BELLINZONA

‘Le voci sono sparite, seguirò la terapia’

A processo per incendio un 30enne afgano afflitto da schizofrenia paranoide. Aveva appiccato il fuoco, tra l'altro, allo stabile Caritas di Giubiasco

16 dicembre 2025
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Si è conclusa con l’obbligo di seguire una terapia psichiatrica ambulatoriale, di sottostare a visite a domicilio, due o tre volte alla settimana, da parte di personale infermieristico specializzato che ne valuti lo stato di salute, di essere seguito da un curatore, e con la proibizione di consumare alcool e stupefacenti, la vicenda del trentenne afgano residente a Bellinzona, accusato davanti alle Assise correzionali di incendio intenzionale e perturbamento di pubblici servizi. La corte, presieduta dal giudice Marco Villa (procuratore pubblico Zaccaria Akbas, avvocato difensore Andrea Daldini), ha tenuto in debita considerazione le risultanze della perizia psichiatrica della dottoressa Fazia Bernasconi-Schlunke, alla quale il giovane è stato sottoposto dopo il suo arresto, avvenuto il 6 maggio di quest’anno, e che fa stato di un disturbo di schizofrenia paranoide tale da rendere l’imputato totalmente incapace di valutare il carattere illecito delle sue azioni (è stata esclusa la piromania) e dunque non punibile.

Azioni che spaziano su un lasso di tempo di nove anni. Nel 2016 aveva appiccato un incendio all’interno dello stabile Caritas di Giubiasco, nel quale si trovavano in deposito dei materassi. Poi, come lui stesso ha ammesso, la sua situazione mentale è peggiorata dopo il Covid, tanto da appiccare il fuoco nel 2024 a un’autovettura e a un sedile di un vagone di un treno Tilo ad Airolo, e nel 2025 ad altre due vetture a Bellinzona. L’imputato, in Ticino dall’età di 14 anni, non ha mai respinto le accuse, ma ha sempre affermato di non ricordarsi di quanto successo. Amnesie, secondo la perizia, compatibili con uno stato mentale il cui inizio è stato fatto risalire al 2016. A ordinargli di appiccare gli incendi erano le voci che sentiva nella sua testa: "Credevo che quello che mi dicevano le voci fosse giusto e quindi agivo seguendole – ha affermato in sede di interrogatorio –. Le voci mi dicevano di bruciare le cose e telefonare agli amici. Le voci mi dicevano di non usare la terapia perché stavo bene. Non escludo di aver commesso questi incendi e del resto ricordo che le voci mi spronavano a bruciare gli oggetti. Da quando ho iniziato a curarmi, le voci non le sento più”.

Il 30enne in passato era già stato condannato quattro volte per infrazione alla legge sulla circolazione e a quella sugli stupefacenti e per otto volte era stato ricoverato al Cpc di Mendrisio, ma in seguito non aveva mai seguito in modo assiduo la terapia psichiatrica prescrittagli.

Davanti al giudice Marco Villa, che lo ha più volte incalzato su questo punto, l’imputato ha assicurato di aver capito la gravità della sua malattia e la necessità di seguire una terapia farmacologica ad hoc che impedisca una ricaduta. «Si ricordi – ha proseguito il giudice – che se si trovasse in difficoltà ci sono persone alle quali può rivolgersi e che le daranno una mano, dal suo avvocato al suo curatore, dal medico che la seguirà al personale dell’Ufficio dell'assistenza riabilitativa, finanche al procuratore pubblico Zaccaria Akbas».

Il quale ha sottolineato come i fatti possano essere ritenuti gravi: «Per fortuna vi sono stati soltanto danni materiali, ma quando si ha a che fare con il fuoco non si può mai sapere quali saranno le conseguenze, c’era il rischio che rimanessero coinvolte delle persone». Il pp ha per altro ricordato come i problemi di salute dell’imputato fossero già noti, ma sia mancata una dovuta presa a carico. «Oggi possiamo porvi rimedio. Secondo la perizia psichiatrica, il suo disturbo è curabile, a patto di seguire scrupolosamente il trattamento prescrittogli. Ed è bene che lo faccia, in caso contrario la terapia diventerebbe da ambulatoriale a stazionale, con un internamento che potrebbe essere anche molto lungo».

Dal canto suo, l’avvocato Andrea Daldini ha sottolineato come il suo cliente «da quando segue la cura è una persona diversa».