Commento

Cosa ci dice la fiamma dei falò

(Pablo Gianinazzi)
31 luglio 2017
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Mentre festeggiamo il Natale della patria le notizie internazionali (quelle delle patrie altrui) che riempiono le cronache, fanno venir la tentazione di cambiare canale e ci fanno dire, senza se e senza ma, che siamo fortunati. Guardiamoci intorno: la massima potenza del mondo ha eletto un presidente ‘twitterante’ che, a pochi mesi dal suo insediamento, sta già facendo tabula rasa di chi ha lui stesso nominato persino nel suo stretto entourage; in Corea del Nord c’è un dittatorello che si diverte a sparare razzi in mare e a far pericolosamente crescere tensioni fra Stati Uniti e Cina; la Russia si appresta a ricevere nuove sanzioni; per non parlare delle centinaia di guerre minori dimenticate, anch’esse carburanti di crescenti migrazioni; la Turchia di Erdogan spaventa per la drastica limitazione dei diritti fondamentali e della separazione dei poteri.

E da noi? Da noi (per saldo) le cose vanno bene, anche se continuano a esserci partiti nazionali e movimenti locali che per anni sono cresciuti alimentando paure e sconforto nella popolazione all’insegna del motto ‘si stava meglio prima’. Non è che invece i tempi cambiano, perché in definitiva sono sempre cambiati? Negli ultimi anni di certo così è stato con – ne conveniamo – una decisa accelerazione rispetto al passato. Ma fermarci semplicemente a lagnarci è forse un rimedio?

A ben guardare, alcuni indizi ci dicono che ci troviamo alla vigilia di una nuova ripresa economica, il franco si è un po’ indebolito permettendo alla nostra economia di esportazione, che ha già fatto salti mortali per resistere, di tirare il fiato. La disoccupazione è moderata, i posti di lavoro – anche se va maggiormente arginato il fenomeno della sostituzione e dei salari al ribasso – non mancano.

Insomma, dobbiamo pur dircele di tanto in tanto queste cose, perché altrimenti dando retta a chi è per indole, o per calcolo politico, abituato a fare di ogni erba un fascio e a gufare semplicemente contro, finiamo per fare la fine degli autolesionisti.

Ecco, in tutta semplicità, fra le mille parole anche di circostanza che verranno pronunciate in questo Primo di agosto, crediamo valga la pena riunirci e saper apprezzare sino in fondo il bello del Paese nel quale viviamo e ciò che ci regala e unisce: innanzitutto la pace (che per taluni è già un sogno); poi servizi pubblici che funzionano, che significa avere uno Stato a disposizione dei cittadini e non di pochi privilegiati; poi ancora, la nostra democrazia diretta, che significa la possibilità per chiunque lo voglia, organizzandosi, di intervenire sulle regole del gioco e le scelte, senza aspettare che gli eletti lo facciano per noi; o la possibilità – come per esempio avviene in queste settimane – di dibattere pubblicamente sull’elezione di un consigliere federale ticinese, mettendo in risalto, senza venire censurati o senza dover temere conseguenze, pregi e difetti di una determinata opzione (quando si fa davvero l’interesse pubblico? O più in generale quale dev’essere il profondo significato di una nostra candidatura?); non da ultimo, avere cittadini che per la stragrande parte credono nello Stato, che significa che non si cerca, non appena se ne presenti l’occasione, di fregarlo; infine, avere la capacità di far convivere persone di culture, religioni e lingue diverse: e non diteci che questo piccolo (perché siamo in pochi) e grande (perché ce lo invidiano in tanti) costante miracolo si rinnova facilmente da secoli. No, per mantenerlo tale bisogna volerlo, ardentemente volerlo. La fiamma dei falò dice proprio questo.

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