laR+ Bellinzonese

Imposizione minima Ocse: pro e contro

Tutti d’accordo sul principio della riforma rivolta alle multinazionali, ma l’applicazione svizzera divide

(Keystone)
6 giugno 2023
|

Non ha praticamente precedenti, l’idea dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) e dei venti Paesi industrializzati ed emergenti (G20): imporre alle multinazionali più ricche un quadro fiscale omogeneo a livello internazionale, affinché la smettano di saltare qua e là nel mondo pur di pagare il minimo possibile. Il progetto – condiviso almeno sulla carta da circa 140 Stati e ispiratore di leggi già pronte per il 2024 tra Usa e Ue – prevede due pilastri: l’imposizione degli utili nello Stato di commercializzazione di un bene o servizio, e non solo in quello in cui la società è registrata (primo pilastro); un’imposizione minima del 15% sugli utili delle imprese con attività in più di uno Stato e con una cifra d’affari di almeno 750 milioni di euro (secondo pilastro).

È di fatto solo sul secondo pilastro – l’imposizione minima – che in Svizzera si voterà il 18 giugno, anche se una decisione favorevole creerebbe i presupposti per un’adozione futura del primo. Approvata a larghissima maggioranza dal Parlamento confederato, la modifica dovrebbe generare un gettito extra tra 1 e 2,5 miliardi di franchi annui, di cui il 25% andrebbe alla Confederazione e il 75% ai Cantoni, che potranno disporne come meglio credono.

Se tutti sono più o meno d’accordo con lo spirito della riforma, gli animi si dividono quando si tratta di dare il proprio nulla osta all’applicazione decisa dal legislativo. A favore ci sono tutti i partiti borghesi, le associazioni d’impresa e numerosi cantoni e comuni. I Verdi lasciano libertà di voto. Contrari sono il Partito socialista, l’Unione sindacale svizzera e AllianceSud. Sentiamo le opinioni di due rappresentanti degli opposti comitati.

LAURA RIGET

‘Non porta beneficio alla popolazione’

A spiegarci le ragioni del no è la granconsigliera e copresidente socialista Laura Riget. Che precisa subito: «Sosteniamo lo spirito e gli obiettivi della riforma Ocse, un passo importante per contrastare il circolo vizioso di dumping fiscale che ha portato le grandi multinazionali a beneficiare di aliquote sempre più basse. Il problema è che l’attuazione svizzera non porta alcun beneficio alla popolazione».

Tre sono le motivazioni alla base di questa contestazione. Anzitutto, la chiave di ripartizione del gettito aggiuntivo: «Il 75% delle maggiori entrate resterà ai cantoni. Questo significa che a beneficiarne in maniera preponderante saranno i cantoni che in ragione della loro concorrenza fiscale al ribasso hanno attratto le sedi di molte multinazionali». In effetti, un cantone come Zugo dovrebbe incamerare circa 240 milioni di franchi all’anno, contro i 10 scarsi del Ticino: «È vero che è previsto un meccanismo di perequazione, ma la ridistribuzione di risorse ai cantoni più in difficoltà sarà parziale e andrà a regime solo tra cinque o sei anni, durante i quali il divario tra cantoni come Zugo e il Ticino continuerà a crescere. Sarebbe stato più giusto lasciare almeno il 50% delle risorse alla Confederazione, per ridistribuirle in modo più equo e più rapido, oltre che per affrontare emergenze di carattere nazionale, pur lasciando metà dei fondi e dunque ampio spazio di manovra ai cantoni nel rispetto del federalismo».

La seconda obiezione nasce dalla mancanza di obiettivi socialmente sostenibili da perseguire tramite il gettito extra: «Avevamo proposto di usare queste risorse per aumentare i sussidi di cassa malati, avviare un programma nazionale per gli asili nido e migliorare l’Avs. Questo non è stato approvato durante l’iter parlamentare. Il risultato è che adesso alcuni cantoni hanno già promesso di usare le risorse non solo per scopi sociali, ma anche per introdurre nuovi sgravi per le fasce più benestanti».

Proprio alla questione fiscale si aggancia la terza critica: «La Svizzera pare voler aggirare lo scopo della riforma Ocse – porre fine alla speculazione fiscale delle multinazionali su scala globale, uniformando per quanto possibile l’imposizione minima a livello internazionale –, affiancando alla nuova imposizione nuove scappatoie, come si è visto con l’ultima riforma fiscale per le imprese. Alla fine dunque la concorrenza fiscale al ribasso non sarà davvero contrastata, e non è chiaro se le multinazionali contribuiranno davvero di più alle necessità del Paese».

Infine, un corollario che però andrebbe giocoforza affrontato a livello internazionale: «Certe multinazionali pagano le tasse in Svizzera, ma sfruttando e commerciando risorse che appartengono ai Paesi in via di sviluppo, come nel caso di Glencore. Il risultato è che altri Paesi si vedono sottrarre, oltre alle risorse, anche il gettito fiscale. Si tratterà dunque di pensare a come fare, a livello globale, per impedirlo».

Obiettiamo che in assenza di un’imposizione minima, potranno essere altri Paesi a prelevare il differenziale tra le tasse sugli utili pagate qui dalle multinazionali con sede in Svizzera e la soglia del 15%. Un falso problema, per Riget: «Con questo argomento si tenta di spaventare l’elettorato, ma è possibilissimo ripensare i parametri della riforma entro il 2024. Se il parlamento federale è riuscito a salvare in pochi giorni il Credit Suisse, riuscirà certamente anche a modificare la chiave di riparto e a fissare le finalità d’investimento sociale per le maggiori entrate».

