Bellinzonese

Torna in aula il dramma di via San Gottardo

Di nuovo alla sbarra, di fronte alla Corte di appello, il 40enne eritreo condannato in primo grado a 16 anni di carcere per avere spinto la moglie giù dal balcone

La 24enne eritrea è morta dopo essere precipitata per 20 metri dal balcone del quinto piano (Ti-Press)
14 settembre 2021
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È tornato in aula questa mattina il dramma consumatosi in via San Gottardo a Bellinzona la sera del 3 luglio 2017, quando una 24enne eritrea è morta dopo essere precipitata per 20 metri dal balcone del quinto piano di una palazzina. Con la sentenza pronunciata il 23 dicembre 2020, la Corte delle assise criminali presieduta dal giudice Marco Villa ha condannato a 16 anni di carcere il marito della donna, giudicato colpevole di assassinio per avere spinto la moglie giù dal terrazzo.

L’uomo, difeso dall’avvocato Manuela Fertile, ha impugnato la sentenza ed è tornato in aula questa mattina di fronte alla Corte di appello e di revisione penale presieduta dalla giudice Giovanna Roggero-Will. Le ipotesi di reato sono assassinio consumato e tentato, in via subordinata omicidio intenzionale consumato e tentato, o in via ancora più subordinata lesioni semplici, esposizione a pericolo della vita altrui, minaccia e coazione.

Durante il processo in primo grado, la difesa si era battuta per proscioglimento, sostenendo che la donna si sia suicidata per farla pagare al marito che non riconosceva la sua fedeltà. Il 40enne si è sempre professato innocente, sostenendo che la moglie abbia voluto farla finita e che lui abbia semmai tentato di salvarla, cercando di trattenerla per un braccio prima che lei si schiantasse al suolo dopo un volo di circa 18 metri.

In un processo fortemente indiziario, la Corte delle assise criminali ha in particolare tenuto conto delle ricostruzioni tecnico-scientifiche affidate all’Istituto di medicina legale dell’Università di Berna, che così ha concluso: solo attraverso una spinta, e non un atto volontario di lasciarsi cadere, il corpo della vittima poteva raggiungere il punto dove è stato rinvenuto (a circa tre metri e mezzo dall’edificio).

Il verdetto sanciva anche l’espulsione dalla Svizzera per 15 anni e l’obbligo di risarcire i due figli minorenni rimasti orfani con 50mila franchi ciascuno.

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