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‘Ti vegni doman?’, diceva Angelina

Fino al 7 gennaio, ‘La voce in eco risuona’ di Ireneo Nicora, un fatto solo apparentemente privato

‘Ti vegni doman?’, fotografie in bianco e nero alla gelatina ai sali d’argento
(I. Nicora)
10 settembre 2023
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È Ireneo Nicora stesso a condurci in ‘La voce in eco risuona’. Alla Fondazione Ghisla di Locarno ha condotto noi, e condurrà con tutti coloro che, domani alle 14.30, vorranno appendere la propria storia a uno dei chiodi regolarmente disposti all’interno della complessiva installazione. Insieme alla storia dell’autore, che di quei chiodi vi spiegherà il senso, dentro il complessivo dare vita al confronto con la madre Angelina (sua la voce del titolo) dal declino della memoria di lei fino alla morte, verso il ricordo. La visita guidata sarà atto successivo all’inaugurazione pubblica della mostra, fissata per questo pomeriggio alle 17.30.

«Credo fosse il 2016 – ci dice l’artista – quando mi sono accorto che mia madre stava perdendo la memoria. Si diceva fosse Alzheimer, ma poco importava». Angelina non ricordava più i volti delle persone amate, riconosceva il figlio per il solo fatto che le parlasse e la rassicurasse. «Si guardava allo specchio e si chiedeva chi fosse quella donna anziana. E io mi sono chiesto se sappiamo veramente come siamo fatti».

Ininterrotto rimando di specchi

Anno 2018, Parigi. Alla Ghisla ci accolgono 365 autoritratti numerati, eseguiti a memoria, uno al giorno; seguirne l’ordine ti porta all’andare e venire da più stanze. «Ogni mattina mi alzavo, andavo allo specchio, cercavo di memorizzare quello che vedevo, andavo in atelier e lo mettevo su carta. Ogni volta mi guardavo, immagazzinavo gli elementi importanti e disegnavo, più informazioni avevo, meglio potevo realizzarmi», nell’utopistico tentativo di definire il fondamento dei ricordi e la loro durata nel tempo, ma anche l’immagine definitiva di sé. «L’ultimo, il 365esimo, è quello che mi assomiglia di più?», chiede a noi, conscio di avere disegnato l’idea di sé stesso, per di più rimandata da uno specchio. Idea che agli occhi dei visitatori acquisirà altri particolari, altre distorsioni, altra imperfezione, altra fragilità. Il fatto che i 365 fogli siano fissati su palette di legno pare l’unico aspetto di solidità di quello che Claudio Guarda, che cura i testi del ricco catalogo, identifica come “un ininterrotto rimando di specchi (…) che da un giorno all’altro possono però anche cadere in frantumi”.


I. Nicora
La paura di dimenticare

‘Domani no’

Nel 2019 il declino di Angelina diventa irreversibile, il sopraggiungere di una malattia le lascia pochi mesi di vita. «Nell’iniziare a svuotare la casa ho trovato un sacchetto con dentro poche cose ma significative: dei bigliettini, simili a piccole isole, dei chiodi e dei fazzoletti di carta. I bigliettini le servivano come supporto per il giorno dopo. Scriveva “Domani sì”, “Domani no” (che avrebbe potuto essere il titolo della mostra, ndr), oppure “Dianora lava”, riferita a mia sorella. Quei bigliettini erano il suo modo per ricordare: li appoggiava sopra un fazzoletto di carta piegato e metteva tutto sul divano, per il giorno dopo». È il primo atto di Nicora nel tentativo di fermare il tempo: più bigliettini insieme sono messi l’uno accanto all’altro, tra due fazzoletti di carta, e il tutto è avvolto da un telo di lino che produce, col resto, piccoli scapolari: «Ho voluto dare sacralità a testi e parole, senza cercare la parte estetica. Sono appesi a un chiodo come si appende un cappotto, impregnato della giornata, della vita, della sofferenza e della felicità».


I. Nicora
Scapolari - appunti di Angelina Nicora, telo di lino, filo di lino

Wrac’h, Finisterre, Bretagna

Secondo atto: La paura di dimenticare la madre spinge Nicora a dotarsi di vecchie macchine reflex analogiche per ritrarla, da aprile a novembre, fino all’ultimo giorno. L’artista pone una selezione di quanto prodotto – 49 stampe in bianco e nero alla gelatina ai sali d’argento – su uno strato di fazzoletti di carta da intendersi come cuscini, poi cuciti insieme con filo di lino; ogni cucitura è uno scritto che riproduce uno dei promemoria di Angelina, a tenere saldo l’intero ricordo. Il terzo atto è un prodotto della parola, è il ‘Ti vegni doman?’ (Vieni domani?) di Angelina a ogni visita di Ireneo sempre più vicina all’ultima, che alle orecchie del figlio torna nel pieno di una residenza sull’isola di Wrac’h, a Finisterre, in Bretagna: impossibilitato a dare l’ultimo saluto alla madre, Nicora cuce su un vecchio lenzuolo di lino le parole di lei più preziose; poi prende un sasso della Vallemaggia a lei caro e i sassi raccolti sull’isola a ogni immagine scattata; mette tutto nel grande lenzuolo e lo getta nel mare del ‘Paradiso’. Il reportage fotografico ha grande forza. Poi torna a Parigi per cerare le foto della residenza, sottoponendole al rituale: il letto di fazzoletti, l’immagine, le frasi della madre, stavolta cucite a rovescio, «perché venivano da dentro, dal cuore».


‘Domani no’, fotografia bianco e nero alla gelatina ai sali d’argento, filo di lino nero, fazzoletti di carta

Ossario di parole

Lasciamo il carteggio tra i coniugi Bureau ai visitatori e chiudiamo con l’emozione data dall’allestimento conclusivo. Nel chiedersi cosa resti di una persona cara, Nicora commissiona a trenta amici un ritratto scritto di colei o colui; le parole sono cucite con filo bianco su carta per acquarello 300 g: «Cercavo un supporto che mi riportasse al ritratto», e il risultato gli è quanto mai verosimile. L’esposizione nell’esposizione occupa una sala luminosa, di un bianco kubrickiano che spiazza e allo stesso tempo consola. «Mi sono accorto di quanta dolcezza è in ogni opera, quanta cura è stata applicata nello scegliere i termini giusti per descrivere amici e amiche, padri, madri, figli». Lo «straordinario descrivere» di questo ossario di parole pare contenere lo stesso amore con il quale – di stanza in stanza, di soluzione in soluzione, di cucito in cucito – Nicora ci ha raccontato Angelina. Rubiamo di nuovo a Claudio Guarda, dall’introduzione alla mostra, le parole conclusive: “Ciò che (Ireneo Nicora, ndr) ci lascia alla fine non è però una semplice esperienza di malattia all’interno di una vicenda privata. È invece una coinvolgente esperienza di vita, in cui l’ambiente stesso della fondazione non è più solo uno spazio espositivo, ma diventa un percorso da vivere, un tunnel da attraversare”. Di tutte le Angeline delle nostre vite, “non rimane talvolta – scrive ancora Guarda – che una labile traccia, una sintesi memoriale capace però di accendere un tutto fatto di improvvise memorie e grandi nostalgie”.


I. Nicora
Appunti (ritagli di carta di Angelina Nicora)

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