Ticino

Ristoranti, 'Potremo resistere ancora pochissimo'

Il presidente di GastroTicino Massimo Suter: 'Comunque è meglio aprire più tardi che aprire a metà. E in futuro il settore dovrà essere meno fragile'

13 aprile 2020
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Pasqua. Per il settore turistico ticinese è da sempre l'incipit della stagione: quel primo battito di cuore da cui si capisce subito il ritmo dell'annata.

Meteopatica, alta, bassa, con o senza eventi collaterali: in tempi normali, di questi periodi si scrivono le sorti alterne della Pasqua turistica ticinese. Calendario alla mano – prima – e bollettini meteorologici – poi –, il 2020 aveva allineato tutti gli astri per una partenza col botto. Invece l'ospite inatteso e sgraditissimo, il coronavirus, ha creato una sincope già al primo battito: con i ristoranti chiusi da metà marzo per contenere i contagi, semplicemente l'avvio non c'è stato. E a distanza di un mese dalla decisione del Cantone di bloccare tutto, più che di rinascita il settore ora deve riflettere sulla sopravvivenza.

«Quanto possiamo resistere? Ancora per pochissimo – ci spiega il presidente di GastroTicino Massimo Suter –. Non si può generalizzare, ma ogni giorno che passa è un giorno che mette in pericolo l'esistenza di un'azienda. Buona parte della ristorazione ticinese vive infatti di turismo e di stagionalità e quest'ultima ce la stiamo pian piano giocando. Il fieno in cascina, messo da parte l'anno scorso per superare l'inverno, quest'anno mancherà in maniera determinante. Il 2020 sarà un'agonia per molti, nella speranza di poter riprendere forte nel 2021. Sappiamo però che, purtroppo, alcuni 'feriti' non ce la faranno ad arrivare ad allora». Nel settore «c'è trepidazione: si vuole tornare a fare quello per cui siamo nati per fare. Ci rendiamo tuttavia conto che vi sono sicuramente interessi superiori».

La fragilità della ristorazione

Come in altri settori, anche nella ristorazione la pandemia ha fatto venire i nodi al pettine: «La crisi ci ha mostrato quanto siano fragili le basi di tutta la ristorazione ticinese e non solo: margini risicati e problemi di liquidità sono questioni basilari – commenta Suter, riprendendo quanto dichiaratoci a metà settimana scorsa –. Già l'iniziale ipotesi di una chiusura di due settimane aveva messo in pericolo la tenuta di molti ristoranti. Per questo in futuro serviranno analisi economiche più oggettive e pragmatiche per ogni azienda. Inoltre l'attuale crisi sembra dare una risposta chiara alle domande che mi pongo da tempo: siamo in troppi nel settore? È troppo facile inventarsi imprenditori nella ristorazione?» 

Ripartire col freno a mano? 'Quasi peggio di rimanere chiusi'

Se in questi giorni la sfida è resistere, tra poco (questa almeno la speranza) si porrà la questione del come ripartire. «A quel punto saremo di nuovo ai piedi della scala – commenta Suter – perché si riproporrà esattamente lo stesso dilemma che si era posto in marzo, con la chiusura parziale delle attività: avere al massimo 50 persone per sala e garantire sempre e comunque le distanze sociali non solo si era rivelato poco efficace per contenere il virus, ma era pure economicamente poco sostenibile per l'esercente». Poco sostenibile era, poco sostenibile sarà: «Una riapertura così potrebbe fare più danni di quanto si pensi. Perché lavorare a regime ridotto impone di rivedere alcuni costi. E non è detto che si riescano a generare degli utili sufficienti a superare l'inverno». Insomma, meglio aprire forse più tardi ma in maniera più convinta? «Certo, anche perché bisogna farlo sì per l'economia, ma è necessario anche riuscire a non annullare gli effetti sanitari positivi visti finora».

Take away e food delivery

Per tentare di rimanere a galla, alcuni ristoratori hanno deciso nel frattempo di offrire servizi di ’take away’ o di ’food delivery’. Che in italiano significa prevedere la possibilità di ritiro di cibo presso l’esercizio pubblico oppure la consegna a domicilio. «So che un 10-15% dei nostri associati si è reinventato con un servizio di questo tipo – commenta il presidente di GastroTicino –. Dimostra certamente un certo spirito imprenditoriale, ma dal punto di economico può non essere una soluzione: l'incasso rischia di essere una goccia su un sasso caldo. Inoltre non tutti possono riconvertirsi in questo mondo, anche perché non c'è abbastanza mercato in Ticino. La verità è purtroppo che la maggioranza della ristorazione non vede un franco dal 15 marzo».

Quando e come si riaprirà è tutto da vedere. Di sicuro succederà: «A quel punto – chiosa Suter – speriamo che i ticinesi ci diano una mano, tornando a farci visita».

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