Castellinaria

‘L’ombra del giorno’, storia di Luciano e ‘Anna’

L’amore ai tempi del fascismo in ‘L’ombra del giorno’, bel film di Giuseppe Piccioni che chiude il 35esimo festival del cinema giovane (l’intervista)

Questa sera a Giubiasco. Nella foto, Riccardo Scamarcio e Benedetta Porcaroli.
26 novembre 2022
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È il 1938. Adolf Hitler sta per fare visita a Mussolini a Roma e Anna Costanzi (Benedetta Porcaroli) cerca lavoro ad Ascoli Piceno; il reduce di guerra ("Ma forse dalla guerra non sono mai tornato") e ristoratore Luciano Traini (Riccardo Scamarcio, anche produttore del film) le offre un posto da cameriera nel suo locale in Piazza del Popolo; così per socializzare, il fido cuoco Giovanni (il bravo Vincenzo Nemolato) fa una battuta sul ‘testone’ e Traini lo riprende: "Volete che chiudano il negozio anche a noi?". Testone è il Duce e Luciano è fascista perché "a noi reduci di guerra hanno ridato un po’ di dignità" (ma anche perché lo dicono al cinegiornale).

Frequenta il suo locale il camerata Lucchini (Lino Musella), che un giorno gli impone la cancellazione di tutte le prenotazioni in funzione di "una rimpatriata tra amici" in cui brindare al 23 marzo 1919, data di fondazione dei Fasci da combattimento. Anna chiede a Luciano cos’abbia egli in comune con quella gente: "Chissà perché non vedo le cose che vedete voi", si chiede, gli chiede. Che tra Luciano e Anna vi sia del tenero è chiaro; presto diventa chiaro anche che Anna Costanzi non è Anna Costanzi…

Alla fine de ‘L’ombra del giorno’ di Giuseppe Piccioni, la prima sensazione è di appagamento: visivo, storico e pure sentimentale (limitatamente al legame tra i protagonisti nel film; quanto a quello nella vita reale, si rimanda alla cronaca rosa). La seconda sensazione è che i titolari del David di Donatello e quelli dei Nastri d’Argento si siano dimenticati di premiarlo. ‘L’ombra del giorno’ è una storia d’amore al tempo del fascismo. È il film di un marchigiano girato nella sua Ascoli Piceno, venuto a chiudere degnamente il 35esimo Castellinaria.


Keystone
Giuseppe Piccioni

Giuseppe Piccioni, ‘L’ombra del giorno’ cade giusto giusto nel centenario della nascita del fascismo, mai collocazione fu più consona…

Sì, ed è strano che questo film sia uscito proprio quest’anno, perché non vi era alcuna intenzione di accompagnare la ricorrenza. Avevo questo soggetto da una decina d’anni, in forma di poche pagine, estratte durante l’incontro con alcuni produttori per discutere di un altro potenziale film. Questa storia li ha convinti e ha spinto me a completarla, a fare ricerca, per orientare il lavoro con più precisione e consapevolezza. Dovevamo girare nell’autunno del 2019, poi per un problema di attori abbiamo spostato alla primavera del 2020 quando, si sa, è accaduto il disastro. E abbiamo girato nel 2021».

Vuole parlarci della sua città, set del film?

Inizialmente la storia era ambientata a Roma, ma abbiamo avuto grosse difficoltà a trovare un ristorante nel quale si potesse girare un film di questo tipo. E non solo per la mancanza di un locale d’epoca facilmente adattabile, ma per il traffico, perché avremmo dovuto fermare le auto a ogni ciak, tutti motivi che Roma purtroppo procura al nostro lavoro, compreso il parcheggio dei mezzi. Poi sono andato ad Ascoli, mi sono seduto al Caffè Meletti e mi sono reso conto di quanto fosse fantastico; ho chiamato Riccardo, che mi ha dato del pazzo; gli ho inviato un breve video e alcune fotografie: due giorni dopo era lì.

Il suo sodalizio con Riccardo Scamarcio inizia anni fa con ‘Il rosso e il blu’. Penso allo Scamarcio più recente, al cinico Lucio in ‘Tre piani’ di Nanni Moretti, e mi pare che l’idolo delle teenager non dia più fastidio a nessuno. Pensa anche lei che quello di Luciano Traini sia il suo ruolo più riuscito?

