Ticino

La Cina e il nodo diritti umani

A fine mese a Vezia l'ambasciatore cinese in Svizzera. Un’interpellanza chiede di ricordare al diplomatico la contrarietà elvetica alla detenzione degli Uiguri

La minoranza musulmana in Cina è repressa con violenza (Keystone)
7 settembre 2019
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Geng Wenbing, ambasciatore della Repubblica popolare cinese in Svizzera, l’ospite d’onore della conferenza pubblica ‘Ticino: nuove scelte per nuovi scenari globali - Il caso della Cina’ che si terrà il prossimo 30 settembre a Vezia (ore 16) e organizzata dalla Federazione ticinese delle associazioni di fiduciari (Ftaf), non è passato inosservato tanto che mercoledì di questa settimana è stato oggetto di un’interpellanza parlamentare.

Fra i relatori della conferenza, oltre all’ambasciatore cinese, ci sarà il sindaco di Lugano Marco Borradori e il presidente del Consiglio di Stato Christian Vitta. E proprio a quest’ultimo il deputato socialista in Gran Consiglio, Carlo Lepori – unitamente a Raoul Ghisletta, Daniela Pugno Ghirlanda e Gina La Mantia, firmatari dell’atto parlamentare – pone un’unica domanda: “Il rappresentante del governo intende approfittare della presenza dell’ambasciatore cinese per ricordargli la chiara presa di posizione della Confederazione contro le violazioni dei diritti umani in Cina?”.
Domanda a cui il presidente del governo risponderà durante la prossima sessione del Gran Consiglio in programma da lunedì 16 a mercoledì 18 settembre.

La situazione difficile, dal punto di vista dei diritti umani, vissuta da alcune minoranze etniche in Cina è nota. Proprio nelle scorse settimane testate internazionali hanno riferito – citando rapporti dell’Onu – che ci sono testimonianze e indizi concreti secondo i quali “un milione di Uiguri (la minoranza musulmana cinese, ndr) sono trattenuti in quello che sembra un enorme campo di concentramento, avvolto nel segreto”. Anche il ‘New York Times’, nella sua versione online, lo scorso primo di settembre, riferiva di “arresti, processi e sentenze detentive” aumentate a dismisura nello Xinjiang, “dove Uiguri e Kazaki sono confrontati anche con i campi di rieducazione”. Il quotidiano statunitense ha pure pubblicato un grafico che mostra come le sentenze di incarcerazione siano esplose nella regione dello Xinjiang a partire dal 2014, superando ora le 500 persone detenute ogni 100mila abitanti. Il rapporto più alto a livello internazionale.

La Svizzera, assieme ad altri Paesi sensibili al tema dei diritti umani nel mondo, ha chiesto alla Repubblica popolare cinese di chiudere i campi di concentramento. La reazione cinese non è stata per nulla positiva tanto che lo scorso 11 luglio il sito swissinfo.org riportava che la Cina aveva attaccato la dichiarazione di 22 Paesi occidentali, inclusa la Svizzera, all’Onu. Dichiarazione che chiedeva appunto di interrompere l’incarcerazione di membri della sua popolazione musulmana in campi di concentramento. Per le autorità cinesi la misura “è necessaria per la sicurezza nazionale” accusando questi Paesi di “calpestare la sua sovranità”. Per non parlare dell’atteggiamento aggressivo nei confronti di Hong Kong (le imponenti manifestazioni popolari anti-cinesi sono notizia delle scorse settimane, ndr) o della più decennale repressione contro la popolazione tibetana. Insomma, la Cina è al centro del dibattito internazionale e non solo per la violazione dei diritti umani. Anche i sistemi di controllo della popolazione per il tramite del riconoscimento facciale sono piuttosto controversi.

«Non ho la pretesa di mettermi a livello dell’Onu o del Consiglio federale sulla difesa dei diritti umani. Personalmente sono contraria a tutte le forme di violenza e di non rispetto dei diritti dell’uomo, ovunque capitino», afferma Cristina Maderni, presidente della Ftaf. «La nostra associazione di categoria – con la conferenza di fine mese – è interessata a verificare se ci sono le condizioni per sviluppare ulteriori rapporti commerciali e finanziari con la Cina, visto che la Svizzera ha un accordo di libero scambio proprio con questo Paese», aggiunge Maderni che precisa: «Abbiamo invitato l’ambasciatore cinese nella Confederazione unicamente per questa ragione».

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