Locarnese

Le sparò un colpo di fucile, ‘ma volevo solo parlare’

Così si difende il 22enne sangallese che nell’ottobre 2021 ferì gravemente a Solduno l’ex compagna. È accusato, tra le altre cose, di tentato assassinio

(Ti-Press)
27 novembre 2023
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«Ho messo nella borsa le armi ma non volevo usarle, in un momento difficile della mia vita volevo solo andare a parlarle».

Invece, quelle armi, in particolare un fucile rubato dalla casa (in Austria) dei suoi nonni materni, le ha usate eccome, il 20enne (all’epoca dei fatti) del Canton San Gallo che la sera del 21 ottobre 2021 a Solduno ha sparato all’ex compagna, una 22enne locarnese, ferendola gravemente. Il tentato assassinio (in subordine tentato omicidio) è l’accusa più pesante dalla quale il giovane, difeso dall’avvocato Luca Guidicelli e presentatosi oggi davanti alla Corte delle Assise criminali a Lugano (presidente Siro Quadri, giudici a latere Giovanna Canepa Meuli e Luca Zorzi), deve difendersi. Ma è solo l’ultima di una lunga serie, dato che nel lungo (23 pagine) atto di accusa presentato dal procuratore pubblico Roberto Ruggeri si parla anche di, tra le altre cose, coazione, sequestro di persona e rapimento, lesioni gravi, esposizione a pericolo della vita altrui e infrazione alla Legge federale sulle armi.

Una lunga serie di accuse figlia di svariati episodi – dall’utilizzo di un taser, sempre sulla ticinese, ad atteggiamenti coercitivi nei confronti della stessa così come di un’altra ragazza, fino alla minaccia, puntando un coltello alla gola, nei confronti di un uomo – sfociata, in un’inquietante escalation, nella sparatoria del 21 ottobre 2021. Quel giorno, il ragazzo si presentò presso l’appartamento della ticinese – la quale aveva troncato definitivamente la loro relazione a luglio, ottenendo tra l’altro una diffida che impediva al giovane di avvicinarsi a lei – in via Vallemaggia a Solduno, legò lei e il suo nuovo fidanzato ( (anche lui accusatore privato) e, quando dopo essersi liberata la 22enne provò a scappare, la inseguì e le sparò attraverso la porta d’entrata del palazzo, colpendola all’addome. La ticinese rimase ferita gravemente; uscì fortunatamente dall’ospedale dopo 13 giorni di degenza e diversi interventi. Il suo aggressore, che dopo il colpo di fucile tornò nell’appartamento liberò l’altro ragazzo e attese l’arrivo della polizia, è rimasto in carcere da allora.

Un modo di agire che il pp Ruggeri nell’atto d’accusa definisce “mosso da un mero sentimento di rancore, di gelosia e di possessività, cosicché la stessa (l’ex compagna, ndr) non potesse instaurare solide relazioni con altri uomini”, con movente e scopo “particolarmente perversi” e “attuando altresì modalità particolarmente perverse nell’ideazione quanto nella pianificazione del crimine”, “con particolare mancanza di scrupoli e freddezza”.

‘Non volevo perderla e non ho più capito cosa stavo facendo, mi dispiace’

«Sì, quella sera è successo qualcosa di sbagliato e ho provato a cercare una risposta sul perché sia capitato, ma non l’ho trovata – ha affermato l’imputato, incalzato dal giudice –. Mi sentivo stanco (dopo la fine della relazione con la ticinese, ndr), vuoto e sono andato avanti senza rendermi conto che quello che stavo facendo fosse sbagliato. All’inizio avevo effettivamente l’intenzione di compiere qualcosa di violento, ma poi mi sono vergognato, mi sono detto che non avrei potuto farlo e ho pensato di voler solo parlare».

«Ma voi avevate già parlato via messaggio e lei sapeva perché la vostra relazione era finita – ha fatto notare ancora Quadri –. La ragazza era molto turbata, non si limitava ad affermare di non amarla più, le diceva “tu mi annienti”».

