Ticino

I liberalconservatori misurano il disagio sociale: è elevato

Nuovo aggiornamento del 'Morisoli welfare index': la crisi investirebbe soprattutto i giovani. Intervista ai due ideatori, Sergio Morisoli e Paolo Pamini

18 giugno 2020
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Tutto va bene, madama la Marchesa? Nient’affatto, a sentire l’allarme che suona dal campo liberalconservatore. A registrare le difficoltà sociali ticinesi stavolta è la pubblicazione del nuovo ‘Morisoli welfare index’: l’indicatore elaborato da Sergio Morisoli e Paolo Pamini per AreaLiberale, think tank liberalconservatore già impegnato sui vasti fronti della fiscalità, dell’istruzione e ora della socialità. I due deputati Udc provano a fare le analisi del sangue alla società ticinese, a partire dall’evoluzione – o involuzione – di novanta variabili tra loro statisticamente coerenti nel corso degli anni analizzati (2011-2019): reati, persone in assistenza, nascite e divorzi, dipendenze, case sfitte, pignoramenti, abbandono scolastico… «La scelta degli indicatori può sembrare arbitraria», spiega Morisoli, «ma si basa su un criterio unitario: ciascuno di questi numeri ha dietro persone, casi concreti, non si tratta di misurazioni astratte dal tessuto sociale». Quest’anno il barometro segna tempesta: 123.04 punti, 23 in più rispetto al 2011, un dato in crescita quasi costante nel corso degli anni.

Cosa sta succedendo?

Morisoli: Il nostro indice non pretende di fornire una diagnosi univoca e neanche di supportare ricette che andranno cercate in maniera condivisa. Quello che registra è un forte aumento di alcuni segnali di disagio anzitutto tra i giovani, ad esempio guardando all’aumento delle condanne penali minorili, al tasso di abbandono scolastico e ai casi bisognosi di assistenza psicosociale. Si tratta di dati sui quali riflettere, perché come sappiamo questo disagio non colpisce solo il singolo individuo, ma anche le famiglie e le comunità nelle quali questi è inserito.

Il vostro indice utilizza anche una ponderazione soggettiva basata sull’importanza attribuita a ciascun indicatore nel dibattito pubblico. Semplificando brutalmente: ‘moltiplicate’ per 1, 2 o 3 ciascun numero a seconda dell’importanza che ritenete abbia per la popolazione. Importanza che rilevate guardando quanto spesso questi temi ricorrono nel dibattito pubblico, dai social media alle lettere ai giornali, fino agli atti parlamentari e alle iniziative. Ma così non si rischia di deformare il rilevamento oggettivo?

Morisoli: Anche il dato oggettivo presentato in modo scientista rischia di essere fuorviante. Un termometro può misurare 38 di febbre a due diverse persone, ma una potrebbe stare malissimo e l’altra fare solo una ‘sudatina’. Ecco allora che un certo giudizio qualitativo è importante per dare senso ai numeri. Inoltre, le ponderazioni soggettive sono costanti per tutti gli anni del rilevamento, quindi l’approccio non muta per un capriccio stagionale.

Pamini: Se poi escludiamo la ponderazione e misuriamo solo gli indicatori grezzi, vediamo che la tendenza storica va esattamente nella stessa direzione, non è la ponderazione a determinare il ‘segnale’ di fondo. Certo, c’è una componente soggettiva, così come è possibile che certi numeri cambino nel corso del tempo perché cambiano ad esempio leggi o controlli. Ma su un totale di 90 indicatori si nota già un quadro coerente, peraltro verificato attraverso modelli standard nel mondo accademico: analisi fattoriale e indice di Cronbach.

Un altro elemento di aleatorietà è dato da come si vogliono leggere certi numeri, ovvero dal fatto di attribuirgli un influsso positivo o negativo sul valore finale dell’indice. Ad esempio, qui conteggiate anche l’aumento del numero di permessi di lavoro o di soggiorno. Lo ritenete un indicatore positivo o negativo?

Morisoli: qui è da intendersi come negativo, perché rientra in una sorta di ‘fenomenologia dell’assenza’: si deve supplire ad esempio alla denatalità e ad altri limiti di crescita importando manodopera. Naturalmente la misura risulterebbe positiva se ragionassimo in termini meramente economici. Anche questo fa capire che il nostro indice è ben diverso dagli indicatori economici classici, come il Prodotto interno lordo: una cosa è la crescita media pro capite, un’altra le difficoltà oggettive che investono almeno 140mila ticinesi, tra gli ‘esclusi’ alla base della piramide sociale e i ‘reclusi’ sempre più sacrificati verso il fondo della classe media, e minacciati di ‘retrocessione’. 

È interessante notare come gli indicatori delle difficoltà sul mondo del lavoro, pur preoccupanti, rimangano più stabili rispetto alle variabili comportamentali e psicologiche: reati, dipendenze, abbandoni scolastici. Che conclusione se ne può trarre?

Morisoli: Anche in questo caso è opportuno non trarre conclusioni affrettate. Certo, dal nostro punto di vista si segnala un’erosione del tessuto sociale che bisogna affrontare con provvedimenti a lungo termine, che trascendono il semplice esborso sociale. Da sola, la spesa per il welfare non basta a evitare certe derive. Sarebbe davvero il caso di discutere su come riorientarla in maniera più efficace.

Meno welfare, insomma. Non sarà allora che siate andati a trovare nei dati solo quello che volevate trovarci?

Morisoli: Ma guardi che noi non suggeriamo mica di tagliare la spesa sociale, semmai di dirigerne il getto con più criterio verso gli attori che nella società civile si dimostrano più efficaci nel veicolarla – secondo il principio della sussidiarietà – e poi di verificarne i risultati.

Pamini: Il bello dell’indice, comunque la si pensi, è che è aperto a un confronto ampio: dietro a questo deterioramento si possono anche trovare cause diverse e arrivare a prescrizioni divergenti dalle nostre. Un’immagine può essere letta in modo differente a seconda degli strumenti critici e delle sensibilità che si utilizzano. L’importante però sarebbe iniziare a parlarne su queste basi fattuali.

Qualcuno potrebbe obiettare che questo deterioramento è dovuto a un’esasperazione dell’economia di mercato, la cui assoluta libertà voi difendete. 

Morisoli: di sicuro si vede un forte scollamento tra l’andamento economico ‘puro’ – quello misurato dal Pil – e le difficoltà vissute dalla popolazione. Segno che evidentemente qualcosa non ha funzionato. Ma quel qualcosa è il mercato? Oppure assistiamo all’indebolirsi d'istituzioni come la famiglia e la scuola? Anche su questo il dibattito è aperto. Noi misuriamo, ma sarebbe bello se anche la sinistra uscisse dalla sua zona di comfort e si confrontasse con noi su questi dati.

Adesso cosa vi augurate?

Pamini: Non vogliamo calare dall’alto le nostre lezioncine, che in questo momento neppure abbiamo, al di là di qualche grezza intuizione. Questo riassunto di dati serve per una discussione di tutti, in maniera aperta e critica: i partiti, l’esecutivo, gli esperti dei singoli settori dell’amministrazione, la popolazione interessata. Sarebbe un modo per approfondire la discussione democratica in maniera informata. Abbiamo elaborato questo indice in maniera del tutto gratuita, nel nostro tempo libero: è vero che nessuno ce l’ha chiesto, ma ci piacerebbe che fosse utilizzato il più possibile.

Morisoli: Aggiungo solo che dietro a ogni indicatore ci sono dei volti e dei destini. Invece di trattare la socialità come qualcosa di astratto, è importante ripartire proprio da lì.

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