Lago d'Iseo

Benedetta passerella (come la pensano ‘quelli di fronte’)

Aspettando il ‘sentiero’ tra Ascona e le Isole, l’esperienza italiana vista da Lovere, sponda bergamasca del Sebino. E in Ticino si aggiunge un altro ‘no’...

The Floating Piers, Lago d'Iseo 2016 (Keystone)
8 gennaio 2019
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Digitando “Bellagio” per farsi un’idea di dove trascorrere il fine settimana, quella fontana in mezzo al lago, una volta giunti sul posto, non la si troverà. Perché la fontana è a Las Vegas. L’omonimo Luxury resort sorto nella Mecca del gioco d’azzardo è la prima immagine che appare digitando “Bellagio” in rete. Poco male. A Las Vegas, il lago – così come la fontana, il borgo ispirato a quello lariano e tutto il resto – è una copia datata 1998; il Lago di Como, invece, ha qualche era glaciale in più. A Bellagio, quella vera, anche senza fontana, ci si può consolare con Villa Melzi, soggiorno di Stendhal, con la statua di Dante e Beatrice che ispirò a Franz Liszt una composizione e altro ‘vintage’ che chiama comunque il selfie.

«Da quando siamo stati clonati, abbiamo americani tutto l’anno», dicono i gestori di un B&B del posto. «Vogliono vedere l’originale. Anche se eravamo già qui da molto prima. Oggi funziona così». Il fascino della vecchia Europa (qui intesa come continente, non come Unione) rimane irresistibile se la cosa più antica da visitare in patria è – citiamo a caso – il museo dei treni di Cincinnati. E invece a Bellagio, prima e dopo Cristo, di cose ne sono successe. E anche parecchie.

Aggiungiamo una ‘h’ a Cristo e spostiamoci da Bellagio a Lovere, borgo della sponda bergamasca del Lago d’Iseo, o Sebino. Anche qui, in molti, benedicono la passerella di Christo, quel percorso sulla sponda bresciana grazie al quale, dal 18 giugno al 3 luglio del 2016, si poté camminare sulle acque da Sulzano fino a Montisola e San Paolo, giusto in mezzo al lago (e ritorno). Proprio come la passerella sul Verbano, progettata per unire Ascona alle Isole di Brissago per 5 anni, per poi tornare allo status quo.

«Più che dalla mia voce, potrebbe avere conferma da quella del sindaco di Iseo, che parla di un incremento di 100mila turisti dall’anno scorso a quest’anno. Se anche il calcolo fosse per eccesso, mi sembrano dati importanti». Così parla Ferruccio Contessi, che ai suoi appartamenti-vacanza al Rizzo dei Santi, nel nucleo di Lovere, con l’avvento della passerella ha cambiato tipologia. «Prima li affittavo annualmente, fino a 5 o 6 anni. È stata la passerella che mi ha spinto a provare questo tipo di turismo su tempi più brevi». Perché, questo è il punto, l’onda d’urto di popolarità di queste acque ha raggiunto anche la sponda opposta, quella bergamasca. Anche se l’opera di Christo, la sponda bergamasca, non l’aveva nemmeno sfiorata.
«È aumentato il numero di turisti, la cosa è sotto gli occhi di tutti. Anche nella settimana della Befana abbiamo avuto gente. Mi hanno chiesto la casa dal Sudafrica». Se Christo, in questo caso, sia arrivato fino a Città dal Capo, Contessi non ce lo può garantire («perché non parlo inglese, se n’è occupato mio figlio»). Dando per scontato che in Sudafrica ci siano amanti dei laghi che hanno visitato fino all’ultima pozzanghera navigabile sulla Terra, che di quell’opera si continui a parlare nel mondo è cosa nota.

Prima che centro siderurgico e Borgo d’Italia illuminato a giorno per Natale, Lovere ha un trascorso di botteghe e tintorie dalle quali, nel XVI secolo, usciva il pregiato panno scarlatto. Ma ha anche «due sante, San Vincenza Gerosa e San Bartolomea Capitanio, per le quali si potrebbe puntare sul turismo religioso, ma non lo si fa», spiega Contessi, riportando l’anomalia di un comune bergamasco con diocesi bresciana. Santità a parte, parlano i numeri: «In poco tempo, dalla passerella di Christo a oggi, a Lovere sono comparse 38 strutture come la nostra». Di quell’opera beneficiano anche «le vicine piste da sci, le piramidi di Zone (riserva naturale modellata dalla forza erosiva dell’acqua, ndr), o i graffiti di Capo di Ponte», patrimonio dell’Unesco più noto agli stranieri che agli italiani (la cosa non vale per i bresciani, che le incisioni rupestri le visitano per dovere di nascita).