ALESSANDRA GIANELLA

‘Prioritario trattenere il gettito extra’

Non è d’accordo la capogruppo Plr in Gran Consiglio Alessandra Gianella, che invita a non perdere di vista le priorità: «Parliamo di una riforma internazionale sposata da circa 140 Paesi, orientata a garantire un’armonizzazione generale finora assente. L’applicazione globale prevede che possano essere altri Stati a prelevare l’imposizione aggiuntiva nel caso in cui non fossimo noi ad applicarla. In questo contesto, per la Svizzera è fondamentale e prioritario trattenere questo gettito extra, evitando al contempo nuovi contenziosi con altre nazioni, che in una situazione di incertezza globale come quella in cui ci troviamo non sono certamente auspicabili».

Quanto al meccanismo che distribuisce il 75% dei fondi ai cantoni e il restante 25% alla Confederazione, Gianella ricorda che «cantoni, città e comuni hanno approvato senza indugi la ripartizione, sapendo che tutti beneficeranno peraltro – chi più, chi meno – del meccanismo di perequazione finanziaria». La priorità data alle istituzioni locali nella gestione delle risorse, inoltre, rappresenterebbe il modo migliore per garantire un investimento efficace: «Credo che la libertà lasciata ai cantoni sia perfettamente in linea col principio del federalismo. È giusto che siano loro a decidere gli investimenti conoscendo meglio di altri la realtà locale, dialogando col territorio e stabilendo di volta in volta su quali fronti ritengono più importante intervenire. Comunque, nulla impedisce al popolo di esprimersi su ciascuna scelta, sia tramite i suoi rappresentanti al legislativo, sia ricorrendo a eventuali referendum».

Ma non c’è il rischio che i soldi servano solo a coprire il costo di altri sgravi alle imprese, col risultato di far rientrare dalla finestra quella competizione fiscale che proprio lo spirito della riforma Ocse cerca di mettere alla porta? Per Gianella, la questione è un po’ più complessa e anche i cantieri già annunciati restituiscono un quadro assai diversificato: «Tra i cantoni che hanno già presentato i loro piani (ad esempio Zugo, ndr) vediamo l’impegno a investire in asili nido, alloggi a prezzi accessibili, mentre nel canton Basilea Città si punta sulla collaborazione tra le università, la ricerca e sviluppo, ambiti insomma che garantiscono un’ampia ricaduta positiva anche dal punto di vista sociale. Eventuali adeguamenti fiscali possono comunque rientrare in linea di conto, ma anche in questo caso si tratta di lasciare alle diverse realtà locali la possibilità di valutare le proprie esigenze e sottoporle alla volontà popolare».

Un discorso che varrebbe anche per il Ticino, dove il dibattito sul rischio di perdere competitività e l’eventuale urgenza di ‘neutralizzare’ la riforma con degli sgravi – magari per le persone fisiche – è già in corso, come ha dimostrato l’ultima assemblea di Ticinomoda. Ma «anche nel nostro caso – osserva Gianella – occorre fare attenzione a non mettere tutto sullo stesso piano. C’è in cantiere un’ampia revisione della legge tributaria che nei prossimi mesi dovrà affrontare temi quali l’imposizione del reddito delle persone fisiche, le imposte di successione e donazione, l’imposizione della previdenza e le deduzioni per le spese professionali a favore dei lavoratori. Ritengo che sia in quella sede che si debba discutere quale assetto generale dare alla fiscalità del nostro cantone e alla sua competitività. Accogliere l’imposizione minima concordata dall’Ocse, invece, è semplicemente l’unico modo per assicurarsi di non perdere risorse finanziarie che altrimenti confluirebbero all’estero, evitando anche di scontrarci con altri Paesi e di generare situazioni di incertezza economica e fiscale».

DAL GOVERNO

Resta il nodo della competizione

Sempre sulla dimensione cantonale abbiamo chiesto qualche osservazione anche a Christian Vitta, direttore del Dipartimento delle finanze e dell’economia, che per ora non si sbilancia sugli ipotetici dieci milioni previsti per le casse ticinesi: «Occorre innanzitutto premettere che questa stima è stata effettuata dalla Confederazione e da istituti di ricerca, ed è quindi indicativa, soprattutto in un contesto nuovo e complesso come quello toccato dalla riforma. Il Cantone Ticino si è già attivato nel 2020, riducendo il carico fiscale delle aziende. In effetti, in quell’anno è stata ridotta l’aliquota sull’utile delle persone giuridiche dal 9% all’8% ed è già stata decisa la diminuzione dell’aliquota dall’8% al 5,5% nel 2025. Il potenziale gettito in discussione, tutto da verificare, permetterà quindi di attenuare l’impatto delle riforme già decise a livello cantonale».

Quanto alla richiesta di ‘neutralizzare’ la maggiore imposizione con sgravi alle persone fisiche, come suggerito dalla presidente di Ticinomoda Marina Masoni (già direttrice dello stesso Dfe e anche lei liberale), Vitta chiosa: «Quello che da più parti viene evidenziato è che la riforma Ocse accentuerà in Svizzera la concorrenza fiscale sulle persone fisiche, considerando che i margini di azione sulle persone giuridiche vengono ridotti, in particolare per i grandi gruppi internazionali». Anche il direttore del Dfe ricorda però che «in questo contesto, sarà presentata prossimamente dal Consiglio di Stato una riforma fiscale riguardante le persone fisiche nell’ambito di quanto deciso nel 2019 dal Parlamento, che ha previsto una riduzione transitoria del coefficiente cantonale d’imposta che dovrà essere sostituita da modifiche della legge tributaria riguardanti le persone fisiche».

Lo spiegone sull’imposizione Ocse lo trovate sull’edizione dello scorso 31 maggio.

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔
POTREBBE INTERESSARTI ANCHE