Culture

MoonMot, l'improvvisazione mette le ali

Tappa ticinese per il sestetto jazz anglo-svizzero folgorato sulla via di Berna nel 2017: dal vivo lunedì 1° aprile al 'Foce', per un’idea comune di libertà musicale

Berna, Jazzwerkstatt 2017 (foto: Palma Fiacco)
30 marzo 2019
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Dapprima Word of mouth (“passaparola” in inglese); poi mouth (bocca) diventa moth (farfalla). Il gioco lessicale che porta a MoonMot (falena, quella che campeggia sul sito, ma senza una “h”) è del tutto personale come il processo che ha portato alla fusione di jazzisti svizzeri e inglesi in un sestetto che arriva a Lugano per l’unica data ticinese del loro tour. Il 1°aprile, scherzi a parte, saranno al ‘Foce’ Dee Byrne (sax alto), Cath Roberts (sax baritono), Oli Kuster (tastiere, elettronica), Seth Bennett (contrabbasso), Johnny Hunter (batteria) e Simon Petermann (trombone), che ci parla del progetto.

«Tutto è cominciato nel febbraio del 2017 – racconta – quando i quattro musicisti inglesi (originariamente sotto l’egida del Lume Collectives London, ndr) furono invitati a suonare a Berna al Jazzwerkstatt, che come d’abitudine apre ogni volta alla collaborazioni tra musicisti svizzeri ed esteri». Un’esibizione che può tranquillamente definirsi un colpo di fulmine: «Pur non parlando la stessa lingua – continua Petermann – abbiamo constatato un piacere reciproco, un naturale interplay, la medesima facilità di improvvisazione. Abbiamo pensato che valesse la pena rivivere quel momento». L’incontro bernese è poi culminato nel novembre dello stesso anno nella partecipazione al rinomato Efg London Jazz Festival.

Incontro di opposti

Ognuno dei 6 musicisti coinvolti porta le proprie composizioni, perché ognuno è «singolarmente un band leader, con un proprio progetto già attivo». Per citarne alcuni: Züri West per Oli Kuster, Amy Winehouse Original Band per Dee Byrne, Fischermanns Orchestras per lo stesso Petermann. I sei si uniscono per «condividere le visioni musicali di ognuno, per trovare un’idea comune in base alla quale suonare questa musica», continua Petermann. «Saremo a Lugano dopo avere registrato a Berna il primo disco come MoonMot». Un album nel quale confluirà «il materiale del tour, nuove composizioni e anche qualcosa dal 2017, come ‘Alsten’, composizione alla quale teniamo».

In MoonMot convivono tre coppie di opposti: composizione e improvvisazione, acustica ed elettronica, tempi pari e tempi dispari (odd meter), un’apertura che fonde la tradizione jazz ai più recenti stili musicali. Spiega Petermann, a questo proposito: «Composizione e improvvisazione sono importanti, le viviamo insieme. Così come i tempi irregolari, dei quali nell’Europa dell’est vi è un grande utilizzo, come d’altra parte nel jazz contemporaneo, che include pattern più ricercati». E poi c’è l’aspetto elettronico del suono, risultato della manipolazione dei propri strumenti, da parte di tutti: «Nel mio caso, applico al trombone effetti prevalentemente per chitarra come distorsori, reverberi, delay. Restiamo comunque un sestetto jazz, l’elettronica non è il centro del tutto».

L’asse Berna-Lucerna-Zurigo

Petermann è testimone del fermento svizzero legato al jazz. Da una parte «la Berna tradizionale, sede della più antica educazione jazz europea, la Swiss Jazz School che risale a 52 anni fa, la prima in Europa»; dall’altra la Lucerna «open minded, quella del movimento free jazz degli anni 70 e 80». Due poli cui si è aggiunta, più recentemente, Zurigo, «che ha un suo valido campus jazz». Insomma, in Svizzera la scena è viva, anche se «io sono di Berna e ricordo raramente di quando ho suonato in Romandia o in Ticino. Per noi, da qui, è più facile suonare in Austria o in Germania».

Orgoglioso dell’esperienza vissuta a Londra, «il posto più influente dal punto di vista musicale dopo New York», con MoonMot Petermann sta vivendo la progressiva internazionalità del suo essere musicista: «Sta accadendo, e ne sono felice». Al Foce, è assai probabile, capiremo il perché di questa felicità (biglietti: info@simonpetermann.ch, www.foce.ch/52269. Sito ufficiale: www.moonmot.com).

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