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Addio allo Spazio Morel, punto di riferimento della scena indie

Uno dei simboli della cultura indipendente tra un paio di mesi sparirà. La sua storia, la sua eredità e una certezza: Lugano necessita di altri spazi così

Oltre 10’000 associati, concerti, spettacoli, esposizioni, atelier, sale prove e molto altro
(Ti-Press/Instagram Spazio Morel)
16 gennaio 2025
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Oltre 10’000 associati, più di 150 performance musicali e teatrali, oltre 15 esposizioni artistiche e numerose altre attività. In soli tre anni, dal 2017 al 2019. Questi i numeri di tutto rispetto che ha realizzato lo Spazio Morel all’inizio della sua attività, diventando in brevissimo tempo un punto di riferimento della scena culturale indipendente luganese e ticinese. Poi nel 2020 lo stop, complice anche la pandemia, e la riconversione da luogo di diffusione a posto di produzione culturale: laboratori, atelier, sale prove. Una seconda vita altrettanto di successo come la prima, che fra un paio di mesi cesserà definitivamente. Il Tribunale federale ha infatti respinto il ricorso – inoltrato da dei vicini e con il quale il collettivo artistico non c’entra –, dando di fatto luce verde al progetto immobiliare della Art Building Sa.

Nell’attesa che sulle ceneri dell’ex officina sorga un complesso residenziale, abbiamo sentito il copresidente dell’Associazione Morel nonché promotore della Tour Vagabonde Noah Sartori, per ricordare gli inizi e la storia di un tassello fondamentale della recente offerta culturale cittadina. Un percorso travagliato, che però può a tutti gli effetti essere considerato l’anticamera dell’attuale dialogo fra la scena indipendente e il Municipio, che dovrebbe portare alla tanto agognata identificazione di spazi di produzione e diffusione per la cultura indipendente.

Com’è nata l’idea del Morel?

È uno spazio nato da un collettivo di persone che al tempo trovarono sede a Casotto (un appartamento in via Trevano, ndr), altra realtà importante per la scena perché ha servito le notti luganesi da prima che la nostra associazione cominciasse a organizzare attività. Le dinamiche però erano diverse. Casotto, pur essendo stata una realtà accogliente, in un certo senso era più ‘esclusiva’: non proponeva le sue attività pubblicamente, poiché lo spazio non poteva essere destinato a manifestazioni. A un certo punto ci siamo detti: ‘Per quale motivo dobbiamo nasconderci?’. In questo contesto, nel 2017 si è aperta la possibilità di usufruire dell’ex garage Morel. Sapevamo sin dall’inizio che questa possibilità sarebbe stata limitata nel tempo, perché già allora erano note le intenzioni della Art Building Sa.

Quindi come vi siete mossi?

Era nostra volontà fare le cose a norma per ospitare delle manifestazioni pubbliche, per questo abbiamo immediatamente contattato l’Ufficio edilizia privata della Città. Purtroppo sin da subito non si è creato un dialogo costruttivo. Non hanno voluto entrare in materia, proprio perché erano anche loro a conoscenza del progetto immobiliare dei privati. Tuttavia, con i proprietari di Morel noi avevamo già siglato da tempo un contratto per l’utilizzo di quelle superfici. Avendo questa possibilità, abbiamo deciso di sfruttarla.

Non vi preoccupava il fatto di non essere coperti legalmente?

Per noi era più importante partire. Sapevamo che c’era un’esigenza e che la Città non offriva alternative, dunque trovavamo doveroso aprire un dibattito pubblico su questa necessità di spazi e, per farlo, l’unico modo che ci rimaneva era quello di presentare un’azione concreta.

E quindi viene costituita un’associazione e nel febbraio del 2017 si inizia: concerti, esposizioni artistiche, performance.

