La singolare impresa del locarnese Paolo Pedrazzini, che in monomotore ‘a vista’ ha viaggiato in tutto il mondo (e non si ferma)

Serio quando parla di sicurezza, di preparazione. Grato, e forse anche un po’ malinconico, se ricorda le radici familiari di zio Fernando, di Campo Vallemaggia, pilota dai 18 agli 80 anni. Felice, sicuramente, quando elenca voli, esperienze, situazioni. E naturalmente traguardi, come l’atterraggio nel millesimo aeroporto – quello di San Pietroburgo – raggiunto ora dopo 48 anni di carriera aviatoria.
Paolo Pedrazzini, architetto, noto ai più nel Locarnese per il suo ruolo dirigenziale in seno alla società della funicolare Locarno-Orselina, inizia dal volo Lugano-San Pietroburgo effettuato di recente con l’amica Michèle Rota per raccontare di una passione profonda, viscerale; una passione che per sfizio e curiosità Paolo ha trasformato anche in singolare collezione: quella di aeroporti. «Atterrando a San Pietroburgo – città tra l’altro bellissima – ho tagliato il traguardo dei 1’000 scali ufficiali dopo un volo VFR (a vista) in monomotore». L’aereo era un Cirrus SR20, monomotore americano del 1999 a 4 posti, la cui autonomia di 5 ore ha determinato un primo scalo tecnico a Ingolstadt e due ulteriori fermate a Varsavia e a Tallin, per poi alzarsi nuovamente in volo e raggiungere la città degli Zar.
Proprio le due ore di ritardo volutamente accumulate prima del decollo dall’Estonia danno a Pedrazzini l’occasione di affrontare un tema sensibile, quando si parla di voli in monomotore: la sicurezza. «Le cronache riferiscono spesso di incidenti, e la frettolosa conclusione di chi legge da esterno è che volare in monomotore sia pericoloso – premette –. Va precisato che ogni volo è minuziosamente preparato. A Tallin le previsioni su San Pietroburgo davano tempo incerto: è inevitabile, in casi simili, saper attendere, fermarsi, avere il carattere di dirsi di no, per non esporsi a pericoli inutili. Ecco, il saper rinunciare, o il saper tornare indietro quando si è già in aria, sono fondamentali. Lo sono come il mai sentirsi sotto la pressione del voler volare a tutti i costi».
Su queste basi il pilota ha potuto collezionare, in tutta sicurezza, i suoi mille aeroporti “toccati”. Scali che naturalmente rappresentano soltanto i punti di arrivo di altrettante esperienze, e che di per sé racchiudono vicende significative. Le “chicche” sono innumerevoli e multicolori: l’aeroporto più corto in assoluto, quello a suo tempo attivo a San Marino (300 metri di pista, «e scendere col Piper era un po’ come voler atterrare in Airbus a Lugano»); un atterraggio a Los Angeles, nell’ambito di un indimenticabile giro degli Stati Uniti effettuato nel 1979 con tre passeggeri; il volo più lungo, sempre nel ’79, con un “bravo” da Altenrhein in Iraq, per una sorta di volo di consegna a Baghdad passando per Atene e Larnaca; o il volo più corto, di 43 secondi cronometrati, nel 2012, fra due aeroporti... vicini di pianerottolo, in Polonia. E ci sono anche il Grand Canyon, nel cuore e nell’esperienza di pilotaggio “a vista” di Pedrazzini; ci sono il Marocco, la Tunisia, il Portogallo, il cielo d’Irlanda e quello di Istanbul, la Corea del Sud e l’ex Ddr nell’87 (fra i primi piloti ad entrare con aerei turistici monomotore), fino alla condivisione con l’amico Walter Scheel, ex presidente germanico, di alcuni voli da Zell am See e da Locarno: «Volare con piccoli aerei gli piaceva moltissimo», ricorda.
È chiaro – aggiunge il pilota – «che il rischio zero non esiste. Si dice che gli incidenti non succedono, ma sono causati. In realtà, ogni incidente è una concatenazione di eventi e il pilota esperto è preparato ad affrontare ogni evenienza, sempre con un “piano B”». Un “piano B” che nel Cirrus SR20... è direttamente nel velivolo: un paracadute che in casi estremi può essere attivato per consentire all’aereo di adagiarsi a terra con lo stesso scossone provocato da una caduta da 3 metri di altezza.
Quarantott’anni e 1’000 aeroporti dopo, Paolo Pedrazzini guarda al futuro innanzitutto con gli occhi di Noè, il più giovane dei suoi quattro figli, anch’egli appassionato e studente di aviazione a Winterthur; ma anche con i suoi, di occhi. «In Europa sono atterrato in 49 Paesi e me ne mancano ormai solo 6: Islanda, Serbia, Bosnia-Erzegovina, Moldavia, Ucraina e Bielorussa. Li voglio fare. Inoltre, sogno un viaggio in Sudafrica, per i suoi parchi nazionali. E poi...». E poi lo sguardo vola via, come se rincorresse un sogno improvviso. Un sogno che non si sforza di nascondere: «L’aeroporto JFK, a New York». Per un’altra grande storia da raccontare.