Commento

Troppa grazia M. Macron

25 aprile 2017
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C’è qualcosa che non convince nel sollievo generale prodotto dall’affermazione di Emmanuel Macron al primo turno delle presidenziali francesi, davanti a una Marine Le Pen che ha comunque condotto il Front National a un risultato storico.
Lo “scampato pericolo” di cui tanto si scrive e si parla emana infatti uno sgradevole odore di autoassoluzione o di certificato di rinnovata fiducia per le élite che, al contrario, non possono chiamarsi fuori dal disastro in cui versano le democrazie europee e quell’Europa che dovrebbe esprimerne la sintesi nobile (e basterebbe il ridimensionamento dei gaullisti e dei socialisti a confermarlo).

È bene, naturalmente, che Marine Le Pen li abbia (quasi) tutti contro al turno di ballottaggio del 7 maggio prossimo. L’Europa liberale e pavida che ottant’anni fa credette di poter blandire, o gestire (o usare come clava), i fascismi nascenti fece la fine che sappiamo (e sulla quale la stessa Le Pen ha tentato una inverosimile operazione di deresponsabilizzazione) e almeno quella lezione dovrebbe averla appresa. Dunque, le dichiarazioni di voto di François Fillon e Benoît Hamon a favore di Macron sono un necessario gesto di responsabilità (concetto che sfugge alla sinistra narcisa di Jean-Luc Mélenchon); ma, di nuovo, rischiano di essere o almeno di apparire come l’estrema difesa del “sistema” attorno alla figura di un “uomo nuovo” che ne è una impersonificazione quasi perfetta e in sintonia con i tempi.

Tempi in cui gli “one man party”, il populismo nella sua essenza, godono di particolare fortuna, quale che sia lo schieramento di cui sono filiazione, e soprattutto se pretendono di essere “oltre gli schieramenti” (quell’insopportabile vezzo di dichiararsi “né di destra né di sinistra”). Operazione sinora riuscita a Macron, abile nel proporsi come candidato alternativo al sistema che lo ha prodotto, in virtù della giovane età, di un appeal adeguato, della capacità di attorniarsi di collaboratori colmi di entusiasmo e di consiglieri ricchi di esperienza. Il “volto buono” dell’esistente è il suo.

Bisognerebbe allora chiedersi se l’esistente è “buono”. La risposta consolatoria che paiono essersi dati tutti coloro che sono saltati sul carro di Macron induce a dubitarne, ed è infatti quella su cui presumibilmente “lavorerà” la propaganda di Le Pen. Sottovalutare il richiamo esercitato su una parte dell’elettorato di sinistra uscito sconfitto e risentito dal primo turno da una campagna rivolta contro l’Europa delle banche e le politiche di esclusione sociale sarebbe perciò un errore clamoroso per chi si oppone alla candidata dell’estrema destra. Ma per contrastarla occorrono argomenti e politiche riconoscibili. E non sono quelle di Macron: non è abbastanza dire Europa, dire lavoro, istruzione.

Inoltre, pur dando per avvenuta la sua elezione all’Eliseo, la prima occasione per misurar la reale consistenza politica di Macron si proporrà già con le legislative di giugno. Una scadenza cruciale per i partiti (Républicains e socialisti in testa), resa ancora più vitale dallo sconvolgimento prodotto dalle presidenziali. Già allora si capirà se Macron, che un partito non l’ha, potrà contare su e saprà eventualmente organizzare e motivare una maggioranza parlamentare, senza la quale il “monarca repubblicano” qual è un presidente francese è condannato all’irrilevanza. Altri cinque anni di nulla la Francia e l’Europa non possono permetterseli.

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