laR+ Ticino

Creazione e formazione culturale, ‘la politica ci ignora’

In Ticino sostegni pubblici insufficienti: a dirlo diversi protagonisti della scena artistica. ‘Ne risente lo sviluppo dell’identità del nostro cantone’

(Ti-Press)
1 aprile 2023
|

«Se oggi possiamo dire chi siamo in quanto ticinesi è anche grazie al fatto che in passato c’è stata una creazione culturale sul nostro territorio, come ad esempio quella di Plinio Martini. Ma se vogliamo continuare a sviluppare la nostra identità è necessario sostenere gli artisti e chi crea cultura oltre a coloro che ne permettono l’importazione, la fruizione o la conservazione». Con queste parole il regista ticinese e direttore delle Giornate di Soletta Niccolò Castelli conferma quanto dichiarato da Olmo Cerri (collega regista, film-maker e autore radiofonico indipendente) e Miguel Cienfuegos (direttore artistico e attore della compagnia Teatro Paravento di Locarno) al nostro giornale lo scorso 15 marzo nell’articolo dal titolo ‘Effetto cultura: un franco investito, due e mezzo guadagnati’): ovvero che nel nostro cantone quando si stanziano fondi per la cultura si guarda soprattutto all’eventistica, trascurando il più delle volte tutto quanto gravita intorno alla produzione culturale.

‘La riconoscibilità si può esportare’

«L’Orchestra della Svizzera italiana che rimette in scena Beethoven oppure il Locarno Film Festival che propone opere da tutto il mondo hanno un enorme valenza e ben venga che ricevano importanti finanziamenti, ma dovrebbe essere altrettanto prioritario investire sui contenuti locali creati in modo professionale – valuta Castelli –. Questo sia per favorire la coesione della nostra regione, sia per far conoscere il nostro territorio e le sue caratteristiche culturali al di fuori dei confini. La creazione culturale è qualcosa che si può esportare, che può far parlare di noi, che crea dei ponti e una riconoscibilità». Secondo Castelli questa dinamica a sud delle Alpi è ancora più importante che nel resto della Svizzera «perché col nostro piccolo Ticino rappresentiamo quasi completamente una cultura a sé stante, in quanto minoranza all’interno della nazione». Il rischio altrimenti – mette in guardia Castelli – è di appiattirsi sulla produzione culturale d’importazione con un conseguente vuoto di rappresentatività verso il resto del Paese e verso l’internazionalità. Di conseguenza, secondo il nostro interlocutore, il Cantone con le sue istituzioni ha una doppia responsabilità.

Eppure da un confronto con i dati di alcune realtà vicine al Ticino in termini di dimensioni e di popolazione – i Cantoni Lucerna, Basilea Città, Vallese e Friborgo – «emerge che i budget di produzione per artiste e artisti ticinesi negli ambiti della musica, del cinema e delle arti della scena sono in media inferiori di almeno un terzo», rende noto Castelli. Fondamentale – sostiene – è che il Canton Ticino prima di tutto inizi a fare ordine differenziando tra fruizione, conservazione e creazione, «perché spesso si mette tutto in un calderone: i cineclub, il Locarno Film Festival, la realizzazione di un documentario, ad esempio, rientrano tutti nella pentola del cinema, senza distinzione. Così col fatto di finanziare il Festival si pensa di assolvere al proprio compito di sostenere tutta la cultura cinematografica».

Secondo Castelli, inoltre, non solo la ripartizione ma anche il sistema di finanziamento in Ticino è problematico: «Attualmente per la creazione culturale in Ticino non c’è alcun investimento di soldi pubblici propriamente tale. Se si guardano i dati del Decs si nota che a favore di questo tipo di produzione non c’è un budget a bilancio dello Stato, ma si ricorre quasi esclusivamente al fondo Swisslos, tranne una piccolissima parte per il cinema che proviene da una tassa sui biglietti, e a dei fondi della Confederazione per la promozione della lingua italiana. Bisognerebbe allora iniziare a chiedersi se il Cantone vuole mettere al pari degli altri settori la creazione culturale, riconoscendola come elemento importante della società. La politica è chiamata a decidere se, al pari di quanto già fanno enti nazionali quali Pro Helvetia oppure Ufficio federale della cultura, crede nella professionalità della creazione artistica ticinese. Se sì, allora dovrebbe investirvi davvero». L’importanza è anche sul piano simbolico «perché in questo momento la sensazione di tanti che provano a creare in Ticino è di un disinteresse da parte dello Stato».

