Luganese

Autosilo Balestra di Lugano, l’aggressore aveva precedenti

Presidio anti-violenza promosso dal Collettivo Io lotto ogni giorno per condannare l’inerzia delle autorità per la vicenda della donna picchiata

Un momento del presidio odierno
18 dicembre 2021
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È stato interrogato ieri l’uomo che ha aggredito e picchiato la ex compagna all’interno dell’autosilo Balestra a Lugano. La procuratrice pubblica Margherita Lanzillo, venerdì ha sentito anche la vittima. La magistrata ha chiesto la conferma dell’arresto. Sarà il giudice dei provvedimenti coercitivi a decidere. A causa delle percosse subite, la vittima non ha potuto lavorare questa settimana. L’aggressione non è passata inosservata. Il collettivo Io Lotto ogni giorno ha organizzato oggi pomeriggio di fronte all’ingresso di palazzo di giustizia di Lugano un presidio, siccome "purtroppo è ancora necessario scendere in strada e far sentire la nostra voce a fronte dell’inerzia delle autorità nel contrastare la violenza maschile sulle donne. La brutale aggressione di pochi giorni fa all’autosilo Balestra di Lugano ha suscitato giustamente indignazione e sconcerto in molte persone. Come è possibile, si sono chiesti in molti, che una donna minacciata di morte, aggredita e che è riuscita a salvarsi grazie all’intervento di terzi, si ritrovi ora a dover vivere nella paura, in gabbia, mentre il suo aggressore è lasciato a piede libero?”

Aggressore a piede libero: ’Inaudito’

Al presidio hanno partecipato anche due deputate in Gran Consiglio: Simona Arigoni (Mps) e Tamara Merlo (Più donne). Quest’ultima dice di essere venuta a conoscenza dell’aggressione dai media, lunedì durante la seduta di Gran Consiglio: «Sono rimasta stupita del fatto che la vittima fosse costretta a nascondersi e ad aver paura per evitare ritorsioni da parte dell’aggressore, mentre il protagonista di una vicenda così eclatante, avvenuta di fronte a testimoni e alle immagini della videosorveglianza, è stato rilasciato». Da questo episodio, tramite il passa parola, è nata una rete di solidarietà, formata da donne che si sono attivate per stare vicine alla vittima e l’hanno accompagna all’ufficio di aiuto alle vittime, poi da un’avvocata e infine è intervenuta anche la procura». Purtroppo, quello di domenica sera all’autosilo Balestra non è un caso isolato. È anzi ciò che normalmente succede in queste situazioni. Le donne minacciate e aggredite ancora oggi non ricevono il dovuto ascolto e la dovuta protezione. Nonostante le denunce, i colpevoli vengono lasciati liberi e possono continuare a terrorizzare, molestare e aggredire. Anche i provvedimenti restrittivi si rivelano purtroppo spesso illusori e inefficaci, come dimostrato dal recente tentato femminicidio di Solduno", è stato detto col megafono da una donna.

‘Gravi carenze, vogliamo chiarezza’

«Da questo caso emerge l’assenza di un accompagnamento alle vittime per tutto il percorso. Ci sono state gravi carenze per quanto riguarda la presa a carico da parte della polizia e nella presa a carico dell’ospedale, dove la vittima ha dovuto aspettare per ore, prima di essere visitata – sostiene Tamara Merlo –. Su questi aspetti, come deputata esigerò chiarezza e delle risposte, perché non è possibile trattare nessun essere umano in questo modo e soprattutto non una vittima di violenza domestica a causa di un uomo già noto alle autorità per episodi di violenza contro la precedente compagna. È mancata l’assistenza psicologica ma anche umana e addirittura educazione. Questo è gravissimo. Quando una donna si annuncia al pronto soccorso come vittima di un’aggressione e non viene ascoltata dimostra che, come società abbiamo fallito. La polizia avrebbe dovuto perlomeno accompagnare la vittima all’ospedale». Il collettivo pretende “misure concrete e che si istituisca una rete di sostegno che accompagni le vittime che vogliono uscire dalla violenza, dall’inizio alla fine del percorso. Non vogliamo più stare in casa né vergognarci per come ci vestiamo. Vogliamo vivere in sicurezza e la casa, si sta dimostrando che non è più il luogo sicuro per una donna» Non solo. Una donna del collettivo si aspetta che le istituzioni preposte, che hanno presentato il piano cantonale dessero almeno un segnale di solidarietà o almeno di presenza sullo stato della situazione”

‘Quante vittime saranno necessarie?’

“La violenza maschile sulle donne è un fenomeno costantemente banalizzato, normalizzato e tollerato. La polizia interviene in Ticino 3 volte al giorno per casi di violenza domestica. Quasi una donna su due è confrontata in Svizzera a una qualche forma di violenza all’interno di una relazione di coppia. Ci chiediamo allora quante di noi oggi hanno paura? Quante non sono state ascoltate, credute, protette? E quante nuove vittime saranno necessarie prima che le autorità prendano coscienza della necessità di agire, subito e con strumenti realmente in grado di contrastare la violenza maschile?". Queste parole sono state gridate dal megafono oggi. Il collettivo contesta anche "Il piano d’azione cantonale presentato il 24 novembre che non si è dimostrato all’altezza dell’obiettivo. Il discorso di fondo è che tutto va già piuttosto bene, che non servono risorse supplementari, che gli strumenti esistenti sono già adeguati, che i vari professionisti sono già formati. E alla fine si fa ben poco o nulla. Ma noi donne siamo stufe. Siamo stufe dell’inerzia delle autorità. Siamo stufe di dover aver paura. Siamo stufe di non essere credute. Siamo stufe di non ottenere giustizia”.

Un Piano cantonale con un numero unico

Per questo “chiediamo un Piano d’azione contro la violenza sulle donne con un numero unico anti-violenza aperto 24/24 e 7/7 giorni (come esiste già in altri cantoni), gestito non dalla polizia ma da personale qualificato e prevalentemente femminile, un reale rafforzamento dei servizi di presa a carico e degli sportelli anti-violenza, una procedura specifica negli ospedali per le vittime di violenza domestica e sessuale, sul modello del ‘codice rosa’ italiano, e la creazione all’interno degli ospedali di consultori specializzati per il sostegno alle vittime di violenza, un reddito d’emergenza per facilitare i percorsi di uscita dalla violenza, una procedura proattiva di presa di contatto da parte dei servizi di aiuto alle vittime, con lo scopo d’illustrare alle donne gli aiuti e i servizi esistenti, misure di allontanamento realmente efficaci e dispositivi ‘salvavita’ per le vittime, campagne di informazione e prevenzioni capillari e martellanti”.

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