Commento

Un’opportuna tabula Rasa

Thomas Geiser, membro del comitato Rasa
13 dicembre 2017
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Da un anno abbiamo una legge che bene o male applica l’articolo costituzionale 121a, frutto del risicato sì popolare del 9 febbraio 2014 all’iniziativa ‘contro l’immigrazione di massa’; il referendum contro questa soluzione eurocompatibile (ossia senza contingenti né tetti massimi, contrari all’accordo sulla libera circolazione delle persone) è fallito; le relative ordinanze basate sulla ‘preferenza indigena light’ (la corsia preferenziale accordata ai disoccupati iscritti agli uffici regionali di collocamento nella ricerca di un impiego nei settori ad elevato tasso di disoccupazione) entreranno presto in vigore; l’Ue non ha praticamente nulla da eccepire e così, dopo anni di burrasca, tra Berna e Bruxelles – lo ha confermato la recente visita del presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker – il clima si è rasserenato.

Centrato l’obiettivo primario (salvare gli accordi bilaterali), ai promotori dell’iniziativa ‘Rasa’ (‘Raus aus der Sackgasse’, ‘Fuori dal vicolo cieco’) restavano quasi esclusivamente argomenti di natura giuridica per giustificare il mancato ritiro del testo lanciato nell’ottobre 2015 allo scopo di – né più né meno – stralciare dalla Costituzione contingenti, tetti massimi e preferenza agli svizzeri. Ancora poche settimane fa, il noto costituzionalista Andreas Auer – membro del comitato ‘Rasa’ – scriveva che la revisione della legge sugli stranieri varata dal Parlamento consentirebbe di eliminare solo in parte e provvisoriamente l’insicurezza del diritto provocata dal voto del 9 febbraio 2014. In altre parole: soltanto un ‘sì’ all’iniziativa Rasa avrebbe permesso di ‘sintonizzare’ di nuovo la Costituzione (con i suoi contingenti, tetti massimi, la preferenza agli svizzeri, il divieto di concludere nuovi trattati) e la legge (‘preferenza indigena light’ sul mercato del lavoro). La certezza del diritto poteva essere ripristinata anche con un controprogetto indiretto. Ma il Parlamento non ne ha voluto sapere.

Rimasti soli, senza appoggi politici di rilievo, di fronte una campagna che si sarebbe probabilmente conclusa con un pericoloso patatrac alle urne, i promotori dell’iniziativa Rasa – diventata nel frattempo anacronistica – hanno gettato la spugna. Con tanti saluti alla auspicata ‘coerenza dell’ordine giuridico’.

La loro decisione è nonostante tutto comprensibile. E opportuna. L’iniziativa è stata «importante e giusta», come hanno detto ieri alcuni dei promotori, ricordandone la funzione di spada di Damocle avuta durante i lavori parlamentari. Ma adesso è giunto il momento di mettere una pietra sopra il 9 febbraio; e di guardare avanti.

Nei prossimi anni le svizzere e gli svizzeri avranno altre occasioni per dire (ancora una volta) cosa ne pensano della libera circolazione e degli accordi bilaterali in generale. Potranno finalmente chiarire la loro posizione riguardo al quesito che l’iniziativa ‘contro l’immigrazione di massa’ ha lasciato in sospeso: cosa conta di più, la gestione autonoma dell’immigrazione o la libera circolazione delle persone? A braccetto con l’Azione per una Svizzera neutrale e indipendente, l’Udc si appresta a lanciare una nuova iniziativa popolare che, questa sì, mira esplicitamente a liquidare l’intesa con l’Ue sulla libera circolazione. Il Parlamento potrebbe occuparsene già nel 2019 (prima si voterà su un’altra iniziativa Udc non meno problematica sotto il profilo dello Stato di diritto, quella detta ‘per l’autodeterminazione’). Il piatto forte verrebbe così servito in piena campagna per le elezioni federali (settembre 2019), condito verosimilmente con un subdolo legame tra libera circolazione e islam radicale, nuovo fumoso nemico individuato dal partito di Albert Rösti.

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