Una situazione che porta anche a una fuga di cervelli: «Tanti giovani talenti e professionisti vanno via perché qui ci sono molte meno possibilità», evidenzia Castelli, che mette in luce anche i risvolti di tipo economico: «La cultura crea indotto, attira capitali e investimenti da fuori. Ma il nostro Cantone non può stare semplicemente ad aspettare. Agli artisti serve una base di finanziamenti locale per essere credibili. L’esempio della Ticino Film Commission, nella quale la politica ha creduto, va in questo senso; eppure questo è un progetto di sviluppo economico sostenuto dal Dfe e non ha radici nell’ambito della cultura. Se come regista vado a Berna all’Ufficio federale della cultura o da Pro Helvetia con un progetto per chiedere sostegno economico senza averne minimamente dal Ticino, la prima domanda è perché in casa mia nessuno creda in me». È dunque essenziale un primo passo, che poi spesso dà avvio a un circolo virtuoso: «Non di rado se qui il Cantone mi dà 10, grazie ai contributi che poi giungono dalle fondazioni o istituzioni d’oltralpe arrivo a poterne spendere fino a 50, dando lavoro a numerose persone residenti coinvolte: attori, tecnici, artigiani, albergatori». Insomma, il territorio ne risulta arricchito in tutti i sensi.

‘Non riconoscere i talenti è una sconfitta’

Mirko D’Urso – regista, attore e direttore del Centro artistico Mat, di cui è fondatore – ritiene invece sia importante scindere il discorso legato al sostegno della formazione artistica da quello invece legato al sostegno delle produzioni artistiche indipendenti. «È innegabile il fatto che il nostro Cantone sostenga molto poco le scuole private e le famiglie degli allievi che decidono di iniziare una formazione artistica – rileva D’Urso –. Le scuole di musica riconosciute dal Decs, compresa quella del Mat, ricevono un sostegno economico annuale che però rispetto a quanto fanno altri cantoni è davvero poca cosa. Per questo è nata l’iniziativa popolare ‘100 giorni per musica’ che ha come obbiettivo quello di far sì che il diritto all’apprendimento della musica sia un diritto di tutti».

Per quanto concerne invece la formazione nell’ambito del teatro, della danza, del musical «non esiste alcun riconoscimento economico da parte del Cantone per le scuole e per le famiglie – nota D’Urso –. Ma bisognerebbe rendersi conto che i tempi sono cambiati e le realtà delle arti sceniche interessanti e riconosciute in Svizzera e all’estero sono sempre di più. I talenti che stiamo crescendo in Ticino vincono spesso concorsi nazionali e internazionali, dando nel contempo lustro alla nostra regione. Non riconoscere concretamente l’importanza di questi risultati è una sconfitta per tutti», osserva il direttore del Mat, secondo cui, per quanto concerne invece il sostegno alle produzioni culturali indipendenti «bisognerebbe rivedere tutto l’iter vigente, sovvenzionando forse meno progetti, ma concedendo sovvenzioni più importanti che darebbero così la possibilità di poter coinvolgere molti più artisti validi del territorio. Questo garantirebbe loro stipendi che permettano di vivere serenamente a livello economico. E si potrebbe così investire maggiormente nella qualità dei lavori proposti a livello di scenografia, costumi, light e sound design, promozione». Certo, constata D’Urso, per fare questo «sarebbe necessario che le varie commissioni e sottocommissioni cantonali seguissero attentamente le produzioni locali, valutandone il valore artistico e soprattutto il seguito di pubblico che hanno».

Il sostegno alla fruizione culturale per D’Urso è molto importante «e se questo denaro viene investito correttamente, anche le produzioni del territorio ne beneficiano. Come Mat collaboriamo da anni con il Lac presentando all’interno della loro stagione, ma al Teatro Foce, un percorso di teatro contemporaneo meno commerciale e meno classico. Questa collaborazione ha portato ottimi risultati e quest’anno, anche grazie all’abbonamento di 199 franchi proposto dal Lac, si registra finalmente il tutto esaurito anche nel teatro luganese meno noto. Le stesse compagnie – quelle selezionate – riescono in questo modo a ottenere cachet soddisfacenti e un pubblico più vasto al quale proporre i propri lavori». Ciò che invece secondo il fondatore del Mat manca totalmente a livello cantonale e comunale sono gli investimenti legati alla messa a disposizione di locali per la creazione di spettacoli: «Molte compagnie del territorio sono costrette a trovare spazi in Italia per provare o si accontentano di piccole salette concesse nella maggior parte dei casi da privati».

