Luganese

Lugano, fu errore medico o un ‘caso’ della vita?

Chiusa l’istruttoria del processo a carico della radiologa 52enne accusata di lesioni colpose per non aver diagnosticato un tumore al seno di una paziente

Se una paziente ha fatto lo screening cantonale, la tomografia mammografica non viene eseguita automaticamente
(Eoc)
12 dicembre 2022
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Il giudice Siro Quadri dispone ora di tutti gli elementi per stabilire se la dottoressa accusata di lesioni colpose gravi, nel gennaio 2019, commise un errore medico, causando un danno di salute e l’asportazione di un seno a una paziente della clinica Moncucco, oppure se rispettò l’arte medica. Chiamata in aula oggi per essere interrogata, l’autrice della prima perizia, un’esperta di senologia, ha detto che l’imputata agì in maniera corretta. Nei suoi panni, lei si sarebbe comportata come ha fatto la radiologa 52enne a processo dallo scorso 9 novembre. L’anomalia riscontrata dalle prime analisi mammografiche imponevano un’ecografia, esame che venne ordinato ed effettuato senza che emergessero indizi tali da richiedere ulteriori approfondimenti. Indizi ben più concreti di un tumore al seno, vennero invece alla luce attraverso la tomosintesi mammaria (tecnica che permette di acquisire immagini della mammella in tre dimensioni). Quest’ultimo esame, però, l’imputata non lo ordinò e nemmeno guardò i risultati.

La perita: ‘Siamo in una zona grigia’

Sono questi gli elementi nuovi scaturiti dal processo odierno, celebrato nell’aula principale di Palazzo di giustizia, di fronte alla Corte delle assise Correzionali di Lugano, dopo che il dibattimento è stato sospeso dal giudice lo scorso 24 novembre. Un processo durante il quale, oltre alle schermaglie legali agguerrite tra le parti, la perita ha affermato anche che «ci troviamo di fronte a un caso difficile. Siamo in una zona ‘grigia’, in cui entra il gioco anche il rapporto psicologico tra paziente e dottore. Con i risultati della mammografia e dell’ecografia, non posso dire che avrei ordinato altri approfondimenti. L’avrei fatto, forse, dipendenza del mio stato d’animo e di quello della paziente. Posso dire che, la dottoressa ha agito secondo la scienza medica». Tuttavia, quegli esami sono stati eseguiti e hanno mostrato indizi chiari, abbastanza evidenti della presenza di un tumore e questo avrebbe imposto ulteriori approfondimenti. Come mai l’imputata non ha visto e analizzato i risultati della tomosintesi? «Non avendoli richiesti, non sono andata a cercarli», si è difesa l’imputata. Il tumore è stato diagnosticato solo un anno dopo, costringendo a cure oncologiche pesanti la paziente che ha pertanto denunciato la dottoressa.

L’accusa è convinta della colpevolezza

Un altro elemento emerso oggi, è l’impossibilità di stabilire con certezza se l’imputata abbia visto i risultati dell’analisi effettuate attraverso la tomosintesi mammaria. La tecnica di radiologia attiva nella stessa clinica luganese, chiamata a testimoniare come persona informata sui fatti, malgrado non abbia svolto lei stessa le analisi, ha detto che la tomosintesi mammaria viene sempre eseguita, proprio perché era prescritta da un protocollo (non scritto). Questo aspetto è stato confermato da una dichiarazione prodotta spontaneamente oggi dalla clinica, contro la quale, sia l’imputata che la paziente, hanno peraltro avviato una procedura civile, relativa alle coperture assicurative. L’accusa, sostenuta dal procuratore pubblico Zaccaria Akbas, ha ribadito che l’imputata avrebbe dovuto esaminare i risultati di quelle analisi, anche nel caso in cui non le avesse ordinate. Secondo il procuratore, quei risultati mostravano chiaramente l’anomalia ed erano stati girati alla dottoressa, che avrebbe dovuto prenderli in considerazione, visto che erano giunti in tempo utile per diagnosticare la presenza di un tumore. Akbas ha pertanto chiesto alla Corte di confermare l’atto d’accusa e la condanna della donna alla pena pecuniaria di 120 aliquote giornaliere, sospesa con la condizionale per due anni, per complessivi 61’200 franchi. Anche l’avvocato Renzo Galfetti, patrocinatore della paziente, ha messo in evidenza il fatto che la dottoressa avesse il dovere di guardare i risultati dell’analisi attraverso la tomosintesi mammaria. L’imputata avrebbe violato l’arte medica, anche se non li avesse presi in considerazione.

La difesa chiede l’assoluzione

Dal canto suo, invece, Filippo Ferrari, avvocato della 52enne, ha evidenziato l’assenza di prove a sostegno del nesso di causalità tra la presunta mancata diagnosi e l’emergere della malattia. Il legale si è opposto all’acquisizione di documenti senza contraddittorio, come la dichiarazione prodotta soltanto oggi dalla clinica. Ferrari, riprendendo la parole pronunciate in aula dalla perita, ha sottolineato come, in questo caso, lei stessa si sarebbe forse comportata come l’imputata. L’avvocato ha inoltre rimarcato che non esiste alcun protocollo scritto da parte della clinica e ha pertanto richiesto l’assoluzione della propria assistita. Prima di annunciare che la sentenza verrà pronunciata giovedì prossimo, il giudice ha respinto l’istanza presentata formalmente dall’accusa, che ha chiesto di chiamare a testimoniare la tecnica di radiologia, che quel giorno di gennaio 2019 fece le analisi alla paziente. «Il caso è maturo per un giudizio», ha detto Quadri.

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