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‘Non ho più visto mio papà. Né da vivo, né da morto’

Dalla testimonianza di una figlia che ha perso il padre per covid, cerchiamo di capire con quali direttive (non sempre chiare) operano le onoranze funebri

7 novembre 2020
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Ciao papà. Un saluto tanto semplice, quanto impossibile di questi tempi, soprattutto se il destinatario è residente di una casa per anziani e, in più, è positivo al covid-19 e perciò in isolamento. La faccenda si complica quando l’anziano genitore muore: quel fugace saluto non detto si fa più pesante.

Il momento del congedo prima, ma soprattutto dopo il decesso è parte di un percorso di distacco e addio sia per chi se ne va, sia per chi resta, importante per alleviare il peso emotivo e psicologico. Le persone che non hanno la possibilità di accomiatarsi dai propri cari, ad esempio con un funerale o una veglia, non possono o non riescono a elaborare il distacco della morte, che si fa ancora più lacerante.

«Mio padre non l’ho più visto. Né da vivo, né da morto», racconta all’altro capo della cornetta Anna [nome fittizio, quello reale è noto alla redazione; ndr]. Il padre di Anna, da cinque anni ospite di uno degli istituti per anziani della regione, è deceduto il mese scorso a causa del coronavirus; era poco più che ottantenne.

Da quando la struttura ha comunicato alla famiglia che il loro caro aveva contratto l’infezione – durata una decina di giorni –, le visite sono state interrotte, perché il reparto interessato dai contagi è stato posto in isolamento, secondo le direttive emanate dall’Ufficio del medico cantonale. «Telefonavo quotidianamente per avere informazioni sulle condizioni di mio papà, per sapere come stesse affrontando il virus. Dalle risposte, nonostante l’età e i suoi acciacchi, sembrava riuscire a resistere senza troppi affanni. Aveva fatto un solo giorno di febbre, peraltro nemmeno troppo alta. Tanto che mi sono detta “che fortuna, per un po’ di tempo ce l’ho ancora con me”», confida la donna, ma subito aggiunge: «Poi, da un giorno all’altro, ci è stato comunicato che era morto durante la notte, addormentandosi».

‘Ce lo hanno riportato in un'urna’

Ma, non è ancora ora di mettere il punto alla sua testimonianza. Perché, se da un lato le visite sono state interrotte come da protocollo, Anna non si spiega come mai, dall’altro, la famiglia non abbia potuto vedere la salma dell’uomo. «Ce lo hanno riportato cremato, in un’urna. Non abbiamo potuto nemmeno dire addio al suo corpo». I familiari hanno chiesto spiegazioni alle pompe funebri, che hanno spiegato loro che per non rischiare la diffusione di particelle contagiose, hanno provveduto direttamente alla cremazione.

Il distacco, confida l’interlocutrice, è stato brusco e doloroso: «Non abbiamo potuto dirgli addio, elaborare il lutto». Tiene poi a precisare che «non vogliamo puntare il dito contro nessuno, vorremmo solo capire come mai non abbiamo potuto avere contatti con nostro papà quando era ancora vivo, né vederlo in una bara quando morto. Naturalmente, prendendo tutte le misure di protezione necessarie. Spero che il mio racconto possa essere utile a qualcun altro che sta vivendo questa difficile situazione».

Gli interrogativi di Anna sorgono dal confronto con conoscenti che, vivendo una condizione simile, le hanno invece raccontato esperienze opposte: hanno potuto stare vicino ai parenti malati di coronavirus, potendoli seguire, in alcuni casi, fin dopo il trapasso.

La testimonianza di Anna, una storia comune a tante altre, porta a galla un paio d'interrogativi: quali sono le direttive che le case per anziani devono attuare? E ancora: qual è la prassi della gestione delle salme? Di primo acchito, da queste domande sembra emergere come non vi sia sufficiente chiarezza su direttive, protocolli e misure da applicare.

‘Le direttive per le agenzie di pompe funebri sulla cura di un defunto covid sono un po' ambigue’

Partiamo dalla fine, e concentriamoci sulla cura del corpo di un morto covid. Per ciò che riguarda gli interrogativi inerenti questo processo ci siamo rivolti a un'agenzia di onoranze funebri del Locarnese. «Stando alle procedure d'inizio pandemia, l'iter da seguire era: prelevare il defunto così come lo si trova, deporlo in un sacco ermetico, cospargerlo di disinfettante, chiuderlo in una bara, la quale va poi sigillata ermeticamente per non essere più riaperta», spiega il nostro interlocutore.

