Pierino

Sguardi sulle cose che cambiano, nel territorio e nelle persone: la pioggia, fotografie d’artista, il cinema finlandese, la musica tra pop, folk e jazz

Piritta Martikainen, ‘vaara (danger)’
5 dicembre 2020
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Quando da bambini guardavamo per la prima volta la pioggia cadere fra tetti e cornicioni, abbiamo visto l’acqua essere e trasformarsi sotto i nostri occhi. Modificare le traiettorie, sferzare il volto quando il vento nasce in un punto per finire altrove, ancora prima che le gocce possano salvarsi. L’universo fluido, molecolare, del lavoro fotografico di Piritta Martikainen esposto a Casa Pessina a Ligornetto fino al prossimo 13 dicembre – ‘Vedelle’ – titolo che dà il senso di esporsi, andare all’acqua, sviluppa un discorso attento a circoscrivere la realtà in momenti dove un’energia arcaica è dietro al visibile.

Nella Finlandia ricchissima di laghi e pianure, Piritta porta in un’ottica di conservazione gli attimi legati alla differenza. Una differenza che non necessita di concetto, piuttosto di movimento. Anche quello impercettibile, anzi proprio quello dove ‘il più piccolo diviene l’uguale del più grande’, per dirla con Gilles Deleuze. È la presenza del margine in diversi lavori esposti; il margine non è solo filtro del o per il reale, è diapason attraverso cui si manifesta una singolarità visiva in espansione. Traccia che ritroviamo nella bella introduzione al catalogo, curata da Elio Schenini.

Mi soffermo su tre delle opere presenti. La prima, ‘Pinta’ (Superficie) coglie sotto un cielo azzurro con nuvole una donna che tiene in mano qualcosa (un vestito?) e accanto un cane bianco, che la guarda. Gli alberi sembrano rovesciarsi su loro. L’immagine porta a un’ambiguità (oscillazione) di fondo che troviamo in altri lavori: cosa sta facendo questa donna? La scena è quella di un momento famigliare, pacifico o sta per accadere un fatto inaspettato? Andando oltre ecco ‘Unessa’ (Sognando). Un’anatra nuota su un corso d’acqua punteggiato di bianco; nell’angolo opposto dei rami con germogli. Dell’anatra vediamo il corpo tranne una porzione del becco. L’osservazione porta all’idea del tempo che scorre, spazio che apre alla possibilità infinita della ripetizione. In un’altra fotografia, ‘Vaara’ (Pericolo), una donna è stesa a terra su un prato ai bordi di un lago, ‘protetta’ da canne verdi, folte. Indossa una testa d’orso che tiene con le mani. Sul piede sinistro uno stivale rosso. La sta mettendo, la toglie? E cosa vuol dire questo travestimento? Gioco, ansia, finzione?

Raggiungo telefonicamente l’artista, per uno scambio di idee. Come legge il suo sguardo sulla realtà? “In qualche modo sento la necessità di trasformarla. Credo sia molto presente nelle immagini che faccio, in questo caso l’acqua e il paesaggio che sta intorno. Opero una trasfigurazione e nei video delle sovrapposizioni, come se avessi questa necessità”. L’avvicina intervenendo. “Sì, esatto. Sento di poterla plasmare in svariati modi, anche se non è sempre possibile. La spinta è guardare oltre, una visione diversa. L’acqua trasforma le figure”.

Al Museo d’Arte di Mendrisio, Barbara Paltenghi Malacrida mi ha fatto vedere un suo precedente lavoro. Ritratti che emergono dall’oscurità. Cosa l’ha spinta verso il paesaggio? “Risalgono al 2010. La serie è ‘Pimeässä’ (In the dark). Sono autoritratti. Quando sei giovane o all’inizio della tua ricerca hai bisogno di rappresentare te stesso con le tue espressioni. Maturando, trovo più interessanti elementi quali la natura; cerchi fuori di te elementi narrativi che ti appartengono”. Nei suoi lavori scorgo mistero e inquietudine. Nessuna cosa è veramente tale. “Nella vita ci sono le luci e le ombre, le vedo anche nel paesaggio, in qualche misura sono sempre autoritratti, immagini del mondo interiore. A volte con un lato inquietante”. L’acqua delle sue fotografie è un involucro, massa scura. Penso al video, Vedelle, (All’acqua) dove c’è una buca che si fa per pescare sui laghi ghiacciati. Sembra un organo umano, che palpita. Una soglia. “Per me l’acqua è un elemento ambiguo. La rispetto e la temo perché nell’infanzia ho subito un trauma e pur non avendo ricordi precisi questo mi rimane. Non nuoto mai nelle acque scure, provo un certo timore”. Sul cartoncino d’invito della mostra una donna nuota sotto il pelo dell’acqua, sospesa, il volto contratto dai riflessi. L’opera è ‘Veden alla’ (Sott’acqua). Potrà risalire?

Aki Kaurismäki

Nel guardare i lavori di Piritta Martikainen, il pensiero mi porta al suo connazionale, il regista Aki Kaurismäki e alle ore passate a guardare e commentare i suoi film. Cosa mi ha sempre attratto delle sue storie? Parlando della trilogia dei perdenti – ‘Ombre nel paradiso’, 1986; ‘Ariel’, 1988; ‘La Fiammiferaia’, 1990 – è la rappresentazione degli ultimi ormai fuori da ogni schema sociale, narrata con stile, asciuttezza e in questi tre capitoli con durezza e ferocia.

Allo stesso tempo pensando al suo dirsi schizofrenico, “alcuni miei film sono realisti, altri no”, ricordo quelli dove i protagonisti, vinti e soli, riescono quasi all’improvviso a riprendere la loro vita con un po’ di speranza. È il caso di ‘Nuvole in viaggio’, 1996, della vicenda di Ilona e Lauri e del ristorante Dubrovnik. Persone seguite dal regista con calore, partecipazione e con uno sfondo di ironia al di là di ogni moralismo. La filmografia di Kaurismäki è scarna, dove, scrive Bruno Fornara, “le immagini sembrano autonome, sezionano lo spazio con decisione e vengono accostate con un montaggio prosciugato da ogni compiacimento”. Il regista segue i vinti fino a entrare con la macchina da presa nei loro corpi, sui volti, riducendo l’ambiente esterno.

Pierino e i lupi

Ascoltando ancora una volta ‘Pierino e i lupi’, 2017, (in Prokofiev, un solo lupo ma diversi altri animali) sono tornato alla contaminazione tra generi formatasi nel secolo scorso. Un’istanza visionaria, con influenze reciproche tra musica colta, pop e jazz. Il lavoro di cui sopra risale a un progetto di Peter Zemp, fisarmonicista, contrabbassista, che ne è stato l’artefice, accompagnato da un valido gruppo di musicisti. Cosa colpisce nell’ascolto? Il frame presente in ogni brano; una spinta aggregativa, un valore corale. Le immagini che suscita.

Mi soffermo solo su due brani. ‘Chiasso’, apre la raccolta. La limpidezza dei suoni ci trasporta sulla banchina dove i treni partono tra il via vai delle persone. ‘Augstholz’, luogo nei pressi di Lucerna, caro all’autore, richiama un’atmosfera di festa popolare, sottolineata da un timbro folk. All’interno del cd, seconda di copertina, leggiamo: ‘folk ironico o jazz poetico? / verträumt und verspielt/ attention aux loups! A noi i lupi piacciono e questi fanno bella compagnia.

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