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L’imposta minima Ocse sulle multinazionali al voto

Un'analisi sulla proposta al voto il 18 giugno, che toccherebbe le imprese con un giro d’affari sopra ai 750 milioni di euro

In sintesi:
  • La proposta si basa su quanto deciso dai Paesi dell'Ocse e del G20
  • L'obiettivo è quello di applicare anche in Svizzera l'imposizione nello Stato di commercializzazione (primo pilastro)
(Infografica laRegione)
31 maggio 2023
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Un’imposta minima sugli utili del 15% per le multinazionali con un giro d’affari superiore ai 750 milioni di euro, in accordo con quanto deciso dai Paesi dell’Ocse e del G20. Ruota attorno a questa proposta – che richiede una modifica costituzionale – una delle tre votazioni federali in programma il prossimo 18 giugno. Vediamo di fare il punto.

Di cosa parliamo?

La modifica ha l’obiettivo di applicare anche in Svizzera le nuove norme fiscali concordate dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) e dai venti più grandi Paesi industrializzati ed emergenti (G20). L’idea – condivisa da circa 140 Stati e sulla base della quale si prevedono già nel 2024 nuove leggi in Unione europea e negli Usa – è quella di garantire un quadro fiscale internazionale omogeneo sulle multinazionali basato su due pilastri (vedi il box sotto), in modo da scoraggiare la concorrenza fiscale e tassare gli utili in tutti gli Stati in cui un’impresa vende i suoi beni e servizi.

Cosa prevede la modifica costituzionale?

La modifica crea i presupposti per introdurre anche in Svizzera l’imposizione nello Stato di commercializzazione (primo pilastro), ma non introduce misure concrete in tal senso. Getta invece basi per portare l’imposizione minima sugli utili delle imprese interessate al 15% già nel 2024, attraverso l’introduzione di un’imposta integrativa da introdurre tramite ordinanza (con l’obbligo di sostituire la misura transitoria con una nuova legge definitiva entro sei anni). Di fatto, qualora oggi paghino una percentuale sugli utili inferiore al 15%, a queste imprese verrà applicata una tassa aggiuntiva per arrivare a tale soglia. Il 75% delle entrate supplementari andrà ai Cantoni – che potranno così finanziare misure per compensare l’eventuale perdita di competitività, coordinandosi coi Comuni – e il restante 25% alla Confederazione.

Ma quante sono le imprese interessate, e che gettito ci si aspetta?

Solo i grandi gruppi attivi a livello internazionale sono oggetto della modifica. L’Amministrazione federale delle contribuzioni parla di poche centinaia di imprese svizzere e poche migliaia di estere. Per la stragrande maggioranza delle aziende, dunque, non cambierà nulla. La modifica riguarda per contro tutti i Cantoni, con entrate complessive a breve termine stimate tra 1 e 2,5 miliardi di franchi. L’opuscolo informativo della Confederazione avverte però che “a medio e lungo termine il gettito dell’imposta integrativa e altre entrate dello Stato potrebbero anche diminuire”, ad esempio perché alcune imprese potrebbero decidere di investire di meno, ritenendo la Svizzera fiscalmente meno attrattiva.

Cosa si fa coi soldi?

La scelta è lasciata a chi li riceve. I fondi ai Cantoni possono servire a sostenere, in collaborazione coi Comuni, la competitività locale, mentre anche il gettito extra della Confederazione sarà in parte rivolto alla promozione della piazza economica nazionale. Inoltre contribuiranno a rafforzare la perequazione tra cantoni finanziariamente più forti e più deboli: i cantoni che riceveranno meno gettito dall’imposta riceveranno di più dalla perequazione.

Perché serve una modifica costituzionale?

Per cambiare le prescrizioni sulla parità di trattamento in materia fiscale sancita dalla Costituzione.

E se vince il no?

Nel caso in cui vincesse il no, l’accordo internazionale previsto dall’Ocse prevede che possano essere gli Stati esteri a prelevare la differenza tra l’imposizione fiscale svizzera e la soglia del 15%, allo scopo di combattere comunque la concorrenza fiscale. In pratica, per le imprese il cambiamento sarebbe lo stesso, ma i soldi finirebbero nelle casse di altri Paesi.

Il dibattito in Parlamento.

Al momento del passaggio al legislativo federale, il progetto ha ottenuto una schiacciante maggioranza: 127 sì, 59 no e 10 astenuti al Nazionale; 23 sì, 2 no e 4 astensioni agli Stati. Ciò riflette un sostanziale accordo in merito al principio della modifica, senza la quale peraltro “le entrate fiscali andrebbero all’estero e la Svizzera rimarrebbe a mani vuote”. Le divisioni si registrano semmai sul dettaglio della proposta:

Distribuzione delle entrate. Il compromesso raggiunto da Confederazione, Cantoni e Comuni è stato contestato da singoli parlamentari, secondo i quali la Confederazione dovrebbe ricevere una percentuale maggiore del gettito, distribuendo il resto tra cantoni in modo più uniforme per contrastare ulteriormente la concorrenza fiscale intercantonale. Le maggiori risorse in mano alla Confederazione si potrebbero investire per migliorare ulteriormente le condizioni quadro assicurate alle imprese a livello nazionale.

Paletti. Alcuni chiedevano anche che ai Cantoni fossero imposte direttive precise su come usare i soldi insieme ai Comuni. La maggioranza ha però ritenuto che fosse meglio lasciare una certa libertà, in linea coi principi del federalismo e della sussidiarietà.

In conclusione, Consiglio federale e Parlamento sostengono comunque l’attuazione dell’imposizione minima in quanto “assicura alla Svizzera condizioni quadro stabili, entrate fiscali e posti di lavoro” ed evita che l’imposta aggiuntiva venga riscossa da Stati terzi: “L’intera Svizzera ne trarrà profitto”.

Chi è favorevole?

Il comitato a favore del sì è composto da Udc, Centro, Plr, Evangelici e Verdi liberali. Secondo loro – come secondo il Consiglio federale – il rischio di un’esitazione nell’introduzione della norma permetterebbe ad altri Paesi di incamerare proventi fiscali altrimenti riservati alla Svizzera. Sulla stessa linea sono le associazioni economiche. Numerosi cantoni, città e comuni si sono espressi favorevolmente. I Verdi lasciano invece libertà di voto.

Chi è contrario?

Il comitato del no è composto dal Partito socialista, dall’Unione sindacale svizzera e da AllianceSud, centro di competenza svizzero per la cooperazione internazionale e la politica di sviluppo. Secondo il Ps, l’imposta minima Ocse “soddisfa una rivendicazione che portiamo avanti da anni: le multinazionali devono pagare più imposte, e la loro imposizione deve essere coordinata sul piano internazionale. Ma al tempo stesso, l’attuazione di questa riforma a livello nazionale in Svizzera è problematica: la ripartizione delle entrate supplementari prevista dal progetto non va a beneficio della popolazione e rischia di accentuare la disparità tra i cantoni e di esacerbare ulteriormente la concorrenza fiscale intercantonale”. Al netto della perequazione, cantoni come Zugo incasserebbero in effetti 25 volte più del Ticino.

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