Ticino

Segnali di vita dallo Spazio

Dove si ritrovano, cosa condividono, cosa sognano i giovani del Cantone? Partendo da Spazio Elle a Locarno, un reportage tra luoghi d'aggregazione

21 giugno 2018
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Le stanze al piano interrato si chiamano ‘Polvere’ e ‘Acqua’. In verità, la definizione corretta è “atelier”. Il primo ospita il lavoro di un fabbricante di tavole da skateboard, una macchina stampa t-shirt, un forno industriale; nel secondo la fanno da padrone le arti grafiche, ma pure il cucito. In un angolo, in attesa di essere esposta in tutto il suo potenziale visionario, la gigantografia di un Fellini disegnatore che abbozza uno schizzo.

Visitiamo Spazio Elle nel silenzio di una quiete pomeridiana che rimanda, quasi amplificandoli, il brulicare d’incontri e d’interessi che qui convergono. Una quiete pre-aperitivo del venerdì, momento d’insieme di un centro che definire “culturale” o “giovanile” (o entrambe le cose insieme) sarebbe riduttivo.

Spazio Elle è anche questo, ma tra molte originalità. A partire dalla “L” rovesciata di un logo che di rovesciato ha anche il nome, il tutto per rispetto della pianta dell’edificio, che proprio quella forma ha. Originale e inedita a queste latitudini è anche la modalità di gestione, che vede un privato concedere in affitto al Comune di Locarno l’ex Villa Igea (ex Scuola media, ex Casa d’Italia, in piazza Pedrazzini), ‘girata’ a sua volta gratuitamente dalla Città all’Associazione forum socioculturale, che garantisce il funzionamento della casa coprendone le spese vive. Una casa fruibile da privati, associazioni, enti e altra varia umanità, culturale e non, a costi ‘di sopravvivenza’.

«Abbiamo inaugurato Spazio Elle lo scorso ottobre – racconta Yari Moro, presidente del ‘Forum’ – ma è una realtà della quale si parla da molto tempo. Il comitato che è riuscito ad ottenere questo spazio è nato 4 anni fa, in occasione dello sgombero di Casa Rossi, consegnata al cinema». Un comitato composto da 7 persone che garantiscono il funzionamento della struttura dividendosi ambiti che vanno dalla musica al teatro, dal cinema alla letteratura, agli atelier. «A differenza di quanto avveniva a Casa Rossi – racconta Moro – abbiamo voluto creare uno spazio che non fosse di nessuno, con una serie di stanze fluide destinate a ogni tipo di attività. I sette del Comitato si sono divisi gli ambiti per raccogliere le proposte di attività, e fare in modo che tutti potessero arrivare a organizzarle». Al primo piano, una ‘Sala grande’, con la superficie di un piccolo teatro. Spiega Moro: «All’inizio ci eravamo illusi di attribuire ad ogni spazio un ambito preciso. Ora ci rendiamo conto di come in questa Sala grande accadano cose assai diverse, dallo yoga alla società integrativa, al cinema, al pranzo, alla musica, al teatro». Un ultimo piano ospita una radio web, una camera oscura (e un vecchio ‘monumento’ Marshall).

‘Noi vorremmo che questo posto possa essere sì un centro culturale, ma anche una casa di quartiere, qualcosa di più popolare’

«Non c’è solo un fine culturale», continua Moro. «Attraverso lo statuto e il regolamento abbiamo espresso ideali di convivialità, condivisone, partecipazione attiva alla vita sociale e culturale. Chi propone qualcosa da realizzarsi all’interno di Spazio Elle deve anche abbracciare questi ideali». Propositi che sono, in parte, anche un punto critico: «Noi vorremmo che questa casa possa essere sì un centro culturale, ma anche una casa di quartiere. In parte lo è già, ci sono diverse attività di integrazione sociale per donne e migranti. Se un timore c’è, è che in futuro si possano tenere tanti corsi e poche attività in sé. Per questo abbiamo creato il Gruppo Eventi, un insieme di volontari che si occupano di organizzare giochi, musica, danza, cene e feste per tutti».
Per Moro «non è troppo identificabile un’età media, ed è una fortuna», perché «in quanto casa di quartiere, non ancora realizzata, vorremmo che le attività fossero omnigenerazionali. All’aperitivo del venerdì ci sono più giovani che anziani, è evidente. Ma non è un centro connotabile interamente come giovanile. Siamo un ibrido. Così come non siamo ancora, di fatto, una casa di quartiere».

