laR+ La ricorrenza

E Soriano si inventò il Mondiale del 1942

Non fosse scomparso con anticipo imperdonabile, il romanziere amante del calcio avrebbe compiuto 80 anni proprio in questi giorni

5 gennaio 2023
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Più di Messi, gli sarebbe piaciuta gente come El Papu Gomez o El Dibu Martinez, entrambi forniti – oltre che di estro – pure della sana follia di cui era innamorato e che amava conferire ai poetici e quasi sempre sfortunati personaggi a cui dava vita nei suoi racconti in bilico fra leggenda e realtà. Ma, pensandoci bene, Osvaldo Soriano – che era nato proprio il giorno dell’Epifania di 80 anni fa – avrebbe ammirato anche l’ultimissimo Leo, smaradonizzato e al contempo maradonizzato, capace di regalare poco prima di Natale il terzo titolo mondiale all’Argentina. Di certo, però, non avrebbe gradito la sottomissione mostrata dalla Pulce accettando – al momento di alzare la coppa – di coprire la maglia albiceleste con quell’imbarazzante negligé da favorita del sultano. Non ci avesse lasciato ormai oltre un quarto di secolo fa, El Gordo Soriano – il Ciccione – vedendo quel penoso defilé sul palco di Doha smoccolando avrebbe scosso la capoccia pelata evitando, per non essere volgare, ogni commento. Tutt’al più, si sarebbe limitato ad accendersi la duecentomilionesima sigaretta. Simili mascherate, come ogni altro tipo di sopruso, proprio non gli andavano giù.

Inviso alla Giunta

E lui, del resto, non piaceva ai potenti. Tanto che, a metà degli anni 70, ciò che scriveva su giornali come ‘Primera plana’ e ‘La opinion’ non fu più tollerato dalla giunta militare che aveva instaurato la dittatura, e Soriano, pur continuando a riscuotere il minimo salariale, non poté più pubblicare nulla. Per chi come lui era finito nella lista nera di Videla, l’atmosfera bonaerense si fece pesantissima: se non voleva sparire nel nulla come capitato a molti altri che non intendevano scendere a patti, gli conveniva cambiare aria. E così, a trentaquattro anni, si imbarcò per l’Europa. Ufficialmente, si stava recando in Germania per coprire un match di Carlos Monzon, il pugile eroe nazionale. Ma il biglietto che stringeva in mano era di sola andata e in Argentina avrebbe fatto ritorno soltanto sette anni più tardi, dopo il ripristino della democrazia. Quello dell’esilio europeo fu un periodo di stenti e dolore, ma fu proprio in quegli anni che Soriano scrisse o architettò le sue opere migliori, sempre graffianti nei confronti dei regimi sudamericani ma comunque impregnate di sogno, paradosso e ironica pazzia. Da Parigi, dal Belgio e dalla Germania, dove si inserì grazie alla rete di sostegno ai profughi – cileni oltre che argentini –, Soriano poté continuare a lavorare per riviste e quotidiani ma, soprattutto, riuscì dar seguito alla sua geniale produzione letteraria che aveva inaugurato con ‘Triste, solitario y final’, capolavoro che lo aveva rivelato al mondo.

L’amico Arpino

Ma non all’Italia, dove la traduzione pubblicata da Vallecchi era passata quasi inosservata, non fosse stato per Giovanni Arpino, che parlò invece in modo entusiasta di quella storia che riportava in vita Stanlio, Ollio e Philip Marlowe, l’investigatore de ‘Il grande sonno’ partorito dalla portentosa penna di Raymond Chandler. Soriano, venuto a sapere di questo endorsement solo qualche anno più tardi, scrisse al romanziere piemontese per ringraziarlo e ne divenne amico, specie dopo aver scoperto che anche il suo collega, come lui, non soltanto delirava per il calcio ma addirittura aveva osato trasformarlo in materia narrativa, come quasi nessuno aveva mai fatto fin lì. Fu un’amicizia pura, disinteressata, confidenziale e fitta di dissertazioni sul gioco del pallone, pianeta magico che entrambi adoravano ancor più del whisky. Innamorato del San Lorenzo de Almagro, El Gordo bruciava quasi tutto ciò che riusciva a guadagnare in telefonate intercontinentali care come cene stellate solo per conoscere il risultato delle partite della sua squadra del cuore. Soriano al pallone ci aveva pure giocato – nemmeno troppo male, stando a chi lo conobbe da ragazzo – ma dovette rinunciarvi quando fu tradito da un ginocchio, che cedette probabilmente sotto il peso di una panza che andava inesorabilmente espandendosi. Al seguito del padre ispettore delle Obras Sanitarias – la rete nazionale della distribuzione idrica – era cresciuto negli angoli più remoti dell’Argentina, sempre rincorrendo un pallone insieme a compagni e avversari bravi nel gioco ma davvero pittoreschi: eroi dei campetti di periferia che un giorno avrebbe usato come modelli per gli stralunati personaggi che popolano i suoi indimenticabili romanzi. Insieme ad aviatori, meretrici, cantanti di tango, poliziotti sfigati, boxeur corrotti, criminali e comici ormai incapaci di far ridere, nel teatro allestito e manovrato da Osvaldo Soriano, calciatori, arbitri e allenatori – oltre a schiere di tifosi tarantolati – non sono per nulla rari.

Il torneo mai giocato

Il pallone, del resto, fu per il romanziere nato a Mar del Plata pure pretesto per parlare di gente oppressa, imbavagliata e vittima di ogni abuso. Dotato da madre natura di un cervello e di un’immaginazione che giravano a triplo regime, Osvaldo Soriano toccò una delle sue vette più elevate quando si inventò un’edizione dei Mondiali che mai fu disputata, quella che avrebbe dovuto essere in cartellone nel 1942. Ebbene, non solo se la immaginò, ma addirittura la fece vincere alla nazionale degli indiani Mapuche, capaci nella finalissima di surclassare una selezione messa insieme per dare gloria al Terzo Reich. La Coppa Rimet, però, non finì mai nelle mani del capitano indio: a farla sparire aveva provveduto infatti il figlio del famosissimo bandito Butch Cassidy che, rivoltella alla mano, aveva arbitrato ogni incontro di quel Mundial immaginario. Quella geniale idea letteraria, traslata in pellicola da due registi italiani in un mockumentary di una dozzina d’anni fa, era talmente folle da risultare plausibile. Testimonianze fittizie e falsi filmati d’archivio conferivano al film una certa autorevolezza, e molti si convinsero che quel Mondiale ebbe davvero luogo: alcuni celebri giornalisti militanti, caduti in trappola con entrambi i piedi, giunsero quasi a stracciarsi le vesti affinché la Fifa rendesse pubblici i documenti relativi al "Mundial dimenticato" e riconoscesse finalmente il titolo iridato agli abitanti della Patagonia.

Erede di scrittori come Macedonio Fernandez e Jorge Luis Borges, anche Osvaldo Soriano a modo suo presenta nelle opere tracce di quel realismo magico che tanto ha permeato il romanzo sudamericano – ma anche il calcio di quel continente – nel corso dell’ultimo secolo. Ucciso nel 1997 dalle sue amate Gitanes, El Gordo lasciò orfani tutti quelli che amavano visceralmente i suoi libri e la sua ineguagliabile capacità di tratteggiare, anche grazie all’escamotage del pallone, realtà crudeli e piene di contraddizioni. E chissà quante altre perle ci avrebbe regalato, se non se ne fosse andato via a soli 54 anni.

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