laR+ Ticino

Il patto d’acciaio tra Lugano, Donbass e Russia

Il Ticino è un’importante piattaforma per il commercio internazionale di prodotti siderurgici ucraini

(Keystone)

Lugano e il Donbass. Due mondi lontani, che più lontani non si può. Eppure tra il Ticino e i territori contesi a Est del fiume Dnipro vi è un legame molto forte. Un legame d’acciaio. Già, perché in riva al Ceresio alcuni uomini d’affari ucraini hanno stabilito la loro antenna per vendere sui mercati internazionali i prodotti siderurgici forgiati in questa regione sempre più macchiata di sangue. Chi sono queste aziende? Chi le controlla? E come mai questa relazione con il Ticino? Cerchiamo di capirlo.

Donbass: letteralmente bacino del fiume Donets. L’Ucraina orientale è uno degli epicentri minerari del mondo. Una terra che trasuda carbone e metalli ferrosi e che, per questo, si è specializzata nella produzione di acciaio, per la quale il Paese è tra i primi dieci al mondo. Carbone e acciaio, due materie prime strategiche. La stessa Unione europea ha le sue radici nella Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio creata nel 1951. In Ucraina queste commodities significano potere. Dalla fine dell’impero sovietico, il controllo delle miniere e degli stabilimenti siderurgici è al centro di faide tra oligarchi che acquistano e vendono fabbriche come fossero fiches di poker. Sono loro, i padroni dell’acciaio diventati ricchissimi, che tirano le fila della politica a seconda del vento che tira. La manna siderurgica arride a pochi e i soldi prendono il largo verso i paradisi offshore. Su tutti Cipro, isola d’approdo preferita per le holding dei pirati della siderurgia.

Nella catena di questo business che alimenta l’intera filiera industriale mondiale, un ruolo ce l’ha anche Lugano. La città è diventata un hub del commercio dell’acciaio ucraino (ma anche russo) per i vari compratori. "La lotta per il controllo di un’acciaieria chiave dell’Ucraina si gioca altrove, non negli uffici di Kiev, ma nell’apparentemente sonnolenta città di Lugano" scriveva tempo fa il giornale specializzato Metal Bulletin. Una frase che ci dà la misura dei collegamenti tra il riparato Ticino e quelle terre ruvide dove, dal 2014, è in corso una guerra fino all’altroieri dimenticata. Oggi quel conflitto ha preso una dimensione epocale la cui onda d’urto si fa già sentire anche a Lugano: «Il 24 febbraio 2022 sarà una data che farà la storia, più dell’11 settembre, con conseguenze ancora imprevedibili; per i molti che a Lugano fanno affari con Russia e Ucraina significa la paralisi totale», ci dice il dirigente di una società.

Una strada aperta da Duferco

Ma da dove nasce questo patto d’acciaio? Come mai il Ticino, come mai Lugano? A prima vista le ragioni sono le solite: un mix ideale tra buone condizioni quadro, fiscalità leggera, savoir-faire (e credito) bancario, discrezione. C’è però una ragione storica, intrinseca alla piazza luganese delle materie prime. Lo sviluppo dell’hub dell’acciaio di Lugano sull’asse Russia-Ucraina lo si deve alla presenza della Duferco. Insediatosi in riva al Ceresio negli anni Ottanta, il gruppo è diventato uno dei principali commercianti di prodotti siderurgici del pianeta, creando una sorta di terreno fertile per altre aziende specializzate in questa nicchia di mercato.

Duferco negli anni è cambiata, si è ristrutturata e scissa in due costole: una controllata oggi dai giganti cinesi di Hebsteel e l’altra custodita dal fondatore Bruno Bolfo. È quest’ultimo – sempre regnante sul suo impero da 100 milioni di dollari di utile netto nel 2020 – che si è fatto strada per primo nel selvaggio Est post sovietico. È lui che ha siglato i primi contratti con i più importanti produttori d’acciaio russi e ucraini. Tra questi l’Unione industriale del Donbass (Isd), colosso di Donetsk che produce circa un quinto dell’acciaio ucraino. Nel 2003, le due aziende firmano un accordo: Duferco diventa il rivenditore esclusivo dei pregiati prodotti del Donbass e la Isd entra nel capitale della casa madre del gruppo. Casa madre che resta offshore – prima a Guernsey e poi nel Lussemburgo – e nel cui Cda si insediano gli oligarchi Oleg Mkrtchan e Sergy Taruta. Quest’ultimo diventa in seguito parlamentare e, per un breve periodo all’inizio della guerra nel 2014, governatore di Donetsk. L’idillio durerà qualche anno, poi, proprio nel 2014, Duferco punterà tutto sulla Cina e si separerà dagli ucraini.

Il Ticino degli oligarchi

Intanto, però, Lugano è diventata una sorta di place to be per i padroni dell’acciaio. Molti grossi stabilimenti basati tra il Donbass e la zona di Dnipro hanno qui la loro antenna di trading. Uno dei primi a insediarsi in Ticino è stato il gruppo Interpipe che, tramite l’immancabile holding cipriota, controlla due società di Paradiso. Stiamo parlando di un gigante mondiale della produzione di tubi e di ruote ferroviarie controllato da Viktor Pinchuk, uno degli uomini più ricchi e influenti dell’Ucraina. La sua fortuna ha preso il volo nel 2002 quando sposò la figlia di Leonid Kuchma, all’epoca presidente dello Stato. Un matrimonio tra politica e affari che gli permise di mettere le mani su un grosso stabilimento siderurgico privatizzato dal suocero. In questi giorni, la Interpipe ha comunicato di aver iniziato a produrre ostacoli anticarro e di fornire prodotti per l’esercito ucraino e le squadre di difesa territoriale. Toccata dal conflitto anche la Centravis, tra i più grandi fornitori di tubi inox senza saldatura del mondo e con antenna commerciale sempre a Paradiso. Il gruppo controllato dalla discreta famiglia Atanasov ha annunciato mercoledì di avere sospeso le attività a Nikopol.

