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Collezione Walther dal MoMA al Masi, mezzo secolo per immagini

Da domenica 25 aprile al primo agosto 2021, 'Capolavori della fotografia moderna 1900-1940’. A colloquio con il collezionista.

Kate Steinitz, Backstroke (1930) - © MoMa
22 aprile 2021
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“Siamo fieri di presentare una mostra che è più di una mostra: è un museo ideale”. Così Tobia Bezzola, direttore del Masi, introduce  ‘Capolavori della fotografia moderna 1900-1940 – La collezione Thomas Walther del Museum of Modern Art New York’, che si apre al Lac domenica 25 aprile per restarvi sino al primo agosto 2021. Per la prima volta in Europa, Lugano ospita oltre duecento capolavori della fotografia della prima metà del XX secolo della collezione Thomas Walther, interamente acquisita (nel 2011 e nel 2017) dal Museum of Modern Art (MoMA) e integrata con quanto già in possesso del museo newyorchese, ma che all’interno dello stesso rimane inventarizzata sotto questo nome. Prevista per lo scorso anno e posticipata per ovvi motivi, la mostra proseguirà in autunno a Parigi, alla Galleria nazionale del Jeu de Paume, poi a Torino al Camera, Centro italiano per la fotografia. A introdurre la mostra, con Bezzola, collegata da una New York che ancora dorme, c’è Sarah Meister, curatrice del Dipartimento di Fotografia del MoMA, responsabile del progetto: «Qui sono le 4.30, ma sono molto felice di unirmi virtualmente, tanto quanto lo sarei stata di persona». Nell’elogiare la cura e «l’elegante installazione allestita per questi tesori», saluta il collezionista ricordando «l’impagabile piacere di guardare con lui negli ultimi vent’anni queste foto», si spende nella descrizione delle sei categorie nelle quali le immagini sono suddivise – «Categorie assai fluide, molte foto vi entrano e vi escono» – specificando come «al di là del formato, della provenienza, delle circostanze» rappresentino «la pura gioia che attraversa la lente».

Walther ha raccolto alcune delle migliori stampe d’epoca dei più importanti esponenti dei movimenti modernisti e insieme le immagini di nomi meno conosciuti: accanto alle ‘visioni’ degli americani Stieglitz, Steichen, Strand, Evans, Weston, quelle degli europei Blossfeldt, Cartier-Bresson, Sander e una selezione della fotografia al femminile – Berenice Abbott, Claude Cahun, Irene Hoffmann, Lee Miller, Tina Modotti – più alcuni capolavori della fotografia del Bauhaus, del surrealismo e di ogni altra avanguardia fotografica.


Max Burchartz, Lotte (Eye) - 1928 (MoMa)

L'intervista

‘C'è stato un tempo in cui esporre fotografie in un museo, per qualcuno, era una frode’

«Mi sono avvicinato alla fotografia in modo progressivo. Ho studiato architettura, per poi decidere di non praticarla, poi mi sono trasferito a Londra, dove ho lavorato come assistente di un fotografo pubblicitario. La fotografia è stata sempre oggetto del mio interesse, la fotografia è un modo per restare aggrappati al mondo, per capirne meglio gli accadimenti, e la macchina fotografica è il mezzo primario per catturare il momento e garantirsi quella dose di certezza all’interno di un mondo costantemente in divenire».

Negli occhi «la bellezza di questo posto», di ritorno da una breve passeggiata in riva al lago, qualche ora prima della presentazione ufficiale, Thomas Walther ci dà una prima motivazione di come mai abbia consacrato la propria vita al collezionismo di fotografie e non di dipinti, sculture o altra arte. La seconda motivazione: «Mia madre ha giocato probabilmente il ruolo principale nel mio interesse. Aveva l’abitudine di seguirci da bambini con la sua Leica, fotografava situazioni di famiglia tutto il tempo. Ogni volta che ne vedevo i risultati, capivo quanta abilità avesse nel catturare l’attimo».

