Locarnese

Il ‘collezionista di aeroporti’ ha fatto 1’000

La singolare impresa del locarnese Paolo Pedrazzini, che in monomotore ‘a vista’ ha viaggiato in tutto il mondo (e non si ferma)

Con l'ex presidente tedesco (e amico) Walter Scheel, nel 2006
26 luglio 2019
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Serio quando parla di sicurezza, di preparazione. Grato, e forse anche un po’ malinconico, se ricorda le radici familiari di zio Fernando, di Campo Vallemaggia, pilota dai 18 agli 80 anni. Felice, sicuramente, quando elenca voli, esperienze, situazioni. E naturalmente traguardi, come l’atterraggio nel millesimo aeroporto – quello di San Pietroburgo – raggiunto ora dopo 48 anni di carriera aviatoria.

Paolo Pedrazzini, architetto, noto ai più nel Locarnese per il suo ruolo dirigenziale in seno alla società della funicolare Locarno-Orselina, inizia dal volo Lugano-San Pietroburgo effettuato di recente con l’amica Michèle Rota per raccontare di una passione profonda, viscerale; una passione che per sfizio e curiosità Paolo ha trasformato anche in singolare collezione: quella di aeroporti. «Atterrando a San Pietroburgo – città tra l’altro bellissima – ho tagliato il traguardo dei 1’000 scali ufficiali dopo un volo VFR (a vista) in monomotore». L’aereo era un Cirrus SR20, monomotore americano del 1999 a 4 posti, la cui autonomia di 5 ore ha determinato un primo scalo tecnico a Ingolstadt e due ulteriori fermate a Varsavia e a Tallin, per poi alzarsi nuovamente in volo e raggiungere la città degli Zar.

Proprio le due ore di ritardo volutamente accumulate prima del decollo dall’Estonia danno a Pedrazzini l’occasione di affrontare un tema sensibile, quando si parla di voli in monomotore: la sicurezza. «Le cronache riferiscono spesso di incidenti, e la frettolosa conclusione di chi legge da esterno è che volare in monomotore sia pericoloso – premette –. Va precisato che ogni volo è minuziosamente preparato. A Tallin le previsioni su San Pietroburgo davano tempo incerto: è inevitabile, in casi simili, saper attendere, fermarsi, avere il carattere di dirsi di no, per non esporsi a pericoli inutili. Ecco, il saper rinunciare, o il saper tornare indietro quando si è già in aria, sono fondamentali. Lo sono come il mai sentirsi sotto la pressione del voler volare a tutti i costi».

Su queste basi il pilota ha potuto collezionare, in tutta sicurezza, i suoi mille aeroporti “toccati”. Scali che naturalmente rappresentano soltanto i punti di arrivo di altrettante esperienze, e che di per sé racchiudono vicende significative. Le “chicche” sono innumerevoli e multicolori: l’aeroporto più corto in assoluto, quello a suo tempo attivo a San Marino (300 metri di pista, «e scendere col Piper era un po’ come voler atterrare in Airbus a Lugano»); un atterraggio a Los Angeles, nell’ambito di un indimenticabile giro degli Stati Uniti effettuato nel 1979 con tre passeggeri; il volo più lungo, sempre nel ’79, con un “bravo” da Altenrhein in Iraq, per una sorta di volo di consegna a Baghdad passando per Atene e Larnaca; o il volo più corto, di 43 secondi cronometrati, nel 2012, fra due aeroporti... vicini di pianerottolo, in Polonia. E ci sono anche il Grand Canyon, nel cuore e nell’esperienza di pilotaggio “a vista” di Pedrazzini; ci sono il Marocco, la Tunisia, il Portogallo, il cielo d’Irlanda e quello di Istanbul, la Corea del Sud e l’ex Ddr nell’87 (fra i primi piloti ad entrare con aerei turistici monomotore), fino alla condivisione con l’amico Walter Scheel, ex presidente germanico, di alcuni voli da Zell am See e da Locarno: «Volare con piccoli aerei gli piaceva moltissimo», ricorda.

‘Il pilota esperto è pronto ad affrontare ogni evenienza’

È chiaro – aggiunge il pilota – «che il rischio zero non esiste. Si dice che gli incidenti non succedono, ma sono causati. In realtà, ogni incidente è una concatenazione di eventi e il pilota esperto è preparato ad affrontare ogni evenienza, sempre con un “piano B”». Un “piano B” che nel Cirrus SR20... è direttamente nel velivolo: un paracadute che in casi estremi può essere attivato per consentire all’aereo di adagiarsi a terra con lo stesso scossone provocato da una caduta da 3 metri di altezza.

Quarantott’anni e 1’000 aeroporti dopo, Paolo Pedrazzini guarda al futuro innanzitutto con gli occhi di Noè, il più giovane dei suoi quattro figli, anch’egli appassionato e studente di aviazione a Winterthur; ma anche con i suoi, di occhi. «In Europa sono atterrato in 49 Paesi e me ne mancano ormai solo 6: Islanda, Serbia, Bosnia-Erzegovina, Moldavia, Ucraina e Bielorussa. Li voglio fare. Inoltre, sogno un viaggio in Sudafrica, per i suoi parchi nazionali. E poi...». E poi lo sguardo vola via, come se rincorresse un sogno improvviso. Un sogno che non si sforza di nascondere: «L’aeroporto JFK, a New York». Per un’altra grande storia da raccontare.