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Bitcoin, tasse e commissioni a carico dell’ente pubblico

La conversione immediata delle criptovalute – fatta da una ditta esterna – costa a Comuni e Cantone l’1%. Vorpe: ‘Comportamento non del tutto coerente’

(Ti-Press)
9 novembre 2022
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Pagare imposte e tasse amministrative in criptovalute. Una possibilità – lanciata già qualche anno fa dal Comune di Chiasso – che è tra i pilastri del Plan B, l’ambizioso progetto del Municipio di Lugano per cercare di rendere la Città "capitale europea delle criptovalute". Questo attraverso una stretta collaborazione con l’azienda americana Tether. Dal canto suo anche l’amministrazione cantonale ha fatto un primo passo nella stessa direzione, permettendo di pagare in cripto alcune tasse amministrative. Importi per ora ridotti, di massimo 50-60 franchi. Possibilità poco sfruttate dalla popolazione: a Chiasso in 4 anni solo un cittadino ha pagato le imposte in bitcoin. Le criptovalute, va ricordato, stanno infatti vivendo un momento difficile e nell’ultimo anno hanno perso buona parte del loro valore. Una volatilità che non spaventa però l’ente pubblico: "Appena riceviamo un pagamento in bitcoin convertiamo subito l’importo in franchi. Questo ci mette al riparo da una possibile perdita", hanno rassicurato le autorità. A occuparsi della conversione immediata, è stato spiegato a più riprese, "sarà un’azienda esterna". Ma a che prezzo?

Per trovare una risposta messa nero su bianco bisogna andare a leggere il rapporto di maggioranza della commissione gestione e finanze del Gran Consiglio (del marzo 2021) sulla mozione di Paolo Pamini (Udc) che chiedeva di "lanciare un segnale di fiducia al FinTech ticinese accettando il pagamento in bitcoin per i servizi dell’amministrazione cantonale". Nel testo della relatrice Natalia Ferrara (Plr) si legge: "Quanto ai costi, è evidente che il cittadino debitore versa l’equivalente in bitcoin della fattura emessa, la società si occupa dell’incasso della valuta virtuale e del cambio a favore del Comune (è citato l’esempio di Chiasso, ndr.) così come potrebbe fare per il Cantone. La stima dei costi a carico del Cantone potrebbe essere attorno all’1%".

‘Accettare le cripto è soprattutto un messaggio promozionale’

«Il comportamento dell’ente pubblico non appare del tutto coerente» afferma Samuele Vorpe, responsabile del Centro di competenze tributarie della Supsi. «Se si crede davvero nelle criptovalute non bisognerebbe convertirle subito in franchi ma conservarle. Inoltre, così facendo, quando gli importi saranno rilevanti a guadagnarci saranno soprattutto le aziende che si occupano del cambio».

Una possibilità, quella di conservare le criptovalute, che secondo Vorpe sarebbe facilmente attuabile dai Comuni. «Tuttavia penso che i Comuni continueranno a cambiare le criptovalute in franchi per evitare i rischi di fluttuazione. A mio avviso la scelta di permettere pagamenti in bitcoin è soprattutto un messaggio di marketing per promuovere queste monete come strumento di pagamento alternativo», ammette Vorpe. «Da un profilo fiscale le criptovalute vengono equiparate a delle valute straniere e, come tali, devono figurare nella dichiarazione d’imposta come elementi della sostanza mobiliare, preferibilmente nel modulo dell’Elenco dei titoli. Ai fini dell’imposta sulla sostanza ci si basa sul loro valore in franchi svizzeri al 31 dicembre». Ma una differenza rispetto alle valute straniere c’è: «Le criptovalute, diversamente dalle monete straniere, vengono accettate in alcuni casi come mezzo di pagamento delle imposte». La volatilità delle criptovalute ha delle conseguenze anche fiscali per gli investitori di questo settore. «Una perdita per chi vende bitcoin a un prezzo più basso del valore di acquisto non è deducibile, a differenza dell’utile che beneficia di un’esenzione fiscale, essendo equiparato a un provento derivante dalla sostanza privata», spiega il responsabile del centro di competenze tributarie della Supsi. Vantaggioso è invece il trattamento fiscale delle criptovalute per i cosiddetti "globalisti" previsto dalla prassi della Divisione delle contribuzioni. Infatti: «Essendo qualificate dal fisco ticinese come un valuta straniera e, dunque, sostanza estera, i ‘globalisti’ non hanno l’obbligo di dichiararle nel calcolo di controllo». Un aspetto certamente «interessante per questa particolare cerchia di contribuenti, che è di nazionalità straniera e vive in Svizzera senza esercitare alcuna attività lucrativa. Per queste persone, che sono tassate sul dispendio, è quindi più vantaggioso avere una criptovaluta piuttosto che un titolo svizzero. Quest’ultimo deve infatti essere dichiarato, proprio come la moneta elvetica». La difficoltà, sottolinea Vorpe, «è quella di stabilire un luogo di origine delle criptovalute. Per prassi vengono trattate come valute estere».

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