Culture

Beretta-Rigassi, amicizia sincretica

Allo Spazio 5B di Bellinzona, fino a fine anno, due modalità grafiche che generano l'armonia complessiva dell’allestimento

14 novembre 2020
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«Io davanti a questo lavoro mi sento al finestrino di un treno»: l’espressione con la quale un giovane filosofo reagisce alla grande composizione dedicata da Adriana Beretta a un dettaglio del paesaggio di Lisbona mi provoca un piccolo shock perché l’idea del treno, del viaggio, dell’avventura anche in certo senso romantica e della narrazione di tutto ciò si collocano, nella mia mente, nell’ambito dei lavori di Reto Rigassi e non di quelli di Adriana Beretta, esposti insieme nello spazio allestito da Luca Berla a Bellinzona (Spazio 5B in via Salvioni 5B). Sono colpito perché quella reazione sembra testimoniare come l’allestimento dei due artisti riesca a creare qualcosa che trascende i loro contributi verso una nuova dimensione, autonoma. Il lavoro comune di allestimento, lavoro di due amici che hanno lavorato sempre in modo ben distinto e distante, genera una situazione sincretica.

Tempo

La mostra consente di prendere in conto alcuni concetti affrontati dai due artisti in modo diverso. Il primo è il tempo. Reto Rigassi ci propone un tempo che è la durata, cioè la dimensione geografica all’interno della quale vive la storia anche nel suo essere narrata ed egli è infatti continuamente impegnato a raccontare; essendo la narrazione di una storia nel tempo un viaggio, siamo condotti dal lavoro di questo artista nel suo mondo erratico, nel viaggio a bordo di una barca alla deriva in uno stretto tra due isole o che vive e registra lo spostamento di una tenda ancorata a un ghiacciaio in movimento che in 15 ore e 32 minuti si sposta di 0,116 metri, abbassandosi di 18 millimetri alla velocità di 0,00766 metri per ora.

Si tratta di una dinamica in parte geologica e in parte millimetrica che Reto Rigassi compie e registra e che lo ha condotto in altre fasi della propria attività ad affrontare di petto la questione della storia, attraverso interessanti indagini sull’effetto e sull’incisione della guerra nella memoria emotiva, un lavoro non ancora condotto a piena maturazione con il quale l’artista ci può offrire spunti preziosi.

Adriana Beretta ci propone un vissuto del tempo per stratificazione e tassellatura; nel lavoro ambientato a Lisbona che ha suscitato il commento del giovane filosofo l’artista utilizza una stratigrafia di scatti fotografici.

È un tempo sedimentale che emana dalle giustapposizioni e dalle disposizioni di oggetti, immagini, contenuti iconici delle stesse. Come nel lavoro di Reto Rigassi esso si sviluppa nello spazio ma a dispetto di ciò che ho definito geologico - millimetrico e nutrito di una componente cronologica, definita romantica da un giovane studioso (di romantico Reto Rigassi ha anche l’afflato sublimatorio della osservazione e impersonificazione naturalistica), il tempo di Adriana Beretta è puramente, nel senso di liricamente, spaziale.

Lo vediamo nella giustapposizione delle immagini nelle quali un cane sta di qua e di là da una striscia del terreno, in rua Pedro de Sintra a Lisbona; nella disposizione di panetti di alghe distribuiti in scatole che geometrizzano e concretizzano una idea di risacca del mare. Lo vediamo nella disposizione delle opere nello spazio espositivo, una scenografia lineare istantanea che mette in una griglia al contempo architettonica e grafica i soggetti esposti, dal doppio quadro che ci accoglie entrando a sinistra all’angolo del ciabattino, all’estremo opposto della prima sala, con il quale l’artista ci propone un ulteriore concetto di tempo come proiezione introiettiva della memoria.

Grafica

Un secondo concetto è la grafica. Un fattore comune alle diverse modalità con le quali Reto Rigassi ci propone il tempo e la sua narrazione con il suo afflato epico è la traduzione in una presentazione grafica.

La tecnica grafica è lo strumento che consente all’artista, già docente della disciplina, di portare a compimento il lavoro nei propri termini formali e in un certo senso anche di canonizzarlo in tabelle, griglie, cerchi, spirali che trasferiscono nel terreno dell’eleganza esperienze creative e analitiche contrassegnate da esuberante aderenza alla fonte e alla matrice della storia della vita naturale.

Nell’opera di Adriana Beretta la componente grafica è più interna e non ha un ruolo di traduttore ma, credo, di dispositivo che contribuisce alla struttura. Ipotizzerei, nella speranza di avere occasione di sviluppare la riflessione, che è una modalità scenografica e architettonica. In mostra a Bellinzona lo vediamo nel modo simbiotico in cui le opere si costruiscono e interagiscono reciprocamente: la disposizione delle linee nel doppio quadro all’ingresso; l’allineamento delle diverse opere. La situazione nella quale la componente scenografica e architettonica si manifestano in modo più compiuto è la composizione dell’angolo del ciabattino, dove interagiscono il banco da lavoro con il cassetto aperto e i segni grafici bianchi, la sedia in legno, la citazione del quadro di Vilhelm Hammershøi e i due quadretti che citano il quadro e poi la porta semi aperta che fa parte sia dell’ambiente in cui l’opera è allestita, sia dell’opera stessa.

È impossibile qui andare oltre questi brevi cenni ma è importante registrare il modo virtuoso in cui le due modalità grafiche generino la armonia complessiva dell’allestimento.

Spesso, frequentando l’arte contemporanea, abbiamo la sensazione che l’allestimento sia determinante nella proposta e compensi una debolezza dei contenuti. Qui emerge il modo in cui l’allestimento sia veicolo dei contenuti e della relazione tra questi, le opere, gli artisti e la loro sincretica amicizia.

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