Da Lovere, la cartellonistica già lo annuncia, partirà una tappa del Giro d’Italia 2019. Che in questo c’entri Christo oppure no – e che si approvi o meno l’idea di un ponte, anzi, di un sentiero sulle acque – una cosa è certa: per questioni di campanilismo, trovare un bergamasco grato a un bresciano (e viceversa) è fenomeno raro. Evidentemente, quando non si parla di calcio, tutto può accadere.

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Sentieri di plastica – di Arnaldo Alberti

Di plastica sono fatti utensili, strumenti e oggetti vari, generalmente scadenti o di poco pregio. La caratteristica del materiale ha sempre svilito la qualità e il valore degli articoli offerti su un nostro mercato di tradizione artigianale che generalmente li rifiuta. La passerella, così chiamata da promotori con poca dimestichezza di dizionari, che da Ascona dovrebbe portare gli “escursionisti” alle Isole di Brissago, sarà edificata impiegando decine di tonnellate di plastica, importate, via lago, dall’Italia. Mal si addiceva all’opera, già per scaramanzia, il termine più appropriato di ponte. Avrebbe rievocato la poca fortuna che ebbe il progetto del ponte galleggiante presentato, il secolo scorso, in sostituzione della galleria Mappo-Morettina. S’intendeva allora collegare il Gambarogno al Delta della Maggia con cassoni galleggianti di calcestruzzo. L’ammollo della plastica nel Lago Maggiore, previsto per la costruzione del ponte che da Ascona porta alle Isole di Brissago, proprio nel momento in cui nell’acqua sono sempre più presenti quantità preoccupanti di microplastiche, avrà inizio a Intra, con il varo e il trasporto lacuale del materiale e durerà cinque anni. Evidentemente, prevedendo un così lungo periodo, si è tenuto conto più d’assicurare agli investitori l’ammortamento del capitale collocato nel manufatto che del pericolo di contaminazione dell’acqua dovuta all’usura del materiale. Sebbene le concentrazioni misurate non rappresentino una minaccia diretta per l’ambiente e per la qualità delle acque, la presenza di queste particelle di plastica nei laghi e nei corsi d’acqua non è desiderata e, secondo una recente circolare dell’Ufficio federale dell’ambiente, tocca il divieto d’inquinamento sancito nella legislazione vigente sulla protezione delle acque. L’edificazione del ponte sul Verbano, a mio modesto parere, oltre al problema della protezione dell’acqua e del paesaggio, presenta due criticità: la prima riguarda il diritto e la sua applicazione e la seconda la cultura, i suoi concetti preminenti e la sua diffusione sulle rive del Lago Maggiore.

L’articolo 39 della Legge federale sulla protezione delle acque vieta esplicitamente l’inserimento di sostanze solide nei laghi, anche se non possono inquinare l’acqua. L’art. 41 della relativa Ordinanza d’applicazione stabilisce puntigliosamente lo spazio riservato ai corsi d’acqua prescrivendo in metri la larghezza dell’alveo e la distanza da tenere dal filo dell’acqua. Prevede inoltre che in questo spazio è consentito realizzare esclusivamente impianti a ubicazione vincolata e d’interesse pubblico, come percorsi pedonali e sentieri intesi esclusivamente come stradine, viottoli o mulattiere che troviamo spesso nelle valli ad accompagnare il torrente o il fiume. Per immergere nel lago un mastodontico “sentiero” di plastica, singolare e orribile, si è proceduto alla modifica puntuale (locale) del Piano cantonale dei sentieri escursionistici (Pcse). Questo modo d’agire è un chiaro indizio di come oggi, ai fini d’ottenere un profitto, si adegua l’uso corrente dei sostantivi per adattare e stravolgere, con motivazioni bizzarre, il senso di una normativa federale. Il funzionario cantonale che, in violazione del principio di neutralità da rispettare se confrontato con interessi privati promuove pubblicamente l’opera nei dibattiti pubblici e il direttore del Dipartimento del territorio che giustifica la struttura con interpretazioni “ampie” della norma legale federale, offendono il parlamento che ha emanato la Legge, oltraggiano l’intelligenza dei cittadini e pregiudicano in modo grave il prestigio stesso dell’autorità. Lo stesso discorso può essere proposto per censurare il comportamento di un professore della facoltà d’architettura dell’Usi che si presta a consulenze d’imprenditori privati e si esibisce in pubblico a sostegno unilaterale del manufatto, sottacendone le fragilità, sia di carattere formale, sia sostanziale. Il rigore e la serietà accademici prevedono e prescrivono ben altro, come ad esempio il rispetto dell’Obbligo di diligenza che secondo la Legge federale ognuno è tenuto a usare al fine di evitare effetti pregiudizievoli alle acque. Probabilmente il direttore del Dipartimento del territorio s’illude, sbagliandosi, che nessuno oserà ledere la sua maestà, denunciandolo per il delitto menzionato all’art. 70 della Legge federale che prevede una pena detentiva fino a tre anni o una pena pecuniaria per chiunque, intenzionalmente, illecitamente, direttamente o indirettamente, introduce nelle acque, oppure deposita sostanze atte a inquinarle e con ciò provoca un pericolo d’inquinamento.