‘Accessibile a tutti, non solo per l’élite’

Ci sono risorse educative non sfruttate appieno, rileva dal canto suo il direttore della Scuola di musica del Conservatorio della Svizzera italiana Luca Medici: «Musica, teatro, arti figurative, cinema, danza sono discipline che a mio avviso riescono a moltiplicare il patrimonio di competenze acquisite a scuola: portano attraverso la loro pratica a concepire un mondo con altri occhi, quelli della creatività, dell’immaginazione, della ricerca di ideali artistici, magari non concreti, ma proprio per questo ti insegnano a metterti in moto alla ricerca di qualcosa. Un po’ come Galeano quando parla dell’utopia». Oggi, continua Medici, «con una società del mordi e fuggi, caratterizzata da fluidità e liquidità, avere una generazione di giovani che coltiva delle pratiche che hanno una lunga percorrenza, con un’attenzione quotidiana e con lo scopo di una crescita finalizzata a un traguardo, lo ritengo un messaggio di speranza. Così vorrei i cittadini di domani».

La formazione musicale in questo gioca un ruolo a 360 gradi: «Se nello specifico penso alla pratica musicale, vedo allievi che attraverso uno studio quotidiano e un’analisi di sé attenta, sviluppano non solo la capacità di suonare Mozart e Bach, ma imparano a conoscersi, a sviluppare strategie per la risoluzione dei problemi, a mettersi in gioco su un palco. Quando suonano insieme imparano ad ascoltarsi, ascoltare gli altri, rispettare dei ruoli, a crescere come gruppo e non solo come individui». Oppure, «se pensiamo ai progetti culturali in cui coinvolgiamo i nostri allievi (concerti in giro per il mondo, la stagione ‘900presente’, Orchestriamoci, campi musicali estivi), sono momenti indimenticabili che aiutano a forgiare una gioventù aperta al mondo e pronta a stringere i denti per un obiettivo di crescita. La gioventù aperta al mondo non è anche una gioventù felice?» Tutto questo valore aggiunto «non viene colto oggi dalla politica, il ruolo formativo a tutto tondo è purtroppo lasciato alla sensibilità o al potere d’acquisto dei genitori. Anche alcuni media hanno perso un po’ di vista queste buone pratiche».

E da questa politica cosa ci si può aspettare? «Faccio una premessa – risponde Medici –. Se penso a cantoni come Basilea Città o Ginevra, con scuole di musica che hanno anche 150 anni, e subito dopo rilevo che in Ticino la prima scuola di musica ha cominciato 45/50 anni fa capisco che c’è uno scotto iniziale da superare, proprio a livello di consuetudine e anche di attenzione da parte della politica». Ma, ciò detto, «bisogna smettere subito di considerare e trattare la formazione culturale come un percorso elitario, deve essere possibile per tutti come chiede la nostra iniziativa popolare ‘100 giorni per la musica’ per cui stiamo raccogliendo le firme, perché il progetto educativo e sociale per noi è al centro». Invece, la sensazione è diversa. «Sì, ogni tanto abbiamo la percezione di essere una pratica che si inoltra una volta l’anno, senza il coinvolgimento in un’ottica educativa e formativa, senza un vero e proprio mandato formativo». La formazione culturale, in tutti gli ambiti, secondo Medici «serve anche per costruire una nostra nuova identità culturale. In questo Cantone, fino a pochi anni fa, la musica era coltivata dall’Orchestra della Svizzera italiana, dalle bande, dalle corali e dal canto popolare. Molto velocemente e grazie a un quasi troppo rapido sviluppo, abbiamo potuto implementare tutta una serie di ulteriori canali. Oggi abbiamo un panorama ricchissimo. Lo stesso in tutti gli ambiti culturali. Questa cultura ci deve aiutare a costruire una nuova fiducia nel territorio che ci ospita, una nuova identità e darci degli obiettivi concreti, in modo da liberarci da questa cultura del mal di pancia e della paura».

‘Un investimento a favore dei giovani’

Per quanto riguarda l’iniziativa popolare ‘100 giorni per la musica’ che è in fase di raccolta firme, tra i proponenti Maurizio Agustoni rileva come «Nietzsche ha scritto che “senza musica, la vita sarebbe un errore”; è forse un giudizio eccessivo, ma non del tutto sbagliato. Basta immaginarsi una festa, una cerimonia o un film senza musica. Fin dall’antichità ogni popolo esprime con la musica ciò che ha di più sacro e prezioso. Del resto, annotava Baudelaire nel suo diario: “La musica scava il cielo”». E proprio perché «la musica risponde spesso a un bisogno esistenziale, in un paese civile la formazione musicale dovrebbe essere accessibile a tutti. Il Canton Ticino, invece, fa la meschina figura di ultimissimo della classe nel sostegno alla formazione musicale e spesso imparare la musica diventa un privilegio. L’iniziativa è un atto di giustizia ed è un investimento a favore dei giovani, perché rende più accessibile una bellissima opportunità di socializzazione e di crescita personale».

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔
POTREBBE INTERESSARTI ANCHE