‘Ma per me non era abbastanza’

Apparso piuttosto impassibile, a tratti confuso e contraddittorio in alcune sue affermazioni, l’imputato – al quale una perizia psichiatrica riconosce una lieve scemata imputabilità – ha poi deciso di affidarsi a una lettera per cercare di spiegare le sue ragioni… «Sono qui per assumermi le mie responsabilità. Ero depresso prima di conoscerla (la ticinese, ndr) e lei mi ha aiutato, anche per quello l’amavo e quando la nostra relazione è terminata mi sono sentito perso. All'inizio ho pensato che fosse colpa sua, ma poi ho capito che era solo mia. Sono venuto in Ticino per parlare con lei anche se sapevo che non sarebbe servito a rimetterci insieme, ma poi, depresso e sotto l’influsso delle pastiglie (calmanti, ndr), non ho più capito quello che stavo facendo. L’amavo ancora e non volevo che la nostra storia finisse, avevo paura di perderla, ma ho rovinato tutto e mi viene la nausea quando penso a quello che ho fatto. Mi dispiace, ho rovinato non solo la sua vita, ma anche quella della sua famiglia e la mia. Il danno che ho causato è irreparabile, ma spero che tutti riescano a condurre una vita normale nonostante tutto».

Oltre al fucile, manette, soda caustica e molto altro: ‘Volevo essere pronto ad affrontare qualsiasi situazione’

Il giudice ha però cercato ulteriori risposte, arrivando persino a mostrare in aula il fucile utilizzato dal giovane (con munizioni a pallettoni, «quelli per ammazzare i cinghiali», parole dell'imputato) a Solduno e facendo notare che pochi giorni prima del 21 ottobre 2021 era andato in uno stand di tiro in Austria a sparare con quella stessa arma. Quadri ha poi insistito sul vero e proprio arsenale trovato in possesso del sangallese la sera del fattaccio: oltre al fucile, anche manette, un coltello, nastro adesivo, soda caustica con guanti e occhiali protettivi per utilizzarla, e molto altro (compresa una vanga)… «So che si tratta di un piano assurdo e oggi non so spiegarmi come ho potuto idearlo, l’unica cosa che so è che volevo essere pronto ad affrontare qualsiasi situazione».

Tanto da avere sul proprio cellulare, come rivelato dal giudice e confermato dal confederato, un “piano” ben preciso, che prevedeva anche di sedare le vittime con un farmaco («in modo da avere tempo per scappare») e in seguito eliminare le prove, «bruciandole e sotterrandole».

Lo sparo partito ‘per sbaglio’ e la (non) chiamata ai soccorsi

Un piano andato in fumo quando la ragazza, liberata per far zittire il suo cane, è riuscita a spruzzare all'uomo lo spray al pepe e a scappare... «A quel punto non ho più capito nulla». «Voleva ucciderla?», è infine arrivata una delle domande chiave da parte del giudice... «Assolutamente no. In quel momento non ho avuto la lucidità di capire che sarebbe potuto partire un colpo, anche perché pensavo che il fucile avesse la sicura inserita. È stato un incidente, sono inciampato ed è partito un colpo, stupidamente ho tenuto l’arma puntata nella sua direzione. Inizialmente non ho capito di averla colpita, poi mi sono avvicinato, l’ho vista allontanarsi strisciando e ho realizzato. Ero scioccato, sono salito nell’appartamento e ho chiamato i soccorsi», le parole del confederato, smentite però dal giudice… «No, non li ha chiamati lei», ha fatto notare. «Perché non riuscivo a mettere il codice del mio cellulare, a causa degli effetti dello spray al pepe. Poi sono arrivati i soccorsi».

Soccorsi evidentemente allertati da qualcun altro, mentre come fatto notare dal giudice, l’assalitore si è limitato a inviare due messaggi vocali (fatti ascoltare in aula) alla madre, nei quali si dispiaceva «unicamente per il danno fatto a lei stesso e alla sua famiglia, non alla vittima, della quale non si fa cenno, così come non si parla del colpo che sarebbe partito per sbaglio». E a una telefonata nella quale chiedeva, sempre alla mamma, di resettare il telefono lasciato a casa a San Gallo – missione inizialmente non andata a buon fine ma misteriosamente compiutasi dopo l’arresto –, prima di distruggere quello che aveva con sé in Ticino.

Ossessione del controllo

Durante il dibattimento è emersa in più occasioni l’ossessione del controllo dell’imputato nei confronti della vittima, sia durante sia dopo la loro relazione. Controllo esercitato attraverso più modalità (ad esempio l’applicazione trova il mio iphone) e che l’ha portato persino a raggiungere l’ex fidanzata a Follonica, dove si trovava in vacanza con la famiglia. «Per parlare», ha affermato il giovane, ammettendo però poi di aver anche tagliato le gomme dell’auto della famiglia, «perché ero arrabbiato con me stesso».

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