Esatto. In tre anni, abbiamo avuto oltre 10’000 iscrizioni all’associazione. Più di 150 performance musicali e teatrali, oltre 15 esposizioni artistiche e tante altre attività come presentazioni di libri, proiezioni e workshop. Abbiamo collaborato con diverse istituzioni, per esempio organizzando la festa per il Premio Kiefer (conferito ai giovani artisti svizzeri, ndr) in collaborazione con il Masi, il Fresh Festival con il Dicastero eventi e congressi o collaborando con le Giornate del teatro svizzero. Era un posto nel quale si alternavano contenuti nostri, contemporanei ed emergenti, e altri più affermati e ufficiali come quelli legati alle istituzioni. Da subito c’è stato un grande interesse. C’era un movimento molto importante, con attività che toccavano anche le 1’000 persone a sera. Naturalmente, abbiamo catturato anche l’interesse delle autorità politiche e della polizia...

Cos’è successo?

Siamo stati convocati in centrale per un verbale, durante il quale abbiamo raccontato del progetto Morel e successivamente siamo stati convocati in Municipio. Era l’estate del 2017 ed è stato il nostro primo incontro con le autorità politiche. Abbiamo spiegato loro quel che era successo e loro si sono probabilmente trovati di fronte a una situazione nuova.

L’utilizzo di spazi privati, con accordo dei privati, per periodi temporanei però è una prassi da diversi anni nelle altre città svizzere. Potrebbe essere una soluzione anche per Lugano?

In parte sì. Il punto centrale resta che ci vogliono soluzioni continuative che permettano a chi produce o propone contenuti di sviluppare una progettualità nel tempo. Noi rivendichiamo la necessità e la possibilità di poter fare quello che ormai da diversi anni dimostriamo che si può fare e che una fetta importante di popolazione dimostra di aver bisogno. Chiediamo quello che già avviene oltre Gottardo, nulla più. È chiaro che per concretizzare la politica dovrebbe rivedere i criteri di sostegno finanziario e il quadro legale adottato per regolamentare questo tipo di attività. Allo stato attuale, un’associazione no profit che ha come scopo un fine culturale rientra sotto le stesse normative di un qualsiasi esercizio pubblico a fine di lucro. Sono cose ben distinte e come tali dovrebbero essere trattate. Proprio per questo, uno dei punti della Carta della Gerra (il documento sottoscritto da circa 3’500 persone in rappresentanza di oltre 700 realtà, ndr) rivendica un adeguamento legislativo che tenga conto di realtà come quelle della cultura indipendente. L’ente pubblico, fra tolleranza e nuove norme, dovrebbe cercare di venir incontro a queste realtà, che altro non fanno se non prestare un servizio pubblico.

Tornando al 2017, che accordi avete trovato con il Municipio?

È stato un percorso in salita. Ci sono stati dapprima chiesti degli approfondimenti contrattuali, sulla sicurezza e il calendario delle attività che avevamo intenzione di promuovere dopo il periodo estivo. Tutta la documentazione è stata fornita a luglio ma è stata giudicata incompleta solo a ridosso della ripresa delle attività, a inizio novembre. Abbiamo completato gli incarti, ma nel frattempo abbiamo riavviato le attività: c’era un programma artistico già allestito e del quale la Città era a conoscenza da mesi. Questa scelta ha chiaramente suscitato malumore e siamo stati convocati per un nuovo incontro, durante il quale ci hanno spiegato che ci avrebbero concesso le autorizzazioni trimestrali (le stesse utilizzate per la Tour Vagabonde, ndr), e così è stato tra aprile e giugno del 2018. Alla fine dei permessi, il Municipio ha deciso che andava depositata una richiesta di cambio di destinazione degli spazi. Come previsto, alla nostra istanza sono state presentate delle opposizioni. Nel frattempo, abbiamo ripreso con la programmazione, continuando a ricevere multe. Abbiamo finito la stagione 2018-19 con l’ennesima pezza dei permessi speciali, per essere a norma di nuovo per gli ultimi tre mesi prima della chiusura estiva. Per tre mesi all’anno eravamo a norma, per gli altri sei eravamo scoperti con le autorizzazioni.

Questo non vi ha demotivato?

