Locarnese

Da sergente svizzero a fighter siriano: 'Solo un atto umanitario'

Johan Cosar, da stamattina davanti alla giustizia militare, si dichiara addestratore, non fondatore della milizia anti-Isis. «Se non l'avessi fatto, non sarei qui»

Johan Cosar, a processo (Ti-Press)
20 febbraio 2019
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«Il mio è stato un atto umanitario, niente di più». Johan Cosar, ex sergente dell’esercito svizzero a processo da questa mattina al Tribunale penale federale, conferma di essere stato parte integrante del Syriac Military Council (Smc) creatosi nel nord della Siria, ma di non esserne stato il co-fondatore insieme al cugino, che gli siede di fianco davanti alla corte militare presieduta dal colonnello Mario Bazzi. L'accusa, “Indebolimento della forza difensiva del Paese”, per aver combatttuto in Siria senza l'autorizzazione dell'esercito svizzero.

Addestratore, non fondatore

«Il Smc è stato fondato da altri, io non ho partecipato alla sua costituzione. Mi definiscono co-fondatore, ma ho solo dato manforte, non ero leader». Fondato l’8 gennaio del 2013, Cosar ha dichiarato questa mattina di avere preso parte attiva al Smc «soltanto tra l’agosto e il settembre del 2013, con la partenza del centro d’addestramento». E ha così risposto all’accusa di avere reclutato milizie: «Le reclute si presentavano spontaneamente, io non ho reclutato nessuno». Il tutto sarebbe da ricondursi nel solo e unico scopo di «difendersi dalla pulizia etnica messa in atto dall’Isis nei confronti dei cristiani. Resto fermo sul punto che l’istruzione militare da me data ai siriaco-cristiani nel nord della Siria è stata un’operazione umanitaria e niente di più, un’istruzione all’autodifesa nei confronti di un tipo di terrorismo che avrebbe sterminato chiunque, con le armi o senza, come la storia ha dimostrato».

In Siria come freelance

Giunto in Siria nel giugno del 2012 come collaboratore di un’emittente televisiva svedese «per raccontare come stavano davvero le cose nel paese, fino ad allora descritto da chi non era mai stato sul posto», Cosar – che da freelance ha pure realizzato reportage con radio e stampa ticinesi «per il solo piacere d’informare e senza scopo di lucro» – ha dichiarato di essersi trovato nell’impossibilità di tornare in Svizzera con l’evolversi della crisi siriana. L’assenza di un solo valico doganale aperto ai civili, o almeno di un solo valico sicuro per lui, figlio di un uomo attivo politicamente nel nord cristiano della Siria fatto sparire in quei giorni, e del quale nulla si sa ad oggi, l'avrebbe costretto a rimanere in zona, in attesa di tempi migliori.

'O ti difendi, o muori'

Quando «la situazione è degenerata», con lui ancora presente in quella fascia di terra, Cosar avrebbe deciso di mettere disposizione la sua esperienza di ex sergente dell'esercito svizzero «in difesa dei cristiani del nord, riunitisi in una milizia poco organizzata che avrebbe rischiato di far del male a sé stessa piuttosto che agli altri. Mi sono concesso per istruirli sui concetti di base, su come si usa un'arma, come si organizza un check point, come si perquisisce qualcuno senza creare danni. Ho condiviso la mia formazione di base in funzione difensiva per eventuali attacchi». Visto come sono andate le cose, e visto che «il nord cristiano della Siria è l'unico sopravvissuto – sostiene Cosar senza volersi prendere tutti i meriti – in una situazione come questa o ti difendi o muori». E prima della pausa (il processo prosegue alle 14), conclude così: «Se non avessi fatto quello che ho fatto, oggi non sarei qui a parlare».

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