Il consigliere nazionale del Centro annuncia una serie di domande sulla decisione comunicata da Jans: ‘Suscita rabbia, incredulità, tristezza e paura’
«Il Consiglio federale ci ripensi, e si scusi per questa comunicazione scriteriata». Il consigliere nazionale del Centro Giorgio Fonio, a colloquio con ‘laRegione’, torna sulla decisione del governo di vietare, in futuro, le adozioni di bambini dall’estero e di preparare entro il 2026 un progetto di legge. Fonio ne è convinto: «Il sistema attuale è fortemente regolamentato, su cosa si fonda il pensiero che solo un divieto eviti possibili abusi?». E annuncia delle domande che porrà all’apertura della sessione primaverile delle Camere federali.
Cosa intende chiedere al Consiglio federale?
Sono molte le domande che vorrei porre al Consiglio federale e in particolare al responsabile del Dipartimento di giustizia e polizia Beat Jans. Il punto principale riguarda le reali ragioni che hanno portato a questa incomprensibile decisione. È impossibile credere che si voglia arrivare a impedire alle famiglie svizzere di accedere alle adozioni internazionali, appellandosi alla presenza di abusi riscontrati nelle procedure tra il 1970 e il 2000. Lo stesso Consiglio federale nella sua comunicazione riconosce “che la Confederazione e i Cantoni hanno già profuso sforzi per rendere più trasparente e sicura la prassi in materia di adozioni internazionali”. Inoltre, ammette che “ci sono esempi di adozioni condotte correttamente e che hanno avuto successo sia dal punto di vista dei bambini, che dei genitori”. Se dunque il sistema attuale è già stato fortemente regolamentato, su quali basi si fonda l’affermazione che il divieto sia l’unica via per evitare abusi? La Svizzera ha sottoscritto nel 1993 la Convenzione dell’Aia sulla protezione dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, impegnandosi così a limitare le adozioni da paesi in cui vi sono rischi di traffico di minori e altre forme di abuso. Questo dimostra che strumenti di controllo esistono già e sono efficaci. Infatti nel 2023 le adozioni sono state solo 30, mentre nel 2009 furono 300. Questa forte riduzione numerica dimostra che le misure restrittive già in vigore hanno prodotto effetti positivi per rapporto al rischio di abuso. Il Consiglio federale non ritiene che, proprio alla luce di questo calo, si sia già messo in campo tutto il necessario per evitare il ripetersi delle deprecabili irregolarità del passato? Quanto afferma il governo è inoltre profondamente offensivo per le associazioni che da anni si impegnano con serietà e competenza, per le famiglie adottive e anche per chi, proprio in questo momento, sta realizzando il suo progetto di famiglia. Ma soprattutto è lesivo per la dignità di quei figli che, nel dubbio della legittimità della procedura, vedono sgretolarsi le loro certezze relazionali costruite con fatica nel corso degli anni. Chiederò quindi al Consiglio federale se non ritiene opportuno di scusarsi per la scriteriata comunicazione diffusa e contestualmente di rivalutare la posizione. Chiederò inoltre come farà per evitare che si verifichi una probabile forma di stigmatizzazione dei genitori adottivi e dei loro figli.
Dalle sue parole e da altre esperienze raccontate emergono verità diverse da quelle del Consiglio federale. Anche le associazioni di cui parla hanno manifestato il loro disappunto…
Come dice lei, le associazioni che si sono espresse hanno portato la loro esperienza maturata sul campo fatta di relazioni umane ed esperienze di vita concrete. Nel 2023, quasi un quarto delle adozioni internazionali è avvenuto in Ticino, grazie alla presenza sul territorio di due intermediari molto seri e attivi. Questi enti privati fungono da ponte tra i candidati all’adozione e i rispettivi Paesi d’origine, rendendo il processo più accessibile e trasparente per le famiglie. È quindi evidente che il sistema svizzero possiede già dei meccanismi di controllo efficaci a cui affidarsi, riconoscendo il lavoro di chi ogni giorno si impegna per garantire adozioni sicure e nel rispetto dei diritti dei minori.
Sono considerazioni che nascono solo dalla sua sensibilità e dalla sua storia o anche da contatti che ha avuto con queste associazioni o attori coinvolti nel mondo dell’adozione dall’estero?
La mia sensibilità sul tema è pubblicamente nota, ma in questi giorni sono stato contattato da diverse famiglie che mi hanno testimoniato la grande sofferenza generata da questa decisione. Rabbia e incredulità da una parte, paura e tristezza dall’altra. Nel 2025, in un Paese come la Svizzera, una decisione che provoca tanto dolore è inaccettabile, soprattutto quando esistono già prassi ragionevoli che garantiscono la sicurezza delle adozioni, che consentono a bambini meno fortunati, di beneficiare di quel diritto fondamentale chiamato famiglia.
Auspica che dalle Camere federali emerga un segnale forte che possa portare a un ripensamento?
Certamente. Una prima discussione si terrà a breve, quando discuteremo la mozione del collega solettese del Centro Müller-Altermatt, che chiede al Consiglio federale di sottoporre alle Camere un disegno di modifica delle disposizioni in materia di adozioni internazionali, in modo da permettere di eseguire le procedure in maniera più efficiente e sicura. Il sostegno a questo atto parlamentare, combattuto dal governo, varrà come un primo segnale concreto per fermare questa decisione ingiusta e riaprire il dialogo su un tema così cruciale per molte famiglie svizzere e per i bambini in attesa di una casa.