Sei mesi all’anno non avremmo dovuto fare nessuna attività, secondo quanto disposto dal Municipio. Ma avevamo investito soldi e tempo e soprattutto c’erano migliaia di soci e centinaia di artisti che avevano bisogno di uno spazio dove lavorare ed esibirsi con continuità. L’esigenza era comprovata, la Città non presentava delle alternative valide e soprattutto non ci era ancora chiaro cosa stavamo commettendo di così illegale da rimanere bloccati in quella situazione. Vendere qualche birra? Usare uno spazio adibito ad autorimessa per realizzare delle manifestazioni? Erano tutti problemi ai quali – se la politica avesse mostrato il proprio interesse – si sarebbe potuta trovare una soluzione. Certo non ci piaceva restare in una situazione con aspetti di apparente ‘illegalità’, anzi lo scopo dello Spazio Morel era proprio uscire dall’ombra. Cercavamo un riconoscimento, desideravamo che la politica capisse l’importanza di trovare delle soluzioni. Arriviamo così all’estate del 2019.

Che succede nell’estate del 2019?

Veniamo convocati nuovamente dal Municipio. Sul tavolo, circa 25’000 franchi di multe pendenti e una denuncia penale nei nostri confronti per non aver dato seguito alle richieste di interrompere le attività. Stavolta all’incontro sono presenti anche rappresentanti di polizia e Cantone. Ci viene detto chiaramente che se avessimo proseguito con le attività, le multe e la procedura penale sarebbero diventate esecutive. Ci è stato detto inoltre che, da direttive cantonali, neanche le autorizzazioni trimestrali sarebbero più state possibili. Ci hanno quindi posto di fronte all’unica possibilità: la domanda di costruzione. Avevamo già ricevuto delle opposizioni per una richiesta di cambio di destinazione, figuriamoci per questo...

Per questo avete interrotto le attività?

Sì. A quelle condizioni, complice anche l’arrivo del Covid, abbiamo deciso che non fosse più possibile proseguire. Ma lo Spazio Morel non ha chiuso i battenti...

... ma si è trasformato.

Nel 2020 abbiamo fermato l’attività pubblica. Si è interrotta la diffusione culturale, ma non la produzione. Abbiamo trasformato gli spazi in atelier, sale prove, laboratori. E così Morel è rimasto attivo anche negli ultimi quattro anni, ospitando diversi artisti. Vera Trachsel ha prodotto da noi la sua esposizione al Lac, Marta Margnetti e Lisa Lurati hanno trovato da noi un atelier stabile, dove quest’ultima ha prodotto – tra le altre – l’esposizione alla Fondazione Bally, Niccolò Castelli ha girato metà del film ‘Atlas’ nei nostri spazi. Abbiamo lavorato con un sacco di musicisti, dai Peter Kernel a Tatum Rush, per citarne solo alcuni. Abbiamo ospitato Radio Gwen, la Ciclo Officina e tanti altri artisti e progetti di produzione.

E così veniamo all’oggi. E al domani. Quali prospettive per la scena indipendente?

Oggi rimangono solo un paio di spazi indipendenti, che vivono una situazione altamente precaria e che si scontrano con gli stessi problemi già vissuti da noi e che la politica, ormai da almeno otto anni, non ha ancora voluto risolvere. Il Foce è ‘l’unico’ spazio a Lugano che offre un certo tipo di proposta e di contenuti culturali ed è anche l’unico luogo ad avere tutte le autorizzazioni per poterlo fare, ma non è un luogo indipendente, in quanto gestito direttamente da un dicastero della Città. Morel – assieme a Casotto, Csoa il Molino, Turba, Il Domani, Living Room e altre realtà che non ci sono più – ha rappresentato per anni l’unica valida alternativa. Sono passati già otto anni di dialogo con il Municipio, durante i quali invece di veder crescere gli spazi per la cultura indipendente abbiamo assistito alla scomparsa di quasi tutti, e ci è mancato poco che facessero chiudere anche il Lido San Domenico. Lugano è l’unica, tra le prime dieci città svizzere, a non avere degli spazi di produzione sovvenzionati e che non concede spazi in gestione indipendente alle associazioni culturali attraverso mandati chiari e decisioni trasparenti. In questo senso, Morel ha prestato un servizio pubblico non indifferente e la sua chiusura comporta che, fra pochi mesi, Lugano si troverà senza uno spazio nel quale artisti, emergenti o affermati che siano, possano produrre cultura. Ora il dialogo è ripreso, speriamo su nuove basi: è molto importante e impellente trovare finalmente delle soluzioni concrete che possano durare nel tempo.

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