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Cultura, la rabbia dei municipali: il governo improvvisa

Cotti: la modifica della risoluzione rimane una condanna alla chiusura. Badaracco: e comunque non sono cose che si possono annunciare dall’oggi al domani

(TI-PRESS)

«I teatri e i cinema non sono feste di famiglia… cinque o trenta persone al massimo sono dei limiti che condannano alla chiusura», afferma perentorio il municipale di Locarno Giuseppe Cotti, capo Dicastero educazione e cultura. «È stato constatato che nei teatri e nei cinema, grazie ai piani di protezione, non si sono registrate situazioni particolari, problematiche quanto a contagi. Ciò considerato, questi settori, secondo me, dovevano godere ancora di una certa libertà di azione nel rispetto chiaramente dei piani di protezione, concordati, ripeto concordati, a suo tempo con le autorità». Come valuta il modo di procedere in questa circostanza del Consiglio di Stato? «Improvvisato – taglia corto Cotti –.  Se domenica si parla di cinque e due giorni dopo di trenta, vuol dire che non si ha bene in chiaro la strada da seguire. Si abbia allora da subito il coraggio di dire: ‘Niente manifestazione e aiuti per la cultura’. Un mondo, quello della cultura, che ha già sofferto abbastanza e che sta soffrendo. Passare da cinque, a trenta o a cinquanta persone non cambia niente per determinate strutture: penso al Lac di Lugano, al Teatro di Locarno e a tante altre entità culturali del cantone. Capisco che la situazione pandemica sia difficile, ma le decisioni politiche, le decisioni delle autorità – sottolinea Cotti – devono essere chiare. Finiamola con le conferenze stampa ripetitive e improntate a un paternalismo stucchevole. Lo ribadisco, anche per noi amministratori locali servono decisioni chiare, non solo in ambito sanitario ma pure economico».   

Dello stesso avviso anche Roberto Badaracco, capo del Dicastero cultura, sport ed eventi di Lugano, che non risparmia le critiche al Governo. «Penso che il Consiglio di Stato abbia fatto marcia indietro parzialmente perché si è reso conto che nel settore culturale una decisione come quella di limitare gli ingressi a cinque persone era assurda e sostanzialmente decretava la chiusura. In un teatro grande non vedo tanta differenza a livello di distanziamento sociale fra trenta e cinquanta persone – prosegue il municipale –. Invece cambia in termini di pubblico presente e vendita di biglietti, dunque di sostenibilità finanziaria. Già con cinquanta era difficilissimo». Ancora non si sa se alcuni spettacoli verranno proposti comunque. Spettacoli che in questi due giorni erano stati annullati. «Forse si riuscirà a organizzare qualcosa al Foce, magari spettacoli meno costosi. Ma per il Lac trenta persone rischiano di essere veramente troppo poche». Inoltre Badaracco ricorda: «La lettera degli operatori dei teatri aveva l'intento di sospendere la misura restrittiva di domenica, ma l’idea era di tornare a cinquanta come minimo». Ma allora per quale motivo trenta? Secondo il municipale di Lugano hanno scelto trenta perché era il numero delle persone ammesse nelle eccezioni, come le celebrazioni religiose.

Un salvataggio in corner, insomma, che il Governo ha provato a camuffare parlando nel comunicato stampa di “precisazioni sulle misure in vigore nel Cantone Ticino". In realtà non si tratta di chiarimenti, bensì di una vera e propria risoluzione che “annulla e sostituisce" – così si legge al punto 10 della risoluzione – quella di domenica. Per questo motivo Gianluca Padlina, presidente dell'Ordine ticinese degli avvocati, spiega che per coloro che hanno interrotto le proprie attività in questi due giorni non vi sono le basi legali per chiedere un risarcimento: «Chi non era d'accordo con la risoluzione di domenica aveva la possibilità di fare ricorso, facoltà che ha anche con quella nuova». E aggiunge: «Inoltre la chiusura non è stata indetta dal governo, ma è stata una scelta dei singoli».    

A fare le spese della riduzione di pubblico e della conseguente cancellazione degli spettacoli, sono principalmente coloro che lavorano nel settore. Chiasso punta per questo a proporre dei piccoli eventi: «Vogliamo permettere alle persone di lavorare e penso che il pubblico, nel limite del possibile, deve cercare di sostenere i lavoratori del campo», afferma Davide Dosi, responsabile dei Dicasteri educazione e attività culturali della città. «Sappiamo che se si fa qualcosa si va in perdita, ma finché sono limitate si può fare».

«Il settore culturale e quello dello spettacolo sono stati sacrificati sull'altare di questa crescita di contagi», si rammarica Badaracco. «Pensavamo che il nostro compito a livello culturale e artistico in questo momento fosse più forte. Un antidoto alla situazione pandemica in un momento in cui la salute psicologica è messa a dura prova». Inoltre critica le tempistiche del Consiglio di Stato: «È necessario un tempo di adattamento e preparazione, non sono cose che si possono annunciare dall'oggi al domani». Insomma decisioni, quelle del Consiglio di Stato, che lasciano l'amaro in bocca e tante perplessità fra addetti ai lavori e non. 

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