Walther ha cominciato a costruire la collezione in mostra al Masi alla fine degli anni Settanta, dedicandovisi per una quindicina d’anni fino a completarla «più o meno alla fine degli Ottanta, primi Novanta. Poi il mio interesse si è trasferito al XIX secolo, la collezione che sto alimentando al momento, concentrata su due epoche d’oro della fotografia, i primi 30-40 anni, partendo dal 1839 fino agli anni Settanta dell’Ottocento, periodo più interessante di quello successivo, un po’ come similarmente accade nel XX secolo, quegli anni Venti e Trenta assai creativi. La collezione del XX secolo, non a caso, si ferma allo scoppio della Seconda guerra mondiale: «In quel che accadde subito dopo – spiega Walther – non ho trovato interesse». L’interesse è «la visione, naturalmente, l’immagine deve convincere, deve catturare il momento nel modo più essenziale possibile, dev’essere in un certo senso iconica. Poi il soggetto dev’essere convincente, la stampa dev’essere giusta, deve canalizzare il messaggio, lasciando zero dubbi sulla sua qualità».

Gli chiediamo di scegliere per noi un ‘must’ di quanto esposto al Masi e il collezionista cita un insieme di fotografie a lui «molto care», quelle che al MoMA vanno sotto il titolo di ‘I Photograph Myself during a Parachute Jump’, scatti dei primi anni Trenta del fotogiornalista berlinese Will Ruge che salta da un aereo e documenta l’intero processo: «Ve n’è una in particolare – ‘Seconds Before Landing’ – che mi ha sempre colpito, scattata pochi momenti prima di atterrare dove sono inquadrati i suoi piedi sospesi nel vuoto. Ma devo menzionare un ritratto di Florence Henri, artista surrealista, uno scatto di Lucia Moholy-Nagy, che ho avuto occasione d'incontrare quando avevo 10 anni. Era in visita ai nostri vicini e in quell’occasione fotografò me e mia sorella: sono molto orgoglioso di essere stato il soggetto di uno dei suoi ritratti».


John Gutmann, Class (1935) - © MoMa

Il lavoro di ricerca ha spinto Walther assai vicino agli artisti, vicinanza a volte scaturita in amicizia. «Ma non ho mai comperato fotografie dai singoli fotografi. Ho sempre acquistato da dealer (rivenditori) che avevano un rapporto personale e mai un singolo pezzo, perché non mi sono mai sentito a mio agio. Il disagio di chiedere il prezzo, l’idea di approfittarne. Ilse Bing, per esempio, mi diede alcuni scatti che i rivenditori non ritenevano avessero valore commerciale, immagini strettamente legate alla famiglia, al marito, al padre ultimo direttore dell’Humboldt-Universität di Berlino, immagini che per i dealer non hanno potenziale commerciale, ma storico sì, e prevedo che questo materiale andrà presto a un’istituzione tedesca».

La collezione di Walther è la preistoria delle fotocamere e giunge a Lugano nei giorni, negli anni, della consacrazione a media onnipresente, onnivoro: «Viviamo un’età in cui la fotografia è diventata un ingrediente virtuale della nostra esistenza, ora che ogni cosa è divenuta visuale, ora che comprendiamo il mondo attraverso strumenti visivi, filmici». Tornare alle origini permette di comprendere «come queste immagini abbiano abbattuto muri, espanso la visione in modo radicale, completando una connessione altissima con tutte le arti», motivo per il quale oggi la fotografia ha anch’essa un posto nell’arte. «All’inizio i prezzi erano bassi, nessuno credeva nella fotografia. Mio padre, per esempio, sosteneva che il valore della fotografia fosse quello della carta sulla quale era stampata. “Vuoi convincermi che questa cosa vale 400 dollari? O anche solo 100? Sei fuori di testa?”, questa era l’attitudine negli anni Settanta e Ottanta. Molti accademici incontrati a Berlino per i quali ho lavorato erano ostili al concetto di fotografia esposta in un museo. Per loro si trattava di una mera frode».

E ora che la fotografia trova posto nei musei, il collezionista Thomas Walther continua la sua ricerca nelle modalità con le quali era iniziata: «Cerchiamo per cose non usuali in ogni tipo di circostanza, occasione, territorio. Tesori si possono ancora trovare ovunque e mi dà sempre enorme piacere riconoscerli, spesso tra così poca consapevolezza della loro importanza. Capita di riconoscerli, ma io credo siano loro a venire da me».


Aleksandr Rodchenko, Girl with a Leica (1932-33) - © MoMa

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