Sempre a Paradiso ha sede la Dss International, distributore ufficiale della Dneprospetsstal, uno storico produttore di acciaio inossidabile. Lo stabilimento è basato a Zaporižžja, centro a Sud-est del Paese dove sono andati in scena in questi giorni violenti combattimenti. Difficile capire chi siano oggi i proprietari di questa società. In passato si mormorava che una parte fosse nelle mani di Igor Kolomoisky, uno degli oligarchi più controversi, già governatore di Dnipropetrov, già residente a Ginevra, e considerato agli inizi il ‘burattinaio’ del presidente Zelensky. Non abbiamo potuto verificare. I dati ufficiali (2020) dicono che gli azionisti di Dneprospetsstal sono cinque società di Cipro. Fonti di stampa le danno vicine ad alcuni imprenditori russi, tra cui il deputato della Duma Alexandr Babakov, oggetto di sanzioni internazionali e svizzere. Un doppio filo con la Russia che riguarda anche la Ump Trading di Mendrisio. Sul suo sito dichiara di commerciare i prodotti dell’azienda ucraina Energomashspetsstal che è la più grande produttrice di pezzi in metallo del Paese per l’industria energetica. Energomashspetsstal, basata vicino a Donetsk, è di proprietà di una divisione di Rosatom. Ossia la società statale russa dell’energia nucleare.

È anche in questo contesto multiforme, aggravatosi drammaticamente in questi giorni, che si è sviluppata la piazza luganese delle materie prime. Una piazza oggi disorientata dagli eventi e che tocca con mano il fatto di essersi interfacciata – forse un po’ troppo acriticamente – con Stati autoritari e realtà geopolitiche complesse.

E poi ci sono i russi

Anche l’acciaio russo (il cui commercio non è toccato direttamente dalle sanzioni) è di casa in Ticino. E non con nomi di poco conto. Tre dei più grossi produttori di Russia hanno piazzato qui la loro antenna commerciale. Tre gruppi controllati da tre magnati, uno dei quali è finito in queste ore nel mirino delle sanzioni europee. Partiamo proprio da lui, Aleksej Mordashov, la cui società ticinese è stata la più difficile da trovare: è la Severstal Export Gmbh di Manno. Le sue azioni sono controllate dalla Severstal di Cerepovec, uno dei più grandi gruppi siderurgici russi. Mordashov è un nativo del luogo e, nel 1992, a 26 anni diventa il direttore finanziario della società. Oggi guida un impero minerario, bancario e televisivo ed è, secondo Forbes, l’uomo più ricco di Russia. Patrimonio stimato: 29 miliardi di dollari. In questi giorni è finito nella lista nera europea. Il motivo? "Sta beneficiando dei suoi legami con i decisori russi", si legge nella spiegazione ufficiale. L’uomo è azionista di Bank Rossiya, considerata la banca personale dei vertici russi. Inoltre ha delle partecipazioni in alcune stazioni televisive accusate di "sostenere attivamente le politiche di destabilizzazione del governo russo in Ucraina". La risposta di Mordashov non si è fatta attendere: Severstal ha infatti già annunciato di aver bloccato l’esportazione di acciaio verso l’Ue.

Più nota alle nostre latitudini è invece l’unità di trading della Nlmk, basata a Paradiso. Stiamo parlando di una delle quattro più importanti compagnie produttrici d’acciaio di tutta la Russia. Un colosso da 16 miliardi di dollari di vendite che è di proprietà dell’imprenditore russo Vladimir Lisin tramite la sua holding cipriota Fletcher Group. Forbes stima il patrimonio di Lisin a 27 miliardi di dollari; nel 2010 e nel 2011 era lui l’uomo più ricco di Russia. Secondo un articolo della stessa Forbes, poche ore dopo l’invasione da parte della Russia in Ucraina, Lisin aveva già perso 4 miliardi di dollari. Vecchi articoli di stampa lo definiscono un oligarca schivo; il suo nome non figura nella lista delle persone sottoposte a sanzioni. La presenza di questo colosso a Lugano, dove è attivo dal 2007, si deve probabilmente ai suoi legami con Duferco. Nel 2006, infatti, il gruppo di Bolfo aveva stretto un partenariato strategico con Nlmk concretizzatosi con una joint-venture lussemburghese che controllava dei siti in Belgio. L’accordo si è concluso nel 2011.

Sempre legata alla produzione d’acciaio in Russia vi è infine la Mmk Steel Trading. I prodotti che vengono venduti tramite l’unità commerciale di Lugano arrivano da Magnitogorsk, nel Sud della Russia, dove il gruppo Mmk, che controlla l’antenna luganese, ha il più grande complesso metallurgico del Paese: produce quasi 12 milioni di tonnellate di acciaio all’anno. La Mmk è di proprietà del magnate Viktor Rashnikov che la controlla tramite la sua holding cipriota Mintha Holding Limited. Rashnikov, patrimonio di circa 10 miliardi di dollari, nel 2018 era stato inserito in una lista degli oligarchi di Putin dal Dipartimento del tesoro americano. Il suo legame con Lugano sembra avere contagiato la famiglia. Una delle figlie ha studiato al Franklin College e dal 2013 siede nel Cda del gruppo russo. Il fratello Sergey in Ticino ha creato una succursale operativa della società di trading cipriota Starglobe. La società ha chiuso i battenti nel 2021.

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔
POTREBBE INTERESSARTI ANCHE