Luganese

Lugano, braccio di ferro sull'ex macello

Giorgio Giudici: 'Era scontato'. Marco Borradori ritiene che la situazione non sia irrimediabile anche se, fra due o tre anni, il rischio c’è.

(Ti-Press)
18 maggio 2019
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Siamo al muro contro muro. La presa di posizione dell’assemblea del centro sociale (cfr. ‘laRegione’ di ieri, www.laregione.ch) lascia pochi margini di manovra per un eventuale spiraglio di trattativa. D’altra parte, anche la decisione del Consiglio comunale di lunedì sera che, di fatto, lascia fuori l’autogestione dal futuro dell’ex macello non ha contribuito a dirigere la questione sulla via del dialogo. Come uscire dall’impasse senza giungere allo scontro e allo sgombero forzato è la domanda che per ora resta senza risposta.

All’ex sindaco Giorgio Giudici che, assieme al compianto Giuliano Bignasca, aveva consegnato gli spazi dell’ex macello al centro sociale abbiamo chiesto un commento su quanto capitato negli ultimi giorni. «Era scontato che si arrivasse a questo braccio di ferro. Diciassette anni fa trovammo una soluzione (con la firma della convenzione, ndr). Una soluzione criticabile ma imperniata sulla realpolitik». Quali potrebbero essere le vie d’uscita? «Come cittadino semplice, sto alla finestra. Però, se la politica cerca soluzioni calate dall’alto incontrerà solo difficoltà – risponde l’ex sindaco –. Anzi, si rischia di rinforzare il movimento con conseguenze che andrebbero ponderate meglio». Gli incontri fra la parti ci sono state ma senza risultati… «Chiaro che il dialogo con questo genere di realtà è complicato, ci sono sempre interlocutori diversi, ma fa parte del gioco. Alcuni consiglieri comunali mi hanno chiesto un parere. Gli ho risposto che, in base all’esperienza, mostrare i muscoli, senza comprendere le conseguenze (come nell’ottobre 2002 dopo lo sgombero, ndr) appare una scelta discutibile se non sbagliata. D’altra parte, mi pare che l’esecutivo non abbia l’autorevolezza per trovare una soluzione realistica».

‘La disdetta non è un atto di guerra’

Il sindaco di Lugano Marco Borradori non è sorpreso del tenore del comunicato stampa del Molino né della posizione della collega di Municipio Cristina Zanini Barzaghi (cfr. ‘laRegione’): «Non sono stupito di quanto ha affermato, conosco la sua posizione, io la penso in un altro modo. La disdetta, che non è un atto di guerra, è la conseguenza logica nel solco di quanto deciso democraticamente dal Municipio e dal legislativo». E sulla presa di posizione dell’assemblea dello Csoa? «La loro attitudine è sempre stata su quelle frequenze. È un peccato, si comportano come se l’ex macello fosse di loro proprietà, con una posizione che cozza contro la decisione presa democraticamente». Pare si stia profilando un braccio di ferro come nel 2002 dopo lo sgombero che creò grossi problemi di ordine pubblico in città… «Non siamo ancora a quel punto e spero non ci si arrivi mai anche se fra due o tre anni il rischio potrebbe concretizzarsi – rileva Borradori –. La soluzione di concedere l’ex macello, che capisco come elemento di realpolitik, da provvisoria è purtroppo diventata “definitiva”. Adesso sarà compito nostro trovare una soluzione che permetta finalmente di valorizzare questo splendido sedime a beneficio di tutta la città. Dal mio punto di vista, c’è ancora margine per riuscire a sedersi attorno a un tavolo e individuare un’altra sede. In fondo, potrebbe andare bene anche a loro poter continuare l’attività ed evitare una volta per tutte questo sterile muro contro muro con il sostegno della politica». Però, nel gruppo di lavoro chiamato a trovare una soluzione, non sono stati coinvolti gli inquilini… «Vero, dobbiamo però tenere conto che il gruppo di lavoro ha il compito di cercare gli spazi, poi in una seconda fase sarà necessario un nostro e un loro coinvolgimento».

C’è spazio per qualcuno, come l’associazione Aida, che abbia il ruolo di mediatore? «Non escludo questa possibilità, però l’eventuale mediatore deve essere consapevole che con la decisione del Consiglio comunale qualcosa è cambiato, ossia che gli spazi dell’ex macello non saranno più, a medio termine, accessibili all’autogestione».
All’ex consigliere comunale di Lugano Gerri Beretta Piccoli, che fa parte anche dell’associazione idea autogestione (Aida), chiediamo che idea si è fatto della situazione e come se ne potrebbe uscire: «Sono rattristato: il cosiddetto potere rappresentato da esecutivo e legislativo, con la decisione che ha preso lunedì, è come se avesse ordinato al centro sociale di sloggiare. Questo rende più difficile il dialogo fra le parti che non parlano la stessa lingua». Oltre a sottolineare la carenza di comprensione, da parte della politica, delle attività e di cosa sia davvero un del centro sociale, l’ex consigliere comunale critica la composizione della commissione speciale: «Lo chiamano gruppo di lavoro? La Città è rappresentata da tre impiegati comunali, guidati da Fabio Schnellmann, mentre per il Cantone ci sono altri tre funzionari, di cui un poliziotto della Cantonale. La società civile e il centro sociale non ne fanno parte. È un gruppo di lavoro a senso unico». Eppure, continua Beretta Piccoli, «al centro sociale ci sono proposte culturali fuori dagli schemi e dai canali classici che si possono trovare solo lì, come i resoconti delle guerre dimenticate».

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