Sì, credo che Riccardo abbia raggiunto, non solo anagraficamente ma anche fisicamente, una sua maturità. Ha iniziato un percorso e lo sta compiendo, staccandosi definitivamente dal tombeur de femmes, anzi, di petites filles che comunque ancora lo idolatrano. Per vanità, nel tipico rivendicare dei registi (ride, ndr), sono contento che questo accada nel mio film. Specifico che Riccardo era già stato scelto come attore, perché il produttore de ‘L’ombra del giorno’ doveva essere un altro. Quando, da parte del produttore iniziale, si è palesata l’idea di rinviare il film, Riccardo gli ha chiesto la disponibilità a cederglielo.

Se Luciano è ‘stoico’ nel non voler vedere, Anna è di un antifascismo al limite della modernità...

Con Anna ho cercato un piccolo scarto, stando attento a che la cosa non si notasse troppo. L’ho fatto perché anche quel periodo ha avuto punte femminili di grande personalità. Luciano invece parla un’altra lingua, periodi brevi e lapidari, tanto non detto, il codice degli uomini tutti d’un pezzo, quei fascisti sui generis che col fascismo non hanno fatto carriera.

Tra i clienti del ristorante c’è ‘il professore’ (Antonio Salines, morto nel 2021, cui è dedicato il film, ndr), che ha giurato fedeltà al fascismo perché non voleva lasciare i suoi studenti "in mano a questi pazzi" sa bene che "disobbedire a una legge sbagliata è un obbligo". Mi è parso la coscienza del film...

Con grande dispiacere, perché ci ha lasciati, mi piace ricordare Antonio. Credo che per tutti coloro che non sono ideologici oppure ossessivamente convinti delle proprie ragioni, i concetti espressi dal professore si estendano anche ai nostri giorni. Il dubbio è parte essenziale della conoscenza, ed è terribile che sia visto come un pericolo mortale. È vero, difendere principi così generici ma fondamentali come il rispetto delle opinioni di tutti è un dovere. Censurarsi, anche quando ci si sbaglia di grosso, è nocivo. Non è semplice nemmeno nel mio lavoro. Ma a tutti capita di pensare se sia il caso di aprir bocca oppure tacere.

Per finire. ‘L’ombra del giorno’ è una storia d’amore, con due nomi popolarissimi del cinema italiano: la combinazione può essere utile a illustrare a un pubblico giovane cos’è stato e cos’è il fascismo?

Sì, una storia d’amore in tempi difficili, con risonanze, implicazioni e scelte da prendersi. Mi piacerebbe molto che i ragazzi delle scuole lo vedessero, e che il film avesse una storia tutta sua anche da voi. È un film non didattico in senso stretto, ma credo apra una strada, una curiosità. Benedetta e Riccardo fanno molto in questo senso.


Riccardo Scamarcio, Luciano

Appendice

"Un’ora, segnata dal destino, batte nel cielo della nostra patria. L’ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia". Nel giorno in cui l’Italia entra in guerra, sotto il balcone dal quale sbraita Mussolini c’è Roma in tripudio; ad Ascoli Piceno, nella Piazza del Popolo di Piccioni, c’è un vuoto oceanico quanto la folla di Piazza Venezia; solo poche anime marchigiane a guardare in alto, verso gli altoparlanti, colpiti da parole che cadono come bombe, prima delle bombe. Piccioni le chiama «pattuglie disorientate dell’umanità».

Nell’evitare qualsiasi tipo di autoincensamento, prima della fine di questa intervista Piccioni aveva risolto così: «Posso dire che una parte della scena è stata suggerita dalla pandemia e l’altra dall’economia, perché gli effetti di moltiplicazione digitale non sono mai stati di mio gradimento e sono, per altro, costosissimi. Ma il vuoto è diventato subito una scelta precisa: visto il contesto in cui ci troviamo oggi, se mi si chiedesse di spiegare a un giovane il senso del mio lavoro, allora porterei quella scena». Quella scena, e – ce la mettiamo noi – la vetrina del locale di Luciano, schermo panoramico sul quale scorre la storia locale, che è anche storia d’Italia. Con autoironia, aspettando il suo Castellinaria, Piccioni chiude così: «Non vorrei essermi fatto il complimento da solo, ma lei lo sa, i registi alternano momenti di megalomania ad altri di grande sconforto…».

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