La percezione del Lago Maggiore, nella storia remota e recente della regione, è sempre stata negativa. Il lago è stato sentito per lo più come una minaccia. La Buzza di Biasca del 1515, i Masnarditi che taglieggiavano i barcaioli che vi transitavano, le piene frequenti con le forti differenze di livello che a volte superavano i dieci metri e sommergevano parte delle città e dei villaggi rivieraschi, i venti impetuosi che provocavano la così detta onda corta, pericolosa per il tipo d’imbarcazione usato dai pescatori, erano motivo di costante ansia e preoccupazione dei residenti sulle rive. Fino alla seconda metà del secolo scorso questo sentimento di timore ha prevalso; perciò si sono allontanate le sponde dalle abitazioni. Clamorosi a questo proposito sono stati a Locarno il riempimento della darsena che lambiva l’attuale edificio postale della città e la discarica dei detriti della demolizione dell’Albergo Metropole, gettati nel lago per formare un giardino, poi rimosso per l’edificazione del porto turistico. Le visite dei viaggiatori inglesi del 1700, la costruzione dei grandi alberghi dell’Ottocento, così come le colonie d’intellettuali che si stabilirono sul Monte Verità agli inizi del Novecento segnarono l’arrivo di ospiti di una borghesia colta, attratta dal clima mediterraneo e dal paesaggio incantevole. Salvo rare eccezioni i rapporti degli abitanti autoctoni con la gente venuta dal nord si limitavano a prestazioni di servizi. Gli asconesi non avevano il tempo e gli strumenti culturali necessari per capire, ad esempio, cosa avveniva al Monte Verità, considerato dai più un luogo di bizzarre trasgressioni. Fu la condizione appartata e tranquilla del Locarnese ad attirare uno speciale turismo di artisti, filosofi e intellettuali in genere, in particolare d’ispirazione utopistica. Inoltre numerosi rifugiati e perseguitati politici e, comunque, intellettuali di grande fama, quali Hermann Hesse, Erich Maria Remarque, Rainer Maria Rilke hanno dato fama internazionale ad Ascona e rinsaldato questo carattere di asilo per artisti di ogni genere e pensatori. Il borgo diventa sempre più un luogo d’incontro delle tendenze più avanzate e spregiudicate di pensiero che si rendono concrete, per esempio, nelle originali realizzazioni in architettura. È inoltre fondato il Centro Eranos che diventerà un luogo di discussione di temi richiamantisi a diverse discipline dell’arte e del pensiero, con personaggi di diversa provenienza e di fama internazionale fra i quali Karl Gustav Jung. Evidentemente il fenomeno del pellegrinaggio d’intellettuali di tutta Europa non ha niente in comune col progetto odierno del ponte galleggiante. La realizzazione del ponte progettato viola ogni principio già oggetto delle meditazioni e degli studi di persone particolarmente colte e sensibili, perennemente in conflitto con ogni espressione di massa. Ciò che oggi si vuole fare è la negazione e la profanazione di tutto quanto ha consacrato Ascona come luogo privilegiato per la promozione culturale.

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