Tuttavia, «le nuove norme emanate dal medico cantonale (datate 22 ottobre, sulle quali torneremo in seguito; ndr) non sono molto chiare. Ad esempio, si legge che, con le dovute precauzioni, si potrebbe vestire il defunto, ma senza muoverlo, riducendo al minimo in contatti. Si tratta di una disposizione un po' particolare, perché vestire un corpo senza muoverlo è un'operazione quasi impossibile», puntualizza.

Non c'è garanzia assoluta di poter operare in sicurezza

«La situazione – ribadisce – è un po' equivoca e, se non c'è garanzia di poter operare in sicurezza, c'è il rischio di entrare in contatto col virus. Attualmente, infatti, non c'è certezza sulla non contagiosità dei corpi. Quindi, chi si assume rischio e onere?», chiede, e aggiunge: «Se si dovesse entrare in contatto col virus lavorando, s'arrischia il contagio, una probabile diffusione nella cerchia familiare e la quarantena».

Tenendo conto che ogni ente o struttura ha un proprio piano di protezione, «noi, come onoranze funebri abbiamo deciso di seguire le prescrizioni più restrittive (quelle dello Stato maggiore), come fanno quasi tutte le ditte di settore, eccetto una, di cui siamo a conoscenza, che fa la vestizione della salma e permette ai familiari la visita», confida. Meno rigidità – applicando tutte le misure igieniche e di sicurezza – che tuttavia pone qualche dubbio sulla correttezza nei confronti degli operatori delle agenzie e dei familiari, che desiderano vegliare il loro caro.

In sostanza, dalle normative sembrano emergere punti bui, come ci ha spiegato il nostro interlocutore, per cui risulta difficile districarsi e trovare la corretta maniera di agire, operando in un ambiente igienico e sicuro.

Le norme cantonali riprendono il documento della Confederazione

A tal proposito, torniamo in chiusura alla comunicazione inviata dall'Ufficio del medico cantonale a strutture sanitarie acute, case per anziani, istituti per invalidi e, in copia, alle agenzie di pompe funebri, lo scorso 22 ottobre.

“Alla luce dell'evoluzione (facendo riferimento all'aumento dei contagi di questo autunno; ndr) e delle nuove conoscenze in ambito di coronavirus” – si legge – si ritiene opportuno “adattare la modalità di gestione delle salme”, facendo riferimento per la prassi da seguire al documento pubblicato dall'Ufficio federale della sanità pubblica (Ufsp) lo scorso 27 aprile, ‘Covid-19: informazioni e raccomandazioni concernenti i funerali’. Di questo documento, tuttavia, il medico cantonale avverte che non è più valida la raccomandazione per quanto riguarda i funerali, eventi per cui fa stato “l'Ordinanza Covid-19 in vigore”, emanata dall'amministrazione federale.

Il documento dell'Ufsp scrive che “il virus non viene trasmesso dalle persone decedute. Tuttavia non è possibile escludere del tutto che sulla salma siano presenti residui di secrezioni infettive”. Per questa ragione “per la composizione delle salme devono essere rispettate le consuete misure di sicurezza vigenti”.

Le norme igieniche si applicano anche nei casi di sepoltura, cremazione e imbalsamazione. Nella manipolazione della salma, riporta l'Ufsp, “non è necessario avvolgerla in un sudario imbevuto di disinfettante, né chiudere immediatamente la bara”. Quindi l'elenco dei provvedimenti che le agenzie devono adottare, sempre rispettando le raccomandazioni d'igiene e di distanziamento tra collaboratori, riporta fra gli altri la regola di “ridurre al minimo gli interventi di composizione (igiene/prima preparazione, vestizione) e manipolazioni non necessarie”. Tutte queste operazioni vanno compiute indossando “guanti e camici protettivi monouso e anche mascherine igieniche e occhiali protettivi”.

Al termine del procedimento di cura, si legge che la composizione della salma in una bara aperta “è senz'altro possibile, ma i familiari devono evitare il contatto diretto” e, in aggiunta, “devono essere adottate misure idonee come transennamenti e composizione dietro un vetro”.

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