‘A volte è scoraggiante. Però, quando vedi che la casa funziona autonomamente, ti senti felice’

Il Forum si è ispirato a una struttura del Canton Ginevra, «comunque profondamente diversa da noi, in quanto gestita da persone stipendiate dal Comune, e casa di quartiere a tutti gli effetti». Quelli di Spazio Elle sono tutti volontari, e «bisogna forse chiedersi – prosegue Moro – se questo non sia un limite per certi aspetti. Ci rendiamo conto che non riusciamo a far vivere lo spazio come vorremmo perché a Spazio Elle si può dedicare parte del tempo libero, non tutta la vita. Partecipazione e condivisione sono fondamentali. Poi, il grande interrogativo è sapere se un giorno qualcuno di stipendiato potrà far funzionare il tutto». L’affitto lo paga la Città, si diceva. Il Forum copre «le spese vive, che sono un sacco di soldi. Non siamo un’azienda, non ci sono scopi di guadagno. Le entrate vanno a coprire i costi, sperando che possano bastare, e a finanziare strutture di allestimento degli spazi, o attività che si vorrebbero organizzare».

Riflessioni finali. «La cosa più bella di questo posto? Il venerdì, quando c’è l’aperitivo aperto a tutti» conclude Moro, ricordando l’imponente lavoro a monte e il quotidiano impegno amministrativo e burocratico. «A volte è scoraggiante. Però, quando vedi che la casa funziona anche autonomamente, al di là di quello che il comitato può fare, ti senti felice».

Simone Masoni, il fascino discreto del dopolavorista

Non sottovalutate il dopolavorista, perché potrebbe nascondere talenti. Simone Masoni, 22 anni di Contone, va pensato di giorno alle prese con le tonalità nero-grigie di ingrassaggio e olio motore. Al di fuori del suo apprendistato di meccanico, però, ruotano colori in più, prodotti da una passione per la pittura che «è un’ossessione, ma buona», come la definisce lui. I suoi olii su tela, esposti lo scorso marzo nelle stanze “acquee” di Spazio Elle sotto il titolo di ‘My Alps are calling’ (Le mie Alpi chiamano), sono un campione dell’arte varia che transita nell’ex Villa Igea.

«Il tema della mostra era la montagna» spiega Simone. «La protagonista dei miei dipinti è una donna stressata che decide di lasciare il lavoro, perché sente il richiamo dei monti». Lo stesso richiamo al quale ha risposto per intero, corpo e anima, il suo autore. «Per ora è giusto un hobby, nato un po’ per noia 3 anni fa», prosegue. «Dopo il liceo, dove avevo fatto un approfondimento specifico in ‘visiva’, mi erano rimaste delle tele. Durante un weekend, non sapendo che fare, ho ripreso i pennelli e ho cominciato a fare qualcosa. E adesso mi ritrovo a non poter fare a meno della pittura».

Nei tempi d’attesa seguiti al suo primo contatto con Spazio Elle, Masoni si era rivolto anche alla Rada, geograficamente non troppo lontana. Per scoprire che il responsabile artistico era il medesimo. Da lì l’invito nella nuova realtà culturale, della quale il giovane pittore parla così: «Dal lato umano c’è tanto entusiasmo, tanta voglia di creare qualcosa di importante a Locarno. Diamo loro il tempo per crescere. Sono fiducioso, anche per la mia generazione, che potrebbe integrarsi con quelle presenti in questo momento, che hanno qualche anno in più della mia».

Il rombo dei motori del suo apprendistato non distrae Simone da altri obiettivi: «Vorrei entrare alla scuola di comunicazione visiva di Ginevra, ma sto considerando anche Parigi». Mentre le idee si chiariscono, Masoni ha completato il suo atelier-roulotte a Quartino e aggiorna le sue opere – impressioniste e non – sulle pagine di un sito ufficiale la cui gallery ospita una ‘Notte al Debarcadero’ dai tratti vangoghiani e una bella e rosea ‘Alba da Brissago’, sotto la quale c’è scritto, non a caso, ‘sold